Non so quanti sanno che nel cuore dell’Europa, da qualche anno si combatte una guerra molto strana, forse non dichiarata, mi riferisco alla guerra in Ucraina. In questo vasto territorio, si contrappongono due eserciti, da una parte i filo russi, che vogliono rimanere con la Russia di Putin, dall’altra chi vuole l’Ucraina indipendente, ma che guarda all’Unione Europea. Tra qualche mese si andrà a votare per rinnovare il parlamento europeo, quindi gli elettori dovranno pur sapere quello che succede nel nostro continente. Chissà se la questione Ucraina sarà argomento delle prossime elezioni.
Intanto da poco è uscito un interessante e documentato libro, forse l’unico: «Ucraina. La guerra geopolitica tra Stati Uniti e Russia», pubblicato da Historica Edizioni (2019), gli autori sono Fabrizio Bertot e Antonio Parisi. Il libro è stato presentato il 19 marzo scorso in un noto albergo di Torino alla presenza di un folto pubblico. Per l’occasione è intervenuto uno degli autori del libro, Fabrizio Bertot, Walter Maccantelli di Alleanza Cattolica e Maurizio Marrone consigliere comunale di Torino. La serata è stata moderata da Beppe Fossati, direttore di “Cronacaqui”.
L’Ucraina, per noi italiani ma anche per molti europei, è un po’ un oggetto misterioso. Ha avuto un po’ di attenzione internazionale solo per i disordini e la complessità delle sue dinamiche politiche.
Ucraina in slavo antico significa confine, un termine appropriato per questo territorio. Oggi in Ucraina ci sono popolazioni diverse, sensibilità diverse, tendenze diverse, ed è diventato il terreno di competizione tra interessi economici contrastanti, la scacchiera dove si giocano partite tra est e ovest, spesso sulla pelle non solo dell’Ucraina ma di tutta l’Europa.
Nel 1 e nel 2 capitolo del libro si racconta la storia antica e recente dell’Ucraina, sconosciuta nell’Europa occidentale. Per certi versi secondo Bertot, si può dire che la sua storia “europea” dell’Ucraina inizi solo dopo il 1990, con la sua indipendenza. Subito si è notato che l’Ucraina era profondamente divisa tra Est e Ovest, tra Occidente e Russia, cosa che è stata confermata dalle campagne elettorali in cui si presentavano candidati filo-russi contrapposti a candidati filo-europei.
«Si tratta di una situazione complessa. In Ucraina non c’è in atto solo uno contro interno determinato da rivalità politiche tra partiti avversi ma, dietro al desiderio di autonomia e indipendenza da parte di regioni orientali sino a oggi appartenute al territorio ucraino, vi è un universo di interessi che determinano posizioni contrastanti anche a livello internazionale». E proprio questo nel libro viene descritto. I maggiori protagonisti interessati in questa area territoriale sono gli Stati Uniti, la Nato, l’Unione Europea, la Federazione russa e naturalmente la stessa Ucraina, che conta ben 40 milioni di abitanti. Per Bertot, per certi versi, «sembra di assistere a una sorta di riedizione della così detta ‘guerra fredda’ che nel secolo passato vide opporsi gli Usa e i suoi alleati della Nato alla coalizione dell’Urss affiancata dai Paesi aderenti al Patto di Varsavia». Certamente non sarà più come allora uno scontro ideologico.
Il libro è riuscito a fare un esame spassionato e imparziale della questione ucraina, attraverso una gran mole di documenti reperibili in rete e negli archivi delle istituzioni internazionali. «Proprio lo studio fatto sulle ‘carte’ e l’aiuto offerto dalle fonti giornalistiche porta a delle conclusioni sorprendenti: nella questione ucraina si è assistito e si continua ad assistere a condotte quanto meno azzardate, se non addirittura dilettantistiche, da parte di Paesi ed enti coinvolti». E qui Bertot accenna alla frase carpita alla segretaria di Stato del presidente Barack Obama, Victoria Nuland che nel gennaio del 2014, discutendo con l’ambasciatore americano in Ucraina, mandava a «farsi fottere l’Unione Europea». Altra vicenda abbastanza inquietante è la faccenda dei tre ministri non ucraini, immessi all’interno del governo. Una novità mai vista prima in Europa. Hanno preso la cittadinanza ucraina, concessa un giorno prima di essere nominati, dal presidente Poroschenko. Tutti e tre provenivano da università americane. Anche qui sembra esserci lo zampino di Soros.
Praticamente emergono troppe interferenze di fondazioni private che influiscono sulle politiche e le cancellerie dei vari Stati sulla questione ucraina. E qui gli autori del libro si chiedono che ruolo abbiano avuto le organizzazioni legate al finanziere ungherese George Soros.
Pertanto per capire l’Ucraina di oggi occorre studiare la storia del Paese. Riflettere sulla rivalità che da secoli oppone Mosca a Kiev. E’ «una storia d’amore e odio tra madre e figlia», è il titolo del 2° capitolo. Una rivalità che ha un forte peso nell’Ucraina di oggi. Infatti, parte degli abitanti si sente più vicina a Mosca che a Kiev. Ecco perchè «la degenerazione di questi contrasti e l’accelerazione degli eventi sono sfociate in una vera guerra intestina». Tutto è iniziato alla fine dell’inverno del 2013, quando migliaia di ucraini si riunirono nella piazza contro il governo di Victor Yanukovych, che aveva rinunciato alla posizione filoeuropeista, davanti al parlamento, il cosiddetto Euromaidan.
Poi dopo con il governo di Petro Poroshenko, che a differenza del precedente, si è dichiarato vicino alle politiche europeiste di Bruxelles, l’Ucraina si spacca in due. Una parte della popolazione, prima in Crimea e dopo nelle regioni orientali, si sentono poco legati alla cultura europeista di Kiev, ma molto sensibili allo spirito della Santa Madre Russia. Tutto questo produsse la secessione della Crimea con un contestato referendum, il 13 marzo 2014, scelse di annettersi alla Federazione russa. Qui in particolare, Bertot, in qualità di osservatore del parlamento europeo, era presente e racconta dei fatti interessanti, soprattutto che riguardano i giornalisti e i media italiani. Subito dopo, le regione del Dombass e del Lugansk, molto vicine alla Russia di Putin, decidono di rendersi autonome da Kiev, autoproclamandosi repubbliche popolari. E così si arriva allo scontro anche allo scontro, tra i filorussi e i e i filoeuropei.
Il libro di Bertot e Parisi, in particolare nel capitolo 8°, prendono in esame i numeri della guerra, che non può essere definita “crisi”. Una guerra che secondo gli autori del libro, sarebbe più corretto chiamarla fratricida. Dal 2014 al 2017, la guerra in Ucraina ha comportato 10.225 morti tra militari e civili. I feriti sono stati 24.500. Naturalmente all’interno di questa guerra ci sono diritti violati da ambo le parti. Basta leggere il rapporto dell’Ufficio dell’Alto Commissario dell’Onu. Si parla di violenze, torture e arresti indiscriminati. «Il sangue versato fa sempre orrore e ancora di più lo fa se avviene come nel nostro caso in un contesto di guerra nel cuore del civilissimo continente europeo. In Ucraina si sta combattendo forse un tipo di guerra peggiore delle altre, perché non c’è guerra più difficile da far cessare di quella non dichiarata, proprio come questa».
Secondo alcuni osservatori in Ucraina potrebbe scoppiare il terzo conflitto mondiale. Secondo Bertot, «Le premesse ci sono tutte: controllo delle risorse energetiche, predominio sull’Europa e sull’Asia, l’eterno contenzioso tra Usa e Russia, insomma. Basterebbe un incidente più grave degli altri a scatenare una serie di conseguenze imprevedibili».
Gli autori, per dare l’idea del tipo di guerra che si sta combattendo, elencano alcuni suicidi o incidenti, di uomini di governo ucraini, che ricordano molto da vicino, quelli dei tempi dei “suicidi di Stato” di sovietica memoria. Il testo fa riferimento anche alla composizione degli eserciti in campo. Ci sono i cosiddetti, mercenari, chiamati, “contractor”, un termine sfumato che significa guardia, vigilantes, scorta, c’è una buona colonia di italiani, che combattono da una parte e l’altra.
«Sembra di assistere, – scrivono Bertot e Parisi – a una riedizione della guerra civile spagnola», quando gli italiani erano presenti a fianco delle truppe falangiste del generale Francisco Franco e di quelli inquadrati nelle brigate internazionali repubblicane. C’è chi sta con Kiev e chi con le due repubbliche secessioniste. «Una guerra civile tra ucraini ma anche una guerra civile tra italiani». Fanno notare gli autori che ottant’anni fa in Spagna c’era una forte e netta divisione ideologica tra gli italiani, oggi, invece, in Ucraina, paradossalmente, gli italiani che combattono nei fronti opposti sono della stessa provenienza ideologica e cioè, la galassia fascistoide e persino nazional-socialista.
Ma nella lotta fratricida ucraina, c’è un altro elemento inquietante da segnalare: la divisione, la spaccatura, all’interno della Chiesa ortodossa. Da una parte c’è la Chiesa canonica Russa Ortodossa di Mosca, presieduta dal Patriarca Kirill, rappresentata in Ucraina dal metropolita Onufry, dall’altra una neo costituita Chiesa Ortodossa Ucraina, non riconosciuta dalle altre Chiese Ortodosse, a cui capo c’è il metropolita Filarete, auto nominatosi Patriarca di Kiev. Naturalmente i fedeli appaiono lacerati, e disorientati. Pertanto esiste oltre al conflitto militare, economico, anche quello religioso.
Ultima considerazione, molto importante che riguarda in particolare il nostro Paese, è quello delle sanzioni economiche nei confronti della Federazione russa di Putin.
Per Bertot: «La questione delle sanzioni, volute dagli Usa e applicate supinamente dalla Ue e quindi anche dall’Italia, sono la dimostrazione dell’ottusità di questa politica: con le controsanzioni comprensibili di Mosca, chi è veramente danneggiato economicamente – e si parla di miliardi di euro – sono le economie europee, e non tutte: principalmente quella italiana, soprattutto per quello che riguarda il comparto alimentare. Non si capisce cosa aspetti il governo italiano per chiedere la revoca delle dannose – per noi – sanzioni…».
Infatti l’Italia, in questa riedizione della guerra fredda, gioca un ruolo centrale. E’ stato ampiamente sottolineato nella serata torinese. E qui ecco l’argomento diventa attuale, visto che tra qualche mese si va a votare per l’Europa. Alle forze politiche sarebbe utile ricordare le tre le ragioni per cui il nostro Paese è condizionato dalle sanzioni emesse nei confronti della Russia. La 1 è che le sanzioni hanno determinato un grave danno alle esportazioni italiane verso la Russia. La 2a conseguenza è che l’Italia sta perdendo definitivamente il mercato russo, soprattutto per alcuni nostri comparti, come quello lattiero-caseario e quello agro-alimentare. Il mady in Italy in Russia è stato colpito definitivamente. Infine il 3° elemento riguarda l’aspetto inquietante della presenza delle centinaia di “mercenari” italiani combattenti nel territorio ucraino.
Si intravede un futuro per la risoluzione del conflitto ucraino? Per l’ex parlamentare europeo, «non si può che andare verso una soluzione federale, con est e ovest separati ma uniti in una repubblica, con una vasta dose di autonomia per le repubbliche del Donbass. Alla Crimea è chiaro che ci devono rinunciare, sanzioni o non sanzioni. Ma è veramente un peccato, perché negli anni a venire l’Ucraina potrebbe diventare veramente la Svizzera dell’Eurasia, se si ricompattasse.
La sua posizione strategica come poche, le sue infrastrutture, le sue risorse, le sua fabbriche, potrebbero fare del Paese un fecondo centro di scambi commerciali e finanziari fruibili da tutti gli attori della regione, dalla Russia all’Europa. Una legislazione commerciale e tariffaria adeguata poi potrebbe invogliare gli investitori internazionali a puntare sull’ex granaio d’Europa per i loro affari: ne beneficerebbero tutti e non vi sarebbero più contrasti. Il problema è rappresentato dalla classe dirigente politica ucraina, ancora acerba, o forse troppo smaliziata, che per adesso non saprebbe gestire una situazione come quella da me prefigurata».
Domenico Bonvegna
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