ARRESTATI VICEPREFETTO ISOLA D’ELBA E UN PREGIUDICATO ‘NDRANGHETISTA

Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Livorno hanno eseguito su ordine del Procuratore Capo della Repubblica di Livorno, Ettore Squillace Greco, a un’ordinanza – emessa dal G.I.P. del locale Tribunale, Marco Sacquegna – di applicazione della misura cautelare personale nei confronti di nove persone, di cui due in carcere e sette agli arresti domiciliari (uno dei quali già arrestato, nel corso delle indagini, per altri reati).

 

Nel corso delle investigazioni, era già stato, altresì, tratto in arresto in flagranza di reato altro soggetto, durante lo scorso mese di novembre.

In particolare, gli approfondimenti investigativi, rientranti nell’operazione denominata “Vicerè”, hanno consentito di rilevare l’attività illecita posta continuativamente in essere da un pericoloso gruppo criminale, costituitosi a Livorno al fine di commettere frodi fiscali, attorno a due figure principali – i soggetti ristretti oggi in carcere – che di esso sono i capi, gli organizzatori ed i coordinatori:

– il Viceprefetto D.G., 66 anni, Dirigente della Prefettura di Livorno preposto alla reggenza dell’Ufficio distaccato dell’Isola d’Elba,

B.G., 61 anni, soggetto già coinvolto in molteplici indagini delle Forze di polizia, più volte arrestato anche per associazione a delinquere di stampo mafioso (ex art. 416 bis c.p.), affiliato ad una delle più note cosche di ‘ndrangheta operanti nel territorio piemontese e, più in generale, nel centro – nord Italia e all’estero (Francia e Spagna in particolare). La cosca in questione, originaria di Gioiosa Ionica (RC), è la mandante dell’omicidio del Procuratore di Torino Bruno Caccia, ucciso sotto la propria abitazione il 26 giugno 1983. Per tale delitto è stato condannato all’ergastolo, con sentenza irrevocabile, il fratello dell’odierno arrestato.

 

Per quanto riguarda gli altri soggetti tratti in arresto, si tratta di F.T., dottore commercialista di 50 anni di Torino, F.G., 41 anni residente in Livorno, C.G.C., 53 anni di Livorno, A.D., 53 anni di Faenza (RA), B.M., 40 anni di Faenza (RA), D.V., 38 anni di Trani (BA) e A.G., 66 anni di Faenza (RA).

Le contestazioni hanno ad oggetto i reati di associazione per delinquere, porto abusivo di esplosivi detenuti al fine di compiere un atto di intimidazione, indebita compensazione di debiti tributari con crediti inesistenti, contrabbando di 9 tonnellate di tabacchi lavorati esteri e illecita sottrazione al pagamento delle accise sugli alcolici, anche mediante falso in documenti pubblici informatici.

Le indagini, dirette dal citato Procuratore Capo della Repubblica, hanno tratto le mosse da un controllo per abusi edilizi avviato in un Comune dell’Isola d’Elba: sulla base dell’emersione di indizi di attività illecite poste in essere dal Viceprefetto, nella primavera del 2017, militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Livorno e della Compagnia di Portoferraio hanno sviluppato le investigazioni, che hanno consentito di rilevare come il pubblico dirigente fosse coinvolto in plurimi contesti illeciti, comunque in alcun modo connessi con il ruolo e le funzioni istituzionali ricoperte.

Tra le altre, rileva la condotta che chiama in causa il citato Viceprefetto, il quale – ritenendosi vittima di una truffa immobiliare unitamente ad un proprio amico, il livornese D.C.S. – ha pianificato con quest’ultimo la realizzazione di una “vendetta” nei confronti del presunto truffatore, dando incarico ad altro componente dell’associazione di reperire dell’esplosivo da utilizzare per “far saltare” le autovetture del truffatore e/o dei suoi familiari: il suo sodale si è rivolto, quindi, ad un soggetto che, in passato, commerciava nel settore dei fuochi pirotecnici.

Rilevata la consegna del “pacco sospetto”, lo scorso 16 novembre, è stato organizzato un servizio di controllo su strada che ha consentito di intercettare uno degli indagati a bordo di una vettura, mentre si stava allontanando dal luogo dell’incontro, trovato in possesso di n. 4 cariche esplosive del peso complessivo di oltre 1.100 grammi – collegate, tramite miccia pirotecnica, ad accenditori di sicurezza, connessi a riceventi elettroniche – confezionate in modo da poter essere fatte brillare a distanza tramite telecomando, in grado di produrre significativi danni all’atto dell’esplosione. Il soggetto fermato veniva tratto in arresto in flagranza di reato ed è tuttora in stato di detenzione, agli arresti domiciliari.

Le investigazioni di polizia giudiziaria hanno, inoltre, consentito di porre in luce l’esistenza di un sodalizio criminale, composto da nove persone, costituitosi in Livorno ed avente come obiettivo illecito la realizzazione di un programma criminoso incentrato sulla commissione di frodi fiscali.

In particolare, il Viceprefetto – che, in ragione di un pregresso accertamento tributario, risultava destinatario di cartelle esattoriali già iscritte a ruolo per oltre 115 mila euro – grazie all’intervento del sodale calabrese e a ulteriori complicità da questi fornite, è riuscito

ad abbattere tale pendenza debitoria sfruttando, in compensazione, inesistenti crediti IRPEF, artificiosamente creati e sfruttati per compilare i modelli unificati di pagamento F24.  Il sistema utilizzato prevedeva il frazionamento dell’importo complessivo dovuto all’erario in somme di entità inferiore e, per ciascuna di tale frazioni, il “pagamento” mediante un modello di versamento F24 recante la corresponsione materiale, attraverso il canale home banking, dell’irrisoria somma di un euro affiancata dalla fittizia compensazione di decine di migliaia di euro.

Le indagini hanno consentito di rilevare che le indebite compensazioni con crediti inesistenti di cui ha beneficiato il Viceprefetto non rappresentavano un caso isolato: è stato, infatti, registrato l’interessamento degli indagati in una pluralità di condotte analoghe che, nel periodo 2016/2017, hanno consentito ad altri 7 soggetti di ottenere, nello stesso modo, l’abbattimento delle proprie posizioni debitorie nei confronti del Fisco, per un valore complessivo indebitamente compensato pari a circa 1.000.000 di euro.

In una circostanza, ad esempio, la compensazione fraudolenta è stata utilizzata nell’interesse di un’imprenditrice romagnola – moglie di uno dei componenti dell’associazione a delinquere, concorrente egli stesso nella condotta delittuosa ascritta in capo al coniuge – per importo complessivo di quasi 175 mila Euro. Ciò al fine di occultare la propria reale situazione debitoria e, attraverso la falsa rappresentazione della propria situazione finanziaria, opporsi ad un’istanza di fallimento che avrebbe potuto incidere pesantemente sul patrimonio familiare dei coniugi.

Il sistema pianificato dagli artefici della frode prevedeva il versamento, da parte dei soggetti intenzionati ad accedere all’indebita compensazione, di un importo pari al 22% del “beneficio” richiesto, quale compenso per il “servizio” ottenuto tramite il pregiudicato calabrese. A tale importo, si doveva, inoltre, aggiungere un ulteriore 8% (per un “costo” totale dell’operazione pari al 30% in capo al beneficiario) a titolo di “commissione” spettante, tra gli altri, al Viceprefetto per il proprio servizio di intermediario e di collegamento con le maglie criminose manovrate dal predetto pregiudicato calabrese.

Ulteriormente, gli indagati hanno pianificato ed eseguito condotte fraudolente nel settore del commercio internazionale di prodotti alcolici, con l’intento di sottrarsi completamente al pagamento delle accise.

In questo caso, il sistema di frode prevedeva la predisposizione di viaggi “fittizi” relativi a carichi di prodotti alcolici, gravati da rilevanti imposte di fabbricazione, che, attraverso la predisposizione di falsi documenti di trasporto, venivano fatti transitare attraverso depositi fiscali compiacenti, per poi essere (solo) cartolarmente esportati verso destinazioni extra-UE.

In una delle circostanze monitorate, è stata rilevata la promessa di una somma pari a € 5.000,00 a titolo di compenso illecito spettante al Viceprefetto – a fronte di un carico di alcolici sui quali gravavano imposte per 90.000,00 Euro – che lo stesso Dirigente pubblico avrebbe riscosso una volta “chiuso” il documento telematico da parte del deposito fiscale compiacente, da lui individuato grazie alle proprie conoscenze sul territorio livornese.

Al fine di acquisire piena autonomia nel porre in essere operazioni fraudolente, per le quali risulta necessario il coinvolgimento di un deposito fiscale, i componenti del sodalizio

criminale hanno rilevato una società di trasporti con sede in Torino, di fatto non più operativa e “reperita” dal commercialista torinese F.T., facenti anch’egli parte dell’associazione. Tramite la società hanno, dunque, affittato un capannone industriale in località Castelnuovo Don Bosco (AT), con lo scopo di costituire un proprio “deposito fiscale” da utilizzare strumentalmente nelle operazioni delittuose.

Gli sviluppi investigativi recentemente rilevati hanno accertato frenetici contatti tra i sodali tesi a produrre ai competenti Uffici doganali la documentazione necessaria all’ottenimento dell’autorizzazione ad operare nel settore degli alcolici sottoposti ad accisa e realizzare, dunque, plurimi “viaggi” di prodotto sottratto al pagamento delle imposte, dagli stessi stimati in non meno di 30 operazioni delittuose al mese, ciascuna in grado di far evadere accise dovute per circa 90/100 mila euro.

Tale frode consente, da un lato, l’immissione in consumo, all’interno dell’Unione Europea, di alcolici senza versare imposte e, dunque, ad un prezzo in grado di alterare la libera concorrenza e, dall’altro, la spartizione tra i beneficiari della frode (mittente, gestori del viaggio “fittizio” e destinatario finale) di un profitto illecito pari all’ammontare delle accise evase. Da ultimo (in termini temporali), i soggetti indagati sono risultati direttamente coinvolti nel traffico di un ingentissimo carico di tabacchi lavorati esteri, pari a 9 tonnellate di sigarette, per valore complessivo di 1,5 milioni di euro, che si accingevano a far entrare di contrabbando nascosto all’interno di un container diretto in Italia giunto, via mare, nel porto di Livorno. Lo scorso venerdì, il contenitore – proveniente dal porto africano di Bissau (Guinea Bissau), con scalo a Tangeri (Marocco) e che figurava trasportare tavoli e sedie di legno – è stato intercettato dai militari della Guardia di Finanza che lo hanno sottoposto a sequestro in collaborazione con la locale Dogana.

Alla luce del quadro complessivamente delineato, i militari della Compagnia di Portoferraio e del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Livorno hanno complessivamente denunciato all’A.G. 27 soggetti. Rilevandone la sussistenza dei presupposti, il Procuratore della Repubblica di Livorno ha, dunque, richiesto l’adozione di misure cautelari personali nei confronti di 9 soggetti.

Accogliendo tale proposta, il GIP del Tribunale di Livorno ha, quindi, emesso un’ordinanza di custodia cautelare, disponendo la restrizione in carcere nei confronti di 2 soggetti e gli arresti domiciliare nei confronti di ulteriori 7 soggetti (uno dei quali, già in stato di detenzione, in quanto arrestato per altro reato nel corso delle indagini).

In data odierna, contestualmente alle misure cautelari, sono state eseguite (con la collaborazione dei Reparti del Corpo competenti per territorio) in 7 Regioni – precisamente a Livorno, Portoferraio (LI), Rosignano Marittimo (LI) nonché in provincia di Torino, Asti, Padova, Ravenna, Forlì, Pisa, Pistoia, Campobasso, Napoli, Salerno, Lecce e Brindisi – perquisizioni personali, domiciliari e locali nei confronti degli indagati, con l’impiego complessivamente di circa n. 120 militari.

L’operazione di servizio testimonia l’incisività dell’attività svolta dalla Guardia di Finanza nell’intero territorio livornese tesa a reprimere, in maniera trasversale, i contesti criminali di maggiore gravità, d’intesa con il Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Livorno e in aderenza alle direttive del Comando Regionale Toscana della Guardia di Finanza.