ACQUA, ISLAM E ARTE: alcuni dei più importanti musei europei ed extraeuropei – tra i quali l’Ashmolean Museum of Art and Archaeology di Oxford, il L.A. Mayer Museum of Islamic Art di Gerusalemme, il Benaki Museum di Atene, il Museo de La Alhambra di Granada, la Biblioteca Apostolica Vaticana, il Museo Nazionale del Bargello di Firenze, il MUCIV – Museo delle Civiltà di Roma – hanno messo a disposizione le loro preziose opere per realizzare una grande mostra che racconta il rapporto tra acqua e Islam, dalle sue radici più antiche ai suoi tanti complessi sviluppi, sino alle necessità più recenti.
La goccia d’acqua che lasciò la sua casa, l’oceano,
Quando vi fece ritorno
trovò un’ostrica ad aspettarla
e divenne una perla.
Rumi
Mā’, due lettere in arabo. Comincia tutto da lì.
A partire dalle affermazioni del Corano e della letteratura successiva, si illustra lo sviluppo storico dei tanti ruoli e significati ricoperti dall’acqua e l’incarnazione dei suoi significati nell’arte e nei manufatti islamici.
Tra l’acqua e il mondo islamico esiste infatti un rapporto antico e intimo. Le ragioni climatiche lo spiegano solo in parte: vi è un’eredità antica di culture e civiltà precedenti, un senso religioso profondo e tante complesse ragioni sociali e culturali. L’acqua appartiene ai nostri sogni più profondi: evoca la maternità, la pulizia, la purità, la sensualità, la nascita e la morte. Questo naturalmente vale per ogni civiltà, ma nell’Islam tale serie di idee ha trovato un suo senso più profondo, facendo dell’acqua uno dei cardini stessi dell’esistenza umana: un cardine tanto spirituale quanto sociale ed estetico.
La mostra è una narrazione attraverso immagini, reperti, libri e miniature: tecnologia, vita quotidiana e arte, che per secoli si sono rispecchiate nelle tante diverse fruizioni dell’acqua.
Grazie ai prestiti concessi dalle più importanti istituzioni europee ed extraeuropee, da autorevoli collezionisti privati e alle preziose opere custodite al MAO, l’esposizione testimonia la varietà e la ricchezza di manufatti legati al tema e all’uso dell’acqua. Tra gli oltre 120 manufatti esposti, vi saranno bocche di fontane siriane, una brocca iznik del XII secolo, tappeti che coprono un arco temporale che va dal XVI al XIX secolo, una coppa in vetro iraniana del IX-X secolo, uno spargiprofumo del XII secolo proveniente dall’India, oltre a numerosi manoscritti.
Verranno raccontate le canalizzazioni siriane, i giardini di Spagna e i bagni di Istanbul. Ma non solo. Vi sarà spazio anche per guardare all’eredità islamica nel mondo europeo: dal cinquecento sino all’orientalismo ottocentesco – nelle vetrine troveranno spazio straordinari oggetti “trasformati”, come il vaso d’arte fatimide del X-XI secolo con montatura di manifattura fiorentina del 1555 diventato un reliquiario o oggetti ispirati al mondo islamico, come il catino da barbiere di manifattura veneta – fino a scoprire che tanto di quel passato non ci è solo vicino, ma ci appartiene intimamente.
L’allestimento giocherà con il suono e il movimento dell’acqua, così da far immergere opere e visitatori in un paesaggio di armonie sonore e visive. Richiamando impianti e simboli, la mostra si suddivide in quattro tematiche principali. Un percorso scandito da grandi temi, che servano a sottolineare le caratteristiche comuni di tale relazione, pur mostrando l’importanza delle varie differenze culturali e regionali dei mondi islamici. Il percorso comincerà dalla fruizione religiosa: la parola del Corano, il pellegrinaggio, la preghiera, la purificazione. E per questa via il pubblico entrerà poi nella seconda sala, per una necessaria sosta nell’hammam, nel bagno inteso come luogo di purificazione e aggregazione, per sottolinearne il senso religioso, igienico e sociale. Poi si seguiranno i percorsi dell’acqua sino all’interno delle case e dei palazzi, nella vita quotidiana, tra sostentamento e convivialità, per affrontare infine il tema dell’approvvigionamento, degli acquedotti e delle fontane. Per questa via sarà inevitabile uscire infine negli spazi aperti, quelli dell’agronomia e del giardino, per parlare di campagne, di oasi e degli spazi domestici o pubblici adibiti alla coltivazione e alla ricreazione. Tecnologia, vita quotidiana e arte, che per secoli si sono rispecchiate nelle tante diverse fruizioni dell’acqua. Per non dimenticare quanto tutto questo parli al presente, visto che l’acqua è oggi forse il bene più fragile e conteso e che troppa parte del mondo musulmano lotta e soffre per l’accesso a quella risorsa.
SEZIONI DI MOSTRA
Nella prima sezione si affronterà l’importanza dell’acqua nella religione islamica. Nel Corano, ad esempio il termine mā’, “acqua”, ricorre più di 60 volte, presentandosi nelle sue svariate forme (pioggia, rugiada, sorgente, mare, fiume, ecc.) e sia al Corano, sia agli hadith si deve anche l’importanza dell’offerta di ospitalità, valore profondamente radicato nella struttura della società araba già prima dell’Islam In quanto veicolo del sacro, l’acqua, soprattutto a livello popolare è stata collegata da sempre alla magia e usata per varie tecniche di divinazione. Il simbolismo islamico ha dato un posto importante all’acqua corrente, considerata benefica, al contrario di quella stagnante, considerata rifugio dei demoni. Spesso si attribuiva un carattere particolarmente misterioso alle sorgenti calde, talvolta ritenute luoghi di passaggio con il mondo sotterraneo.
Tutto comincia col calore; un calore particolare, sprigionato dalla terra attraverso acque profonde, così si arriva all’hammam, il secondo tema. L’uso delle acque calde risale alle civiltà più antiche e anche per il mondo islamico l’acqua purificava e curava. Anzi di più: l’acqua è una manifestazione della stessa bontà divina. Dal IX-X secolo circa l’hammam diviene uno degli elementi più caratteristici e diffusi delle città islamiche, tanto che si raccontava, sicuramente esagerando, che Baghdad ne contasse 10.000. Inoltre, grazie all’acqua purificatrice l’hammam simbolizza e consente la purezza rituale del musulmano. Lavarsi, purificarsi, curarsi: l’hammam raccoglie su di sé questi significati amplificandoli e ha finito con l’assumere una fondamentale centralità nella vita urbana del mondo islamico, i bagni erano il luogo dove un’intera società si incontrava. Fu attraverso il mondo ottomano che gli europei incontrarono l’hammam e lo chiamarono “bagno turco”. Di quei luoghi, della loro quotidianità, videro in realtà poco e immaginarono molto. La sensualità del bagno e la sua valenza erotica erano ovviamente già ben presenti al mondo islamico, ma per gli europei l’hammam, divenne quasi un’espressione tangibile di quella lussuria che essi attribuivano agli “orientali”.
Nella terza sezione si indaga il fondamentale ruolo dell’acqua da bere nel mondo islamico: l’uso pubblico e la convivialità. Fin dall’antichità l’approvvigionamento e il trasporto dell’acqua si sono avvalsi di grandi opere d’ingegneria, ma la conservazione e la distribuzione furono il punto cruciale. Ovunque e sin dall’inizio, i governanti musulmani si distinsero nella costruzione di grandi cisterne, migliorarono e ingrandirono la rete sotterranea di canalizzazioni. Secondo un famoso hadīth, l’acqua è considerata come proprietà comune e ovviamente un simile pronunciamento fu da subito insufficiente per dirimere le infinite questioni legate all’acqua e la gestione divenne una questione di potere così come un mezzo attraverso il quale il sovrano o il governatore mostravano la propria benevolenza al popolo, esempio ne sono le innumerevoli fontane pubbliche. L’acqua era un soggetto di particolare interesse anche per i geografi arabi che spesso nelle loro opere fornivano dettagli riguardo alle differenti modalità di approvvigionamento idrico delle varie città e regioni. Anche la letteratura gastronomica spesso dedicava specifici capitoli all’acqua, inoltre l’acqua serviva come base per la grande varietà di bevande, alcune delle quali erano considerate anche farmaci o tonici e le si può incontrare persino nella letteratura medica. Altro aspetto affrontato è quello delle tecnologie idrauliche ed irrigue che si fonde con la storia della diffusione delle tecniche agronomiche e idrauliche nel Mediterraneo islamico, che dalla tradizione classica giunge al medioevo occidentale. Una tradizione che ha sempre visto nel giardino e nelle sue acque un luogo di delizie, uno spazio privilegiato e, in molti casi, adibito alla cura.
L’ultimo tema, raccontato e mostrato, è appunto quello dei giardini. Il modello del giardino islamico, che sul piano della cosmogonia islamica è percepito come una ripetizione del paradiso. Nel Corano sono giardini perennemente ombrosi e fioriti, situati molto in alto ma con frutti bassi e facili da cogliere; Sono immensi, sono cinti da mura e aperti da più porte; in essi zampillano fontane, scorrono ruscelli e fiumi di latte, vino e miele. Un simile modello, così forte sul piano iconografico, avrebbe profondamente ispirato l’arte islamica. Ma il giardino è anche un elemento architettonico che ebbe una sua complessa storia sociale, una fruizione quotidiana e suoi usi culturali che non necessariamente si rifecero sempre alle altezze del paradiso.
Su un piano funzionale, il giardino arabo risponde a delle attese precise. Il giardino arabo rimanda almeno in parte, all’immagine dell’oasi: l’opposizione tra piante e deserto, tra luogo coltivato e terra di nessuno, tra nomade e sedentario. Il mondo islamico sperimentò da subito una profonda innovazione dell’agricoltura fino ad arrivare ai giardini monumentali, quelli dei palazzi dei più ricchi e degli uomini di governo, dove sappiamo ci si ricreava, bevendo, amoreggiando, ascoltando musica o dedicandosi ad altri piaceri. Talvolta vi si tenevano convivi, ritrovi nei i quali si recitavano le più svariate opere letterarie; incontri che per lungo tempo furono di fatto tra i principali luoghi di trasmissione del sapere nel mondo arabo-islamico.