A certificarlo è l’Aran con un report che esamina l’evoluzione numerica degli “Occupati nella pubblica amministrazione”: attraverso un’analisi dei dati, risulta che negli ultimi 15 anni sono stati bruciati 35mila posti, ma poi si scopre che nel 2016.
La scuola pubblica italiana si contraddistingue per delle contraddizioni senza pari: si tagliano posti, ma il precariato cresce. A certificarlo è l’Aran con un report che esamina l’evoluzione numerica degli “Occupati nella pubblica amministrazione”: attraverso un’analisi dei dati, risulta che negli ultimi 15 anni sono stati bruciati 35mila posti, ma poi si scopre che nel 2016 – quindi anche dopo il piano straordinario della Buona Scuola voluto dal governo Renzi – c’erano ancora 145 mila docenti e Ata precari chiamati a fare supplenze di lunga durata, quindi con durata annuale o fino al termine delle attività didattiche.
Sono dati impietosi che confermano la pessima gestione del precariato scolastico e l’irragionevole opposizione dell’amministrazione a stabilizzare tutti coloro che sono stati selezionati, formati e abilitati per entrare nei ruoli dello Stato. A rendere ancora più difficile il quadro è l’inerzia della politica che continua ad assecondare certe scelte insensate. Anzi, negli ultimi anni a peggiorare la situazione ci si è messo di buona lena il legislatore che ha avallato la riduzione del tempo scuola, ha prodotto una serie di norme che hanno favorito la perdurante disparità di trattamento economica e giuridica subìta dal personale a tempo determinato, sino alla finzione dell’organico di fatto utilizzato in organico di diritto, inclusi i posti in deroga su sostegno, funzionale solo a far risparmiare lo Stato perché così non assume a tempo indeterminato né paga i mesi estivi.
Da tutto questo, ne deriva che ancora ieri, nel 2016, il precariato utilizzato tra gli insegnanti era addirittura del 13,5% e delll’11,6% tra i collaboratori scolastici, gli amministrativi e i tecnici. Considerando che lo scorso anno non si è andati oltre al mero turn over, ad oggi questi dati preoccupanti possono considerarsi confermati se non addirittura rafforzati.
Nella scuola, spiega l’Agenzia nazionale, nel 2001 c’erano 1.141.406 unità, tra insegnanti, amministrativi, tecnici e collaboratori scolastici; esattamente tre quinquenni dopo, si sono ridotti a 1.106.343 unità. Sempre in quell’anno, nel 2016, erano 120.588 i docenti con contratto a tempo determinato, rispetto agli 891.737 in servizio: 65.001 con contratto al 30 giugno in organico di fatto, a cui bisognava aggiungere 44.752 insegnanti di sostegno, 23.553 su posto vacante e disponibile al 31 agosto come altri 7.282 su posti di sostegno. Andava poco meglio per il personale ATA, per il quale su 207.737 unità, risultavano 3.259 supplenti su posti in organico di diritto e 18.881 su posti in organico di fatto.
Infine, risultano dimezzati i nuovi dirigenti scolastici: 15 anni fa erano 12 mila, oggi ce ne sono in servizio 7 mila e a settembre – per via del quasi blocco dei concorsi e le assunzioni a singhiozzo dell’ultimo decennio – quasi 2mila posti andranno in reggenza. Mentre il concorso pubblico, che ha raccolto oltre 35mila candidature, continua ad essere rimandato: se va bene, si partirà in estate, troppo tardi per coprire i posti liberi destinati ad andare a reggenza, con tutti i problemi organizzativi che ne conseguono.
“Come si fa a pensare – si chiede Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – che in queste condizioni, con percentuali altissime di personale precario che ogni anno viene nominato in istituti diversi, cambiando continuamente colleghi e alunni, la scuola italiana possa affrancarsi dai problemi cronici? Come si fa a parlare di continuità didattica se gli insegnanti cambiano in numero così massiccio? Come si può parlare di scuole di qualità se poi non si mette a disposizione per un periodo di tempo congruo nemmeno il personale amministrativo, tecnico e ausiliario? Ecco perché chiediamo al nuovo governo una vera svolta”.