Il 13 settembre 2018 dovrà essere ricordato come un giorno in cui l’Unione Europea, e soprattutto il Parlamento, ha dato un segnale significativo di cosa sia e come possa migliorare la sua funzione per la nostra vita di tutti i giorni.
Riconosciuto il diritto d’autore a fronte del perpetuarsi del furto in corso da anni da parte delle potenti multinazionali americane dell’informazione sul web. Riaffermato il diritto per uno Stato (l’Ungheria) a continuare ad esser parte dell’Unione a condizione che rispetti gli impegni presi, nella fattispecie in materia di libertà d’espressione e diritti dei migranti.
Nello specifico. Non si tratta di provvedimenti definitivi: il Parlamento europeo “apre” in questo senso verso le istituzioni comunitarie che poi decidono. Non si può quindi cantar vittoria a piena gola, e non sarebbe la prima volta che un provvedimento, quando arriva a diventare impositivo, sia un po’ snaturato rispetto alla sua versione originaria.
Ma è comunque una tendenza, un segnale che coloro che abbiamo mandato al Parlamento di Strasburgo a rappresentarci hanno cognizione di causa della loro funzione e di quella dell’Unione. Un segnale che va valorizzato, alimentato e portato come esempio, visto che il prossimo anno dobbiamo rinnovare il Parlamento di Strasburgo e, considerati i raffreddori e le influenze (come quella italiana) sovraniste in atto in diversi Stati dell’Unione, forse ci potrà servire ad impedire di ritrovarsi con un Parlamento in cui le maggioranze hanno come obiettivo di minare le politiche dell’Unione stessa.
Che fare? Prima di tutto non basta solo incassare un aspetto positivo, portarselo a casa e tenerselo ben stretto: non dobbiamo commettere l’errore di solo guardarci allo specchio e/o parlare con gli amici per complimentarci e confermare la giustezza di un percorso come quello a-nazionale dell’Unione Europea. L’imperativo che ci dovrebbe tormentare è di diffondere il più possibile quanto è accaduto il 13 settembre e, soprattutto, spiegare nei particolari, a chi ci sembra poco convinto o contrario, quali sono i benefici che ogni individuo, ogni cittadino europeo ne può trarre.
Facciamo un esempio: da parte dei detrattori dell’Unione si sente spesso ripetere che l’appartenenza ci costa di più rispetto ai vantaggi che ne deduciamo. Per chi, come noi e non solo, ha consapevolezza dei numeri dell’Italia e della Ue sulle varie politiche (agricole, umanitarie e dei diritti -per esempio), vuol dire che c’e’ un blocco di comunicazione verso l’esterno, visto che, rispetto a queste “dicerie” è vero proprio il contrario.
Dov’è che abbiamo fallato? E’ probabile che ci siamo troppo seduti sugli allori: abbiamo dato per scontato che la consapevolezza che noi abbiamo acquisito su questa utilità fosse diffusa, e non ci siamo resi conto che, non evidenziando ogni giorno i pro di certe politiche, abbiamo dato ampio spazio a coloro che evidenziavano solo alcune ricadute negative. Che innegabilmente ci sono, ma sempre limitate e comunque riassorbibili con politiche di critiche positive e costruttive.
Dobbiamo porci una domanda: siamo in grado di organizzarci, individualmente e collettivamente per non perpetuare questa carenza? Quanto -ognuno di noi- è disposto ad impegnarsi per stare sempre attento a “fare le pulci” a ciò che funziona e a ciò che non funziona?
Siamo, cioè, in grado di mettere con le spalle al muro gli esperti della distruzione e della detrazione, non dicendo che sono tali perchè sporchi, brutti e cattivi, ma perché siamo in grado di dimostrare l’utilità di ciò che funziona e farci anche paladini per evitare gli errori di ciò che non funziona?
Domande su cui le risposte sono dentro di noi e dentro le funzioni e mansioni civiche che ognuno di noi svolge quotidianamente: dalla scuola alla produzione e al mercato; dai diritti umani, individuali (non ultimi i diritti dei consumatori) e dei migranti alle garanzie giudiziali e normative; dal lavoro alle concorrenze e le opportunità in materia; dai contributi comunitari che spesso tornano al mittente perché non siamo in grado di utilizzare, allo studio delle problematiche sulle quali questi fondi potrebbero essere funzionali; etc. Cioè: ognuno nel suo ambito, piccolo o grande che sia.
Un modo per rendersi ancora meglio conto di essere in Europa, di essere non a caso tra i fondatori di questa Unione, e di avere una potenzialità rinnovativa e innovativa proprio in virtù di quello che siamo stati fino ad oggi e che potremmo continuare a essere migliorando. Ancora cioé. Consegniamo ai nostri figli e nipoti un’Unione che, a partire dalla conoscenza della stessa, questi nostri cari siano in grado di far funzionare.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc