Così muore un prete

Così muore un prete: un “racconto breve” può essere anche più convincente di un trattato, purchè il suo contenuto sia veramente accaduto o che può accadere. Pubblico un mio racconto breve in cui la verità del fatto narrato non si fa corrompere dalla fantasia, che, se c’è, serve solo da ingrediente letterario.

di ANDREA FILLORAMO

———————————————————————————————————————

Era una vecchia mia abitudine: ogni mattina andando verso scuola, mi fermavo in quel bar posto ad un tiro di sasso dal Liceo dove ero Dirigente Scolastico. Il tempo di prendere il mio solito caffè, dare una sbirciatina alle pagine del Corriere della Sera posto là sul tavolino a destra dell’entrata, sorseggiare il caffè, andare alla cassa, pagare, salutare il proprietario: “Buon giorno Mauro!” e poi varcare la porta d’uscita e via. Quel mattino, però, il mio rito mattutino si interrompeva, al momento in cui traevo la moneta dalla tasca della giacca per pagare, quando una voce che proveniva dalla mia destra, mi diceva: “Preside, posso offrirlo io il caffè? Mi farebbe un gran piacere!” Girandomi scorgevo un uomo avanti negli anni, di statura normale. Indossava una camicia casual, un paio di jeans alti in vita e delle scarpe nere; portava dei semplici occhiali rettangolari. Dai pochi elementi di fisiognomica che erano o presumevo che fossero in mio possesso  quell’uomo mi appariva un tipo riflessivo, dallo sguardo rassegnato, con una voce suadente, chiara ma intrisa di mestizia.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            

Non lo conoscevo, l’avevo visto o scorto in quel bar più volte, ma percepivo che almeno egli avesse sentito parlare di me, dato che il titolo di preside non l’aveva visto scritto sulla mia fronte e rispondevo:” Grazie Lei è molto gentile; dal suo accento noto che lei è meridionale come me”. “Sì sono siciliano” interloquì. Aggiunsi per attaccare bottone: “quindi non la devo ringraziare con la solita formula utilizzata dai lombardi quando offri  loro un caffè, che è:  “ a buon rendere “, che per noi  è un modo quasi blasfemo per ringraziare, dato che siamo fortemente convinti che un caffè si offre a chiunque.“ Proprio così! ” aggiunse il barista Mauro, che era  pugliese e lo sconosciuto mi disse: “Bene Preside! il dò ut des non fa parte del nostro modo di vivere e di pensare”. In ogni caso: “ Grazie”, risposi. Nell’uscita fatta assieme dal bar egli, si presentò con il suo nome Gianni ( nome di fantasia) e cognome, che volutamente tengo nascosto.: Questi due dati anagrafici ho cercato subito di inserirli nell’affollato bloc notes della mia memoria, utilizzando il trucco di associare i cognomi a immagini mentali e il suo cognome oltretutto si prestava bene a creare un’immagine che la rendeva indimenticabile. Gianni mi ha voluto accompagnare fino al portone d’ingresso del Liceo.

Le poche cose che mi confidò in quel tragitto tanto breve sono state interessanti. “Sono un ex prete – mi disse – degli spretati, così veniamo chiamati con un termine dispregiativo, so che lei si è tanto interessato. Vorrei farle conoscere anche se in sintesi la mia storia, che ho messo per iscritto, simile sicuramente a centomila altre storie di preti che hanno lasciato l’esercizio ministeriale ma non il sacerdozio che è dato secondo la teologia cattolica dall’Ordine Sacro che è un sacramento che mai si può cancellare. Ritengo la storia, però, perché mia in qualche sua parte, solo personale. La ringrazio d’avermi ascoltato” “Legga, per favore quanto ho qui scritto” – aggiunse – mentre   mi allungava alcuni fogli A4 ben fascicolati. Nell’interno troverà anche il mio indirizzo e il mio numero di telefono”. Risposi: “Leggerò con molta attenzione. Sono certo che mi servirò del suo scritto per scrivere un libro che ho in cantiere su quell’argomento. Le dò il mio numero di cellulare: 347…….6.  La storia che mi ha accennato mi coinvolge”. Dopo aver sistemato il fascicolo nella borsa nera che mi accompagna sempre e mentre trattenevo la sua mano nella mia, l’ho guardato bene in faccia per fissare nella mente la sua fisionomia e poi lo salutavo come un vecchio amico: “ Ciao!” Ricambiò subito con lo stesso saluto: “ ciao”

Quel giorno passò come tanti altri. Nulla di particolare che rendeva diverso il giorno di un preside, ad un tempo anche marito e padre’, tranne l’affacciarsi frequente di quel viso nella mia memoria che mi causava, non so perché, sofferenza.

 Lo sa mia moglie e lo sanno anche i miei figli che in tutti i giorni ci sono due ore, precisamente dalle ore 22 alle ore 24 che appartengono interamente a me. E’ questo un tempo in cui mi dedico alla riflessione, alla lettura e alla scrittura. Nessuno mi deve disturbare, nessuno mi può privare del tempo che mi appartiene, Privarmi anche soltanto di un minuto lo considero un furto.

Quella sera, alle ore 22,15, ho aperto quel dossier e ho cominciato a leggere. Quel che c’era scritto ripeteva la storia di ben ottantamila preti che hanno abbandonato il ministero, ma quella era particolare, perché a differenza di molte altre era fatta da un’’intensa solitudine che durava nel tempo ed era vissuta come una ferita dell’io, per la quale il protagonista aveva cercato, per anni, senza trovarli, i rimedi che potessero, se non guarire, per lo meno lenire la sofferenza che comportava l’abbandono, fatto per l’amore nei confronti di una donna di cui si era fortemente innamorato che durava nel tempo. Mai aveva dimenticato quel lungo tratto di vita che ha preceduto quel passo importante al quale era stato costretto dalla Chiesa che vieta ai preti di amare.  Per non essere sopraffatto dall’angoscia egli utilizzava   meccanismi difensivi di scissione e negazione da cui potevano derivare però delle strutture psicotiche, di cui si rendeva perfettamente conto. Non riusciva a cancellare dalla mente quel che diligentemente aveva preparato durante la sua infanzia, l’adolescenza e un certo periodo della giovinezza, passato nel Seminario. Sapeva di aver fatto negli anni di formazione e di ministero tante cose, di aver dimostrato tanta disponibilità; aveva superato difficoltà, attraversato tanti cambiamenti personali, aveva avuto sicuramente una vita ricca, significativa. Aveva incarnato, ne era sicuro, le debolezze dell’uomo comune e le straordinarie virtù dell’uomo fuori dal comune. QWQQuella “ vocazione” l’aveva fortemente voluta, non si era sottratto a quanto essa richiedeva e non si era mai impaurito per la gravosa responsabilità assunta. L’innamoramento gli aveva causato però una crisi esistenziale, che gli aveva strappato le viscere e l’aveva portato ad estraniarsi dalla sua vita a non trovare più dei fini o dei motivi per le sue azioni e aveva messo in forte dubbio alcuni principi sui quali aveva costruito tutto il suo passato. Come prete si era sentito improvvisamente prigioniero di convenzioni, di idee radicate, cioè di non vivere pienamente, di essere assoggettato a tutta una serie di regole a cui voleva sottrarsi. Prendeva coscienza che quel mondo che fino ad allora era anche il suo era abitato da tante bugie mascherate di ipocrisia e che, quindi, la sincerità rischiava sempre di essere una grande incompresa. Come, quindi, comunicare con chiarezza agli altri quel che gli stava succedendo, per avere un aiuto, un consiglio? Dopo lunga riflessione e notti insonni, dopo aver pregato tanto per uscire da quel tunnel nel quale riteneva d’essere cascato, non gli rimaneva altro che scrivere al vescovo al quale comunicare che in data precisata avrebbe abbandonato il ministero”. Questo sostanzialmente era il contenuto di quel fascicolo, che io ho cercato di annotare con qualche considerazione per rendere più comprensibili i motivi di sofferenza di quell’uomo.

Lo scritto, però, si concludeva con quanto segue: “ Vorrei, prima di morire, celebrare, per una volta sola la Messa. Dato che l’età avanza, ho chiesto al Papa di autorizzarmi di celebrare quando sarà l’eucarestia. Ho atteso per molto tempo invano una risposta. Mi sono rivolto al Cardinale Martini, arcivescovo di Milano, città dove da tanto tempo abito che mi ha ricevuto ma mi ha dato una risposta enigmatica. Il cardinale, dopo avermi ascoltato e dopo avermi fatto alcune domande alle quali ho risposto, mi disse: “ Lei è prete e prete per sempre ma non è più soggetto al codice canonico. Deve rispondere soltanto alla sua coscienza”.

Il primo incontro con Gianni in quel bar vicino al Liceo era avvenuto nel novembre del 1998. Da allora, quindi sono passati quasi 21 anni, un tempo lungo in cui si è consolidata fra noi l’amicizia, fatta di stima, di lunghe e appassionate discussioni filosofiche e teologiche, di incontri serali che si concludevano sempre con cene in cui egli mai faceva mancare una bottiglia di vino, di cui era un cultore attento, Più di una volta ha rammentato, da grecista com’era, che secondo i greci, per poter leggere nel cuore di un uomo bisogna innanzitutto aver bevuto con lui, perché il vino rivela il suo vero animo. “Da qui – diceva- l’usanza di discutere di importanti questioni durante i banchetti”.

Giungiamo, così, al 22 febbraio 2011. Da qualche anno ero in pensione. Era quella una fredda giornata di nebbia che prendeva fino alla gola, toglieva il respiro, costringeva a stare a casa. Erano le ore 10 quando ho ricevuto una telefonata. Era Maria, la moglie di Gianni: “Pronto! – diceva – sono Maria”. “ Ciao! Cosa succede? Strano che tu telefoni. Dove è Gianni? ““Ti prego di non allarmarti…ecco perché non ti ho telefonato prima……adesso l’ha chiesto Gianni di telefonarti ““Ma dimmi…… che succede? Come sta tuo marito?”“ Ha avuto l’influenza che è diventata broncopolmonite. Sembrava che l’avesse superata ma da stamattina sta molto male. Non vuole andare all’ospedale. Il dottore che un amico di famiglia, dopo averlo visitato mi ha detto chiaramente che è grave…….. vieni per favore!”. Mi precipitavo con la mia utilitaria. In pochissimo tempo, dopo aver rischiato di fare un tamponamento, sostavo sotto casa sua in pieno divieto di sosta, dato che nel circondario vi è un solo parcheggio che era tutto totalmente occupato.

Accompagnato dalla moglie sono entrato nella camera dove Gianni giaceva. Era irriconoscibile, mi accolse con un sorriso alquanto simulato. Si notava la sua sofferenza. In quel momento ho rammentato che spesse volte Gianni mi esternava la paura che gli accadesse qualcosa per cui avrebbe finito col trascorrere i suoi ultimi giorni soffrendo. Ci scherzava su dicendo che quando sarebbe diventato molto vecchio o si fosse ammalato gravemente avrebbe invocato il suo angelo custode di prestargli le sue ali per volare molto in alto per non vedere le miserie dell’uomo e il dolore degli uomini, di cui non riusciva a comprendere la ragione.

Da un insieme di segni conosciuti da chi ha visto morire tanti durante la sua vita capii che Gianni se ne stava andando. Mi accostai a lui e gli chiesi: “ sei pronto? Hai implorato il tuo angelo custode per avere in prestito le sue ali?” Aprì i suoi occhi neri, mi guardò incuriosito e sorrise. Continuai a dirgli: Ti ricordi quanto ti ha detto il Cardinale Matini quando gli hai chiesto di poter celebrare la Messa prima di morire?“ Con grande fatica mi rispose: “ Il cardinale mi disse: Lei è prete e prete per sempre ma non è più soggetto al codice canonico. Deve rispondere soltanto alla sua coscienza. Dammi solo il tempo per prepararmi spiritualmente. Voglio celebrare la mia prima-ultima messa.”

Il seguito è immaginabile. Alla messa hanno partecipato intensamente la moglie, i figli. Ha concelebrato don Sandro, il vice parroco della parrocchia, da me allertato che ha portato tutto l’occorrente per il rito tranne il calice. Gianni ha voluto usare il suo calice, quello in cui molti anni addietro aveva celebrato la prima messa.

Finita la messa Gianni mi ha ringraziato, ha salutato la moglie e i figli. Poi, dicendo: “ consummatum est” “ Nunc dimittis!” chiuse la sua vita. “ Così muore un prete” pensai.