A denti stretti: salviamo la Chiesa

Eravamo nell’anno 2011, quando Hans Küng, noto teologo, ha dato alle stampe “Salviamo la Chiesa”, un libro che – stando alle dichiarazione dello stesso autore – avrebbe preferito non scrivere, ma che è stato obbligato a scrivere, trovandosi di fronte allo spettacolo della Chiesa che “si auto condannava alla morte” sicura.

 

 

di ANDREA FILLORAMO

 

Eravamo nell’anno 2011, quando Hans Küng, noto teologo, ha dato alle stampe “Salviamo la Chiesa”, un libro che – stando alle dichiarazione dello stesso autore – avrebbe preferito non scrivere, ma che è stato obbligato a scrivere, trovandosi di fronte allo spettacolo della Chiesa che “si auto condannava alla morte” sicura.

Quasi certamente papa Benedetto, nel lontano passato amico di Küng e con lui, facente parte durante il Concilio Vaticano II dell’ala riformista della Chiesa, ha letto quel libro ma non sapremo mai come abbia reagito, né azzardiamo l’ipotesi che il suo contenuto abbia contribuito ad accelerare i tempi per la sua inspiegabile dimissione, che avverrà qualche anno dopo e per motivi sicuramente complessi che forse mai conosceremo.

Negli ultimi tre decenni  – sosteneva in quel libro il teologo – la Chiesa cattolica, mentre era papa  il polacco Giovanni Paolo II, avrebbe affossato gli impulsi promettenti del Concilio e  abbracciato di nuovo una visione retrograda della società e del proprio ruolo con  l’appello costante alla tradizione  che non  sarebbe stato un richiamo alla purezza delle origini, ma un tentativo di mantenere un papato autocratico e medievale che  avrebbe già irrigidito la struttura ecclesiastica e la dottrina morale.

Dalla Controriforma alla condanna della scienza, dalla negazione dell’evoluzionismo alla visione ristretta della sessualità, il Vaticano avrebbe scelto di rimanere cieco e sordo di fronte ai problemi dei fedeli, perdendo la presa sulla realtà. La Chiesa oltretutto non avrebbe saputo riconoscere le questioni che tormentano i suoi ministri, prima fra tutte l’obbligo del celibato, che sarebbe una delle cause del calo di vocazioni che condiziona negativamente la cura pastorale. All’abbandono del ministero da parte di tanti preti avrebbe reagito rendendo quasi impossibile la dispensa dagli obblighi sacerdotali compreso il celibato.

La dura analisi di Küng ripercorre la storia e i presunti errori del Vaticano, ne diagnostica con chiarezza i mali e propone le uniche cure possibili per risanarlo e riportarlo, presente e vivo, in mezzo alla gente: lasciarsi alle spalle i vecchi pregiudizi, condannare (non solo a parole) gli sbagli del passato e instaurare un dialogo aperto con i credenti e le altre confessioni.

Gravi, a parere di Küng, sono state le responsabilità personali del papa polacco nella rielaborazione del concetto di Chiesa, alla quale ha dato man forte lo stesso Ratzinger per molti anni strettissimo collaboratore del papa polacco e prefetto dell’ex Santo Uffizio. Per Giovanni Paolo II e, quindi, anche per il suo fedelissimo Ratzinger, la Chiesa, al di là delle citazioni del Concilio che i due pontefici formalmente facevano, sarebbe più tridentina che conciliare.

In essa il Papa era l’onnipotente monarca assoluto, tacitava ed emarginava ogni dissenso: si pensi solo alla posizione integralista assunta verso i movimenti della teologia della liberazione, stroncando sacerdoti e vescovi che volevano un cristianesimo, non solo attento al regno dei cieli, ma più concretamente protagonista nel riscatto dalla povertà. Tra i perseguitati e ridotti al silenzio, c’era il brasiliano Leonardo Boff, che ridotto due volte al silenzio ossequioso, la prima volta ubbidì; ma la seconda, nel 1992, abbandonò l’Ordine francescano. Leonardo Boff aveva avuto l’ardire di sostenere che Giovanni Paolo II era stato un flagello per la fede perché aveva tradito la causa dei poveri che non si sentivano affatto appoggiati nella loro lotta contro la povertà. Si pensi, ancora, alla pedofilia dei preti, che proprio durante il pontificato di Giovanni Paolo II è aumentata a dismisura, certi di una copertura che solo in seguito da papa Benedetto XVI, perché costretto dalla magistratura internazionale, in parte fu combattuta. Pochi in Italia, inoltre, conoscono la contorta e discutibile gestione del potente sacerdote messicano fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel Degollado, da parte della Santa Sede. Eppure c’è chi afferma che abbia inciso sulle dimissioni di Benedetto XVI e paradossalmente sulla canonizzazione di Giovanni Paolo II, avvenuta a tempo di record il primo maggio 2014. Il decennale della morte di Karol Wojtyla (2/4/2005) e della ascesa al soglio pontificio di Joseph Ratzinger (19/4/2005) è stata l’occasione per riportare in luce una vicenda scarsamente indagata dai media nostrani ma che ha segnato in profondità entrambi i loro pontificati e l’ultimo mezzo secolo di storia “politica” della Chiesa di Roma: il caso Maciel, pedofilo e violentatore seriale, protetto di Wojtyla e amico del primo segretario di Stato di papa Ratzinger, card. Angelo Sodano.
Questo e non solo questo costituisce il fardello ereditato dal papa tedesco.

Tenendo presente ciò, credo che sia ancora lecito chiederci se uno dei motivi   dell’abdicazione di Papa Benedetto XVI sia stata la presa d’atto di un fallimento di un progetto di Chiesa propria di Giovanni Paolo II  e del suo più stretto collaboratore che gli successe sul trono di Pietro.

Solo con il pontificato di Papa Francesco e per suo esclusivo merito, la Chiesa di Roma cerca in tutte le maniere di chiudere questo capitolo doloroso della sua storia fatta da una rivoluzione lenta e graduale, di una nuova primavera, che si proietta più nel futuro che nel passato,