I dati della crescita irrazionale della popolazione mondiale sono sotto gli occhi di tutti (i numeri ONU e non solo sono reperibili ovunque). Irrazionale (ma è l’umano razionale di base?) perché si sta manifestando in quei Paesi dove è più difficile far fronte ad aumenti della popolazione: “complice” un maggiore benessere sociale ed economico, il calmiere fino a poco tempo fa utilizzato per evitare esplosioni – le morti giovanili e la bassa aspettativa di vita – si è ridimensionato.
Niente di particolarmente fantasmagorico, ma nel Terzo e Quarto mondo oggi si muore meno di prima. La popolazione quindi cresce, muore meno ma continua a star male. Un altro “complice” è la diffusione delle comunicazioni di massa (telefonia cellulare al primo posto), che consentono anche al più demunito di essere informato su cosa l’essere umano è in grado di fare per stare meglio; e da qui la domanda scontata: perché devo stare male così tanto se magari -anche con rischi notevoli per arrivarci – lì dove stanno meglio, anche quelli che stanno peggio stanno comunque meglio di come io sto qui? Ecco la logica di base delle migrazioni. Logica secolare legata anche al naturale istinto umano di sperimentare ed essere altrove, ma che la necessità economica fa diventare quasi indispensabile.
In questo contesto si inserisce un Paese come l’Italia, dove invece la natalità è in calo come in altri Paesi cosiddetti occidentali, con programmi discussi e in discussione di assorbimento dei migranti ma – complice anche il contesto politico ed economico europeo – notevolmente insufficienti alla bisogna. Da qui nascono le diatribe quotidiane istituzionali e non, che portano anche alla recrudescenza di uno dei mostri di molte culture (inclusa quella italiana): la xenofobia e il razzismo. Che se applicati – come in qualche modo, talvolta di riflesso, si sta cercando di fare nell’attuale contesto politico italiano – arrecano più danni che altro. E’ ovvio che dipende poi dalle persone… ma chi è che gode a vivere in una sorta di fortezza? Il confronto, il dibattito, le proposte sono materia quotidiana, difficile e con forti contrasti, ma al momento almeno se ne discute e non vige un regime di imperiosa applicazione del diritto degli amanti delle fortezze.
Ma -fortezza o meno – vige un problema non secondario: quello demografico. Che si pone per poter capire come garantire, anche a quelli che non sono migranti, il benessere quotidiano: una società ed un’economia modellate in modo che è difficile non fare a meno di forza lavoro per tante attività, macchine e tecnologie imperanti e sempre più diffuse ma di fatto insufficienti. Si va dai medici ed infermieri insufficienti nei reparti, per esempio, di pronto soccorso, ai lavori agricoli stagionali e non solo.
Che fare? Chi oggi in Italia ci governa sembra interessato alla costruzione della fortezza di cui sopra, mentre non ci dice nulla per i cosiddetti lavori qualificati (i medici continuano a mancare e le facoltà di medicina continuano ad avere il numero chiuso), per quelli apparentemente meno qualificati non ha trovato di meglio che ricorrere alla leva demografica: il disegno di legge di bilancio varato lo scorso 15 ottobre dal consiglio dei ministri, oggi al vaglio del Parlamento, per il settore agricolo, prevede anche la concessione gratuita, per 20 anni, del 50% dei terreni agricoli del Demanio e delle Regioni, ai nuclei famigliari con terzo figlio nato negli anni 2019, 2020 e 2021.
Un invito, quindi, a fare figli sì da avere braccia per la terra propria e, comunque, della patria, visto che la gratuità è solo di 20 anni. Tre figli. Mica uno scherzo, visto che queste braccia dovrebbero diventare ufficialmente disponibili per la terra patria solo a partire dalla fine della scuola dell’obbligo, e quindi fino ad allora sul groppone delle giovani famiglie agricole che, va bene le concessioni gratuite, ma lavorare la terra – almeno ai presunti livelli aziendali modesti che vengono coinvolti da questo provvedimento – non è una passeggiata. Non si può non pensare, per esempio, a lavoratori agricoli da assumere (non a due euro l’ora…) tra i migranti, quelli che già ci sono e quelli che potrebbero essere chiamati alla bisogna. Ma lo pensiamo solo noi, che abbiamo fatto le premesse di prima su demografia e migrazioni? Sembra di sì. Sembra proprio che avere una visione di insieme anche per la demografia e per le migrazioni, in un mondo di comunicazioni globali e di economie altrettanto globali (qualcuno vuole rinunciare, per esempio, a quelle confezioni di 100 cucchiaini di plastica che, fatti in un qualche Paese dell’Asia, i nostri supermercati vendono a 0,80 euro?), non vada per la maggiora. Noi siamo abituati a fare 2+2=4 e non ci piace che al nostro “4” ci venga invece proposto un “vedremo” (che è una delle tipiche allocuzioni che sembra caratterizzino la cultura italiana, inclusa quella economica, nel mondo).
Le proposte che ignorano gli aspetti demografici e che – come nel caso dei tre figli che abbiamo riportato – aggravano la situazione, fanno parte di una cultura e di una pratica che si chiama nazionalismo. Già ampiamente sperimentato nei secoli passati (essenzialmente Ottocento e Novecento) e che ci ha portato a non pochi disastri, anche umani. In qualche modo l’Italia ha cercato di andare oltre facendosi promotrice di quella che oggi è l’Unione Europea, su cui c’è ancora molto da lavorare perché si passi da una confederazione di diversi col potere di veto ad una federazione di diversi con intenti comuni amministrati da istituzioni popolarmente rappresentative dei cittadini e non degli Stati. Bene: il provvedimento dei tre figli proposto dalla manovra 2019, non solo va in disaccordo coi nostri diretti e privati interessi, ma anche con quelli di istituzioni come l’UE e l’ONU.
Dove quest’ultima non perde mai occasione di ricordarci che la popolazione mondiale sta esplodendo, e che le politiche per contenerla e far sì che chi già esiste non sia un pericolo per i propri simili sono insufficienti e dannose.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc