Siamo ormai in pieno sport – mercato. Abbiamo capito, qualcuno come il sottoscritto sulla sua pelle, che per stare sul… mercato non devi avere moralità. Ovvero, devi essere pronto, a secondo dei casi, a drogare una partita, truffare dei ragazzi, tenere sotto scacco le famiglie con la scusa del cartellino, offrire bambini – bancomat alle varie società in cambio di una panchina.
Ovviamente tutto questo avviene alla luce del sole, cioè è cosa nota a tutti: quindi nessuno si scandalizzi. Il farsi i cavoli propri da parte degli organi di controllo, salvo beccare lo sfigato di turno, autorizzano in pratica a cercarsi nuovi padroni, spacciando il tutto come mercato.
Con il silenzioso assenso di tutti la pratica dunque è diventata legge senza per fortuna scandalizzare nessuno. Basta solo stare attenti a non superare ovvi limiti di buon gusto. Sport – mercato, dunque, anche se con molte meno trattative di quanto possa sembrare.
E’ il momento in cui gli operatori sportivi, calcio, basket, tennis, o volley, non fa differenza usano i blog per lanciarsi messaggi e dare vita a merce spenta. Ogni giorno spunta un talento da piazzare o un coach da promuovere nonostante – come dicevo in precedenza – tutti conoscono tutti e se c’è questo scambio di panchine nel basket o nel calcio, per esempio è solo per una esigenza di spazi.
Poco importa se hai fatto la figura del fesso in panchina o hai giocato venti minuti perché raccomandato. E meno che mai se hai usato gesti violenti in palestra davanti a spettatori e genitori. Nessuno lo ricorda, nessuno chiede il conto alla fine dei giochi. Il circo delle bugie deve andare in scena, costi quel che costi. L’impressione generale è però che ci siano molte più buffoni che dirigenti capaci a disposizione di federazioni o enti sportivi.
In altri momenti storie torbide come questa avrebbe avuto molta meno importanza. Ma oggi più di ieri lo sport dovrebbe sul serio avere una sua credibilità, una sua funzione sociale. Quando si parla di recupero dei ragazzi con problemi comportamentali o di droga, integrazione, educazione alle regole, cultura della sconfitta, sportività, etica cosa intendono certi personaggi che popolano istituzioni e federazioni?
Dare opportunità di ulteriore guadagno a chi si vende le partite? Offrire panchine a chi usa violenza? Garantire l’impunità a chi ruba le rette mensili senza offrire competenze qualità che servirebbero per far crescere i ragazzini?
D’accordo, la storia dello sport è piena di piccoli gialli d’estate e di classifiche reinventate a tavolino. Tutto avveniva con un buon clamore locale e una discreta disattenzione generale. Stavolta è diverso. La crisi economica, di impianti, di talenti ha messo in risalto i buchi di un movimento orfano di bravi genitori. Non c’è più niente di automatico. Io vivo in Sicilia, a Messina, per essere chiari dove le regole latitano da sempre e i modelli virtuosi sono rari.
Nella mia terra il mercato è isterico, in mano ai soliti troppo furbi, affari e promozioni non in sintonia con i tempi, il rapido sparire o l’esasperata autocommercializzazione di quelli che fino a ieri erano considerati i giocatori simbolo (?) fanno sì che la gente non capisca dove l’imbroglio la fa da padrone anche se uno che ha beccato una squalifica per essersi venduto delle partite non può rappresentare il meglio di una istituzione o di una piazza sportiva, di un club e di una città. Logica vorrebbe che certi gentiluomini sparissero dalla scena.
L’illecito sportivo deve essere trattato con una durezza che rispecchi la fragilità e la diversità dei tempi. Non bastano più le retrocessioni e le squalifiche. Bisogna cominciare a dirsi che concordare un risultato è prima di tutto una truffa. Ed è il momento che chi cade nella tentazione di perpetrarla sappia che a giudicarlo non sarà solo la sua coscienza.
Chi ha orecchi per intendere, intenda.