Per secoli la Chiesa si è ritenuta l’unica interprete della parola di Dio e ha sempre cercato, nella lettura dei libri, di porre barriere invalicabili…
di ANDREA FILLORAMO
Per secoli la Chiesa si è ritenuta l’unica interprete della parola di Dio e ha sempre cercato, nella lettura dei libri, di porre barriere invalicabili, giacché ha pensato che proprio attraverso la carta stampata (oggi possiamo aggiungere attraverso i media) possono essere messe in discussione o si possono negare la sua dottrina e la sua morale.
Essa, inoltre, ha reputato per secoli che solo nella chiesa e, quindi, accettando anche passivamente e quindi acriticamente quanto essa predica, dice e fa, si può aspirare alla salvezza eterna, poiché “extra Ecclesiam nulla salus”.
E’ questa, per i cattolici, un’incontestabile verità di fede continuamente ripetuta dai Padri e dal Magistero e quindi dai Papi, come, per esempio Pio XII che scrisse in una lettera al Sant’Officio, dell’8/11/1949: «Ora tra le cose che la Chiesa ha sempre predicate e che non cesserà mai dall’insegnare, vi è pure questa infallibile dichiarazione che dice che non vi è salvezza fuori della Chiesa».
Per tali motivi l’argomento “censura” su quel che si scrive o si parla o sulle critiche che si possono fare alle persone “sacre” e cioè sul papa, sui vescovi o sui preti, è stato al centro dell’attenzione inquisitoria della Chiesa, che così facendo molto spesso nascose il “fango” che con il tempo si accumulava.
Così del resto è stato già dai primi secoli del Cristianesimo ma si fece più evidente dal 1470, anno in cui iniziò a decollare l’industria della stampa che si diffuse poi rapidamente prima in Germania e in Italia, e da lì gradualmente in tutta Europa.
Da allora la Chiesa è corsa ai ripari per limitare la diffusione di idee che potessero a suo parere inquinare la purezza della fede e, quindi, la nascita o l’affermarsi di un pensiero libero, laico, un pensiero cioè che non si identifica con alcun credo, con alcuna filosofia o ideologia, un pensiero che esprime l’attitudine ad articolarsi secondo principi logici che non possono essere condizionati, nella coerenza del loro procedere, da nessuna fede, da nessun pathos del cuore.
Nel 1543 sebbene dopo l’emanazione della bolla “Licet ab initio” non conferisse a nessuno le competenze in materia di censura questa si realizzò attraverso un controllo di tutto ciò che veniva stampato.
Furono, perciò, incaricati dei delegati per ispezionare biblioteche, botteghe di tipografi e librai, case private, conventi e monasteri per sequestrare e bruciare i libri ritenuti proibiti che venivano rinvenuti.
Fino ad allora mancavano liste ufficiali di interdizioni, la cui predisposizione venne avviata alla fine degli anni ’40.
Affidata dapprima al Maestro del S. Palazzo, poi ai generali di alcuni Ordini, venne trasferita, infine, da Paolo IV all’Inquisizione che promulgò il primo indice romano il 30 dicembre 1558. Da questo momento la storia della censura ecclesiastica è intimamente legata a quella degli Indici.
Il primo Indice dei libri proibiti è stato un elenco di pubblicazioni proibite dalla Chiesa cattolica, creato nel 1559 continuamente aggiornato fino alla metà del XX secolo, soppresso dopo quattrocento anni, dalla Congregazione per la dottrina della fede il 4 febbraio del 1966. L’Indice rappresenta il modo più concreto con cui La Chiesa esercitò per tanto tempo un potere di censura nei confronti della cultura che per sua stessa natura non può tollerare limiti, condizionamenti e censure.
La censura appare nel Codice di Diritto Canonico (Codex iuris canonici) nel canone 1385, nel Titolo XXIII: «Censura preliminare dei libri e il loro divieto».
In esso veniva stabilita la pena della scomunica «per coloro che pubblicano libri di apostati, eretici e scismatici, che propugnano l’apostasia, l’eresia e lo scisma, e anche coloro che difendono o, senza permesso, leggono […] tali libri o altri libri proibiti nominativamente». Incorrevano nella scomunica semplice «autori ed editori che, senza la dovuta licenza, fanno stampare i libri».
La censura ecclesiastica ebbe forti conseguenze culturali e le “espurgazioni” furono tante. Dal 1966, come abbiamo detto, a seguito delle riforme del Concilio Vaticano II, l’indice venne ufficialmente abolito, anche se non del tutto.
A carattere “informativo” è rimasto in vigore un Indice bibliografico che però non prevede sanzioni.
In questo indice bibliografico sicuramente entrerà il libro – inchiesta “Sodoma” del giornalista francese Frédéric Martel in cui, senza censura il prossimo 21 febbraio – negli stessi giorni in cui i presidenti delle Conferenze Episcopali si riuniranno a Roma, convocati da Papa Francesco, per affrontare il grave problema degli abusi sessuali da parte del clero. L’autore non cerca lo scandalo facile, come invece hanno fatto altri libri ed altre inchieste sul delicato tema, ma punta a spiegare il marcio che c’è al cuore del Vaticano e della Chiesa Cattolica, dando una nuova chiave di lettura alla guerra contro Papa Francesco che un gruppo di potenti membri della Curia sta portando avanti da tempo.
Egli, senza tema di essere smentito dimostra come il Vaticano è la comunità gay più numerosa e potente del Mondo.
È questa la premessa del nuovo libro che promette di scuotere la Chiesa Cattolica come mai accaduto prima d’ora, un’inchiesta durata quattro anni in oltre 30 Paesi del Mondo, con più di 1500 interviste che hanno permesso di scavare a fondo in quello che per troppo tempo è rimasto un enigma, anche per la censura, diventata spesso omertà e ipocrisia che domina da tempo i Sacri Palazzi e che Papa Francesco non riesce ancora a demolire.