C’era una volta un mondo in cui i mariti timbravano il cartellino dal lunedì al sabato, e le mogli si occupavano dei figli, della casa e di fare spese durante la settimana. La domenica si andava in chiesa, pranzo in famiglia e poi allo stadio.
E’ quello il mondo cui guarda la maggioranza di governo quando si propone di ripristinare per legge la chiusura domenicale dei negozi.
Ma quel mondo non c’è più e nessuna legge potrà resuscitarlo.
Oggi il lavoro è flessibile, spesso non esistono weekend liberi. Le donne, deo gratias, si sono in buona parte liberate dal ruolo domestico imposto loro e hanno iniziato a lavorare anch’esse. Persino le partite di calcio ormai si giocano durante tutta la settimana.
Con i negozi chiusi per legge la domenica, fare spese tornerà ad essere un incubo: usciti dal lavoro durante la settimana, stanchi morti e con i figli in braccio appena ripresi dall’asilo, si è costretti a tuffarsi in supermercati affollati prima che chiudano per la giornata.
La liberalizzazione degli orari dei negozi, come dimostrano le esperienze fatte in tutti quei Paesi che l’hanno sperimentata, ha portato molti benefici, e non solo ai consumatori. Aumenta infatti l’occupazione e, contrariamente a molte leggende popolari, non costringe i piccoli esercizi a rimanere aperti anche la domenica per sconfiggere la concorrenza dei grandi supermercati.
Certo, è comprensibile che questo nuovo mondo non piaccia a buona parte dell’opinione pubblica, sempre più anziana e quindi sempre più rivolta all’età dell’oro che fu, un’età libera dai vincoli UE, dai mercati internazionali, dalla globalizzazione, dalle famiglie omosex, dalle frontiere aperte, dagli immigrati, dai turisti low-cost, dal commercio online, e dalle aperture domenicali.
Ma se sognare intimamente un ritorno al passato è naturale e umano, quando lo si applica all’arte di governare, si chiama conservazione e reazione. Altro che cambiamento e rivoluzione…
Pietro Moretti, vicepresidente Aduc