Una condizione atavica porta con sé miti, credenze e soprattutto vocazioni. Le isole in un arcipelago connettono esistenze, raccolgono venti che seminano e scompigliano relazioni prossime tra simili ed interazione tra uomini e territori, che avviano l’iniziazione alla vita in comune che può portare alla esplosione della creativa realizzazione ovvero condurre all’implosione di energie, che non riescono a trovare la via della costruzione corale.
Di certo la vocazione di ciascuno in una condizione di insularità viene fuori con enfasi da declinare in maniera congeniale; in un ambito limitato la prossimità aiuta le contaminazioni, gli incroci, il meticciato, la miscela di intelligenze, che si avvicina armoniosamente e che può meravigliosamente impiantare il seme che darà frutti, che realizzerà opere, che, virtuosamente, mette in luce le potenzialità esistenti.
La Sicilia ha una grande occasione da giocarsi oggi: ovvero quella, nel suo essere geograficamente centrale nel mediterraneo, di assumere l’onere e l’onore di abbracciare un universo lacustre (un mare sostanzialmente chiuso) con le sue potenzialità commerciali, di scambio e di innesto fruttifero tra civiltà e culture che offrono il meglio di sé, e non certo ridotto a trasmettere solo migranti in cerca di fortuna e/o di rimpatrio.
Solo così l’isola vista e interpretata, non come scialuppa di salvataggio, ma come momento in cui l’esperienza vivente si qualifichi quale modello e risorsa di mondi che si incrociano per sugellare ricchezza di pensiero ed esaltazione e valorizzazione di un mercato in cui il negozio giuridico, inteso come perfezionamento di domanda e offerta, ispiri e formi una nuova antropologia: quella che cioè non vive solo di assistenza, ma che contribuisce a creare una propria via della seta.
Dobbiamo riportare il sogno su questa terra, affinché i Siciliani colgano, nella speranza di una aggiornata visione, un momento di costruttivo impegno e di nuove sfide per le genialità presenti, che si vogliono mettere in gioco.
Rino Nania