Indire un referendum sull’euro, uscirne e ridurre l’Italia in povertà. Uno scenario da incubo? Vediamo.
Il ministro per i Rapporti con il Parlamento e la Democrazia Diretta, Riccardo Fraccaro, è il sostenitore dei referendum sui trattati internazionali, quindi, anche sull’euro, in linea con quanto riaffermato, circa un mese fa, dal garante del M5S, Beppe Grillo.
Per indire un referendum sull’euro occorre modificare la Costituzione (4 passaggi tra Camera e Senato, in seconda votazione a maggioranza di due terzi e, se a maggioranza semplice, un referendum confermativo della modifica), dopodiché, si passerebbe al referendum sull’euro.
Queste procedure richiedono tempo, diciamo un paio di anni.
All’annuncio della volontà di fare un referendum sull’euro i risparmiatori si precipiterebbero nelle banche a ritirare i propri risparmi e a vendere titoli di Stato e non. Banche, assicurazioni, fondi, ecc., venderebbero i propri titoli pubblici.
Lo spread BTP/BUND salirebbe alle stelle.
Lo Stato dovrebbe emettere titoli ad elevato interesse, aumentando il debito pubblico, e dovrebbe ricorrere a drastiche misure di taglio della spesa pubblica con effetti, in particolare, sulla sanità, sul sistema assistenziale e previdenziale.
Le banche, per acquisire liquidità, non potendo rifornirsi dalla BCE, dovrebbero ricorrere al mercato o dichiarare fallimento. Le imprese seguirebbero la sorte delle banche.
Insomma, l’Italia sarebbe ridotta in povertà, in compenso avremo la nostra moneta, la lira.
Il popolo ringrazierà Beppe Grillo e Riccardo Fraccaro.
Primo Mastrantoni, segretario Aduc