Leggo, in un quotidiano di un ennesimo femminicidio. Gli argomenti dell’articolo sono sempre gli stessi: si parla di “movente passionale” quando si dovrebbe parlare di violenza di genere; si cita l’assassino; si parla del fatto che lui “non accettava la separazione”, esattamente come in mille altri casi di questo tipo come in ogni altro femminicidio, termine che fino a qualche tempo fa non conoscevamo.
di ANDREA FILLORAMO
Leggo, in un quotidiano di un ennesimo femminicidio. Gli argomenti dell’articolo sono sempre gli stessi: si parla di “movente passionale” quando si dovrebbe parlare di violenza di genere; si cita l’assassino; si parla del fatto che lui “non accettava la separazione”, esattamente come in mille altri casi di questo tipo come in ogni altro femminicidio, termine che fino a qualche tempo fa non conoscevamo.
Si tratta di un neologismo che suona male, però serve a definire in modo appropriato la categoria del delitto perpetrato contro una donna perché donna. Non si tratta di ridurre a una invenzione mediatica un fenomeno e quindi a banalizzarlo, anche perché i numeri parlano chiaro: attraverso i telegiornali e la riproposizione in diversi programmi televisivi che amplificano le notizie, assistiamo, infatti, impotenti ad un’uccisione di una donna ogni tre giorni, notiamo il ripetersi dello stesso canovaccio in cui viene evidenziata la violenza, la crudeltà, il delirio di una o più persone.
Intanto non è un azzardo pensare che la tendenza all’emulazione possa rendere molto appetibili e frequenti gesti dei quali, appunto i media diventano complici. Assistiamo, così, in una società che non dà tutele dal punto di vista giuridico alle donne quando si trovano in situazioni particolari, a una mattanza di donne uccise dai fidanzati, mariti, compagni, ma anche dai padri a seguito del rifiuto di un matrimonio imposto o di scelte di vita non condivise.
Le cause di questo fenomeno stanno tutte in una cultura machista che, partendo dalle discriminazioni e dalle pressioni psicologiche, di cui una donna può essere vittima, giunge persino al delitto. Christine Lagarde definisce così il femminicidio: “La forma estrema di violenza di genere contro le donne prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine che comportano l’impunità tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa”.
Quando si vuole ricercare le cause di questo fenomeno che pesa sula nostra coscienza civile, non possiamo non ricorrere, come fa Lagarde, alle “condotte misogine” e, quindi, alla misoginia, cioè a quell’atteggiamento di avversione o repulsione per la donna che per moltissimo tempo ha impregnato di sé la cultura cattolica e la tessa Chiesa e ancora è ben presente come residuo di un’educazione mai criticamente dismessa, nell’inconscio di tanti.
Della misogenia nella cultura cristiana, ho scritto più di una pagina rintracciabile nel mio libro “Oblio e ricordi” del 2016. In esso, fra l’altro, si legge: “La misoginia si presenta spesso in maniera subdola: alcuni misogini hanno semplicemente dei pregiudizi contro tutte le donne, o ne odiano alcune che non rientrano in categorie ‘accettabili’ o trattano le donne in modo discriminante. Pregiudizi e discriminazione nei confronti delle donne, erano ben presenti nella Chiesa.
Nessuno allora faceva riferimento al fatto che questa chiara tendenza ha causato l’oppressione, la discriminazione e l’umiliazione per almeno diciannove dei venti secoli di storia cristiana della donna, fatta, quindi, di angherie, violenze e soprattutto attentati alla sua dignità e al suo onore. Tali violenze, sulle quali vale la pena prolungarci, solo recentemente, del resto, hanno avuto un interessante riconoscimento di colpa del Vaticano. (………..) Da che cosa nasce la ‘patologia sessuale’, che diventa anche violenza nei confronti delle donne? Di chi è la colpa di questo fenomeno?
Questi sono i quesiti che, a questo punto, con onestà intellettuale, ci poniamo. Una causa da non tralasciare di questo ‘marciume’ è sicuramente la nozione della donna, trasmessa dai Padri della Chiesa e dai principali scrittori cristiani, il cui insegnamento e la cui dottrina sono ritenuti fondamentali, anzi i capisaldi della fede cristiana e, quindi, anche della stessa cultura che non può non ispirarsi al cristianesimo. È sufficiente una breve ma significativa lista di attacchi mossi contro la donna da alcuni padri della chiesa cattolica.
È significativo il fatto che in molti casi essi sembrano fondati su una precisa conoscenza teologica e metafisica della natura dei due sessi ma alla fine, inevitabilmente, prevale l’aspetto ‘moralistico’ di condanna. Giovanni Crisostomo, 349-407, grande dottore della Chiesa scrisse: ‘La donna è un essere inferiore, che non fu creato da Dio a Sua immagine. Secondo l’ordine naturale, le donne devono servire gli uomini’. Sant’Agostino, 354-430, considerato uno dei più importanti dottori della Chiesa: ‘Il valore principale della donna è costituito dalla sua capacità di partorire e dalla sua utilità nelle faccende domestiche’. Tommaso d’Aquino, 1225-1275: ‘Con Gesù la condizione della donna cambia radicalmente, ma il comportamento del Signore non verrà compreso e accettato, e dopo di lui la donna sarà ricacciata nella sua condizione servile di sottomissione all’uomo’. Tutto questo però non è contenuto nei Vangeli”.
A tal proposito è interessante la riflessione del biblista frate Alberto Maggi a partire da una frase pronunciata da Gesù nel Vangelo ancora oggi tenuta “accuratamente nascosta” e che “non si legge mai nella liturgia domenicale: “In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto” (Mc 14,9; Mt 26,13). Scrive Maggi: “Gesù si trova a Betània (“Casa del Povero”), sulla sommità del Monte degli Olivi, “in casa di Simone il lebbroso” (Mc 14,3). Mentre egli è a tavola, “giunge una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore” (Mc 14,3). Nel Cantico dei cantici il profumo del nardo è espressione dell’amore della sposa verso il re-sposo (“Mentre il re è nel suo convito, il mio nardo spande il suo profumo”, Ct 1,12). Definito “di grande valore”, questo profumo è segno dell’amore che viene offerto. Questa donna, anonima, compie su Gesù un gesto dall’alto valore simbolico: “Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo” (Mc 14,3).
L’azione di questa donna non va confusa né con quella di Maria, sorella di Lazzaro, (Gv 12,1-8), né con quella dell’anonima peccatrice di Luca (Lc 7,36-50), donne che non ungono il capo, ma i piedi di Gesù, in segno di riconoscenza o di venerazione. “Nei Salmi e nei Profeti l’unzione del capo è un atto divino con il quale si veniva consacrati (“Ungi di olio il mio capo”, Sal 23,5; “Il Signore mi ha consacrato con l’unzione”, Is 61,1).
Pertanto l’azione della donna di versare il profumo non sui piedi di Gesù, ma specificatamente sulla sua testa, richiama esplicitamente l’unzione della testa dei sacerdoti (Es 29,4-7) e dei re (2 Re 9,1-6; 1 Sam 10,1), e la consacrazione del Messia, compito dei sacerdoti e dei profeti. L’imprevista, inaccettabile azione della donna provoca la furibonda reazione dei discepoli che “erano infuriati contro di lei” (Mc 14,5). Essi prendono a pretesto del loro sdegno lo spreco di profumo (trecento denari, pari allo stipendio annuo di un bracciante), ma in realtà non possono tollerare che una femmina, essere costituzionalmente impuro, abbia potuto compiere un’azione riservata non solo ai maschi, ma ai sacerdoti e ai profeti. In una cultura dove il termine “discepolo” esisteva solo al maschile e la supremazia del maschio era indiscussa e avallata dalla Parola di Dio, il comportamento della donna è inaccettabile e destabilizzante: “Nei vangeli le donne sono sempre presentate positivamente, contrariamente agli uomini. Il loro coraggio e la loro fedeltà superano di molto quella dei discepoli. Il messaggio evangelico che ancora nella Chiesa si fa difficoltà ad ammettere e quindi ad accogliere, è che nella comunità di Gesù la funzione profetico-sacerdotale dell’unzione non è stata svolta dai maschi, ma da una femmina: l’Unto del Signore è unto da una donna. Nei vangeli le donne non solo vengono elevate alla stessa dignità degli uomini, ma poste a un livello superiore. Infatti, mentre gli angeli erano ritenuti gli esseri più vicini a Dio e le donne i più lontani, con Gesù il compito degli angeli, quello di essere annunciatori della vita, viene affidato proprio alle donne. Sono le donne quelle che per prime riconoscono in Gesù il Messia inviato da Dio (Gv 4,25-26), quelle che sono capaci di seguirlo fedelmente e, al momento della crocifissione, secondo i vangeli di Matteo, Marco e Luca, solo le donne saranno presenti e nessun discepolo (Mt 27,55-56; Mc 15,40-41; Lc 23,49). Infine saranno le donne a incontrare per prime il Cristo risuscitato e ad annunciarlo ai discepoli (Mt 28,9-10; Mc 16,6-7; Lc 24,8-11), i quali però non ci crederanno perché la testimonianza di una donna non era credibile (Mc 16,11; Lc 24,11), ritardando così il prezioso incontro con il Risorto, non solo per quel tempo, ma anche per la vita della Chiesa di oggi. Che cosa fa il mondo ecclesiale per contribuire ad abbattere i muri che discriminano, escludono, ed emarginano le donne? In Italia le Chiese cristiane – come invita a fare l’appello ecumenico lanciato il 9 marzo 2015 da cattolici, protestanti e ortodossi – sentono urgente la necessità di impegnarsi in prima persona per un’azione educativa e pastorale profonda e rinnovata che, da un lato, aiuti gli uomini a liberarsi dalla spinta a commettere violenza sulle donne e, dall’altro, sostenga la dignità della donna e il suo ruolo sia nel privato delle relazioni sentimentali e di famiglia, sia nell’ambito pubblico. Perché nella catechesi, come nella predicazione, sono sistematicamente taciute le questioni relative alla violenza domestica e coniugale ovvero al femminicidio? Quante le comunità cattoliche che nel mese di maggio 2016, accogliendo l’invito di papa Francesco (per il quale rimane molto da fare «per le donne che sono in situazioni molto difficili, scomparse, emarginate, persino ridotte in schiavitù), hanno pregato «perché in tutti i paesi del mondo le donne siano onorate e rispettate, e sia valorizzato il loro imprescindibile contributo sociale»”? A conclusione, mi piace ancora citare Papa Francesco che, rispondendo a domande dei giornalisti sull’aereo che lo ha riportato a Roma dopo la GMG 2013 in Brasile, ha detto: “Una Chiesa senza le donne è come il collegio apostolico senza Maria. Il ruolo delle donne è l’icona della Vergine, della Madonna. E la Madonna è più importante degli apostoli. La Chiesa è femminile perché è sposa e madre. Si deve andare più avanti, non si può capire una Chiesa senza le donne attive in essa. Non abbiamo ancora fatto una teologia della donna. Bisogna farla”.