L’Unione Europea vieta la vendita delle stoviglie in plastica monouso. Il nostro pianeta ringrazia

La Direttiva UE 2019/904 del Parlamento Europeo ha recentemente disposto il divieto dal 2021 della commercializzazione nei paesi dell’Unione delle stoviglie monouso in plastica, una piccola rivoluzione ma che, considerando i numeri di questi prodotti, rappresenta una grande rivoluzione, che impatterà positivamente nel tempo sull’ambiente e da subito sui produttori di questi oggetti e sulle abitudini dei consumatori.

 

I nostri fiumi, i nostri mari e gli esseri viventi che ci vivono sono da salvaguardare. Salvaguardando loro, contribuiamo a tutelare noi e il nostro futuro. Questo è l’obiettivo che si è data l’Unione Europea vietando l’utilizzo delle stoviglie in plastica monouso. Un primo passo da cui partire e ripartire per contrastare una problematica che sta diventando sempre più prioritaria.

 

I benefici di questo intervento stimano una diminuzione dei danni ambientali pari ad un costo equivalente di 22 miliardi di euro entro il 2030, un risparmio per i consumatori nell’ordine di 6,6 miliardi di euro, oltre ad un taglio delle emissioni di 3,4 tonnellate di CO2 equivalente.

L’obiettivo del legislatore europeo con questa disposizione è di limitare l’inquinamento dei mari provocato in larga parte dai materiali plastici che, decomponendosi molto lentamente, resistono nel tempo, continuando ad essere presenti, non solo nelle acque ma anche nelle viscere dei pesci, finendo anche nella catena alimentare.

La messa al bando prevista dalla Direttiva plastiche monouso (SUP) riguarda posate e piatti di plastica, cannucce, bastoncini cotonati, sacchetti di plastica oxodegradabili e contenitori per alimenti in polistirolo espanso.

 

I requisiti imposti dalla Direttiva

Questa recente disposizione europea impone anche che entro il 2025 si dovrà riciclare almeno il 77% delle bottiglie in plastica per arrivare al 90% nel 2029. Dispone inoltre che dal 2024 il tappo dovrà essere attaccato alla bottiglia affinché non venga disperso, oltre a imporre un aumento del contenuto minimo di materiale riciclato, che nel 2030 dovrà arrivare al 30%.

 

La guerra alla plastica da parte della UE nasce da un allarme a livello mondiale per la forte presenza nei mari di rifiuti in plastica, situazione evidenziata anche in una serie di studi condotti da diverse organizzazioni internazionali tra le quali l’Hochschule Weihenstephan-Triesdorf e Helmholtz Zentrum di Monaco https://www.hswt.de/ che segnala come il 90% della plastica presente negli oceani provenga dai grandi fiumi asiatici come lo Yangtze, l’Indo, il Fiume Giallo, il Mekong e da quelli africani come il Niger, che bagnano paesi dove non sono ancora presenti sistemi di raccolta e gestione rifiuti.

 

La situazione dei mari che bagnano l’Europa

Per quanto riguarda i mari europei, uno studio promosso dalla Commissione UE  https://publications.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/fbf5bec4-a90b-4eac-af0e-c322ac7f6f63/language-en e condotto dall’istituto belga Arcadis https://www.arcadis.com/en/global/ ha messo in evidenza come nel Mediterraneo, in 100 metri di spiaggia si trovino circa 700 rifiuti di plastica, dei quali il 17% rappresentato da vaschette per alimenti e stoviglie, il 14% da filtri di sigaretta e per la stessa percentuale da tappi in plastica, mentre i sacchetti per la spesa rappresentano il 5% così come i bastoncini in cotone mentre il 4% è dovuto a frammenti di microplastica.

 

Parzialmente consolatorio è un altro dato che emerge da questo studio: il Mediterraneo, sebbene sporco, ha un versante poco popolato e quindi con scarso inquinamento mentre sull’altro affacciano paesi forti riciclatori, dove i rifiuti presenti in mare non vengono da lontano, ma sono soprattutto frutto dell’incuria di chi utilizza le spiagge. Il paese maggiormente responsabile dell’inquinamento del Mediterraneo è la Turchia, che a differenza di paesi altrettanto popolati, ricicla molto meno, collocandosi allo stesso livello dei paesi asiatici.

 

Per gli altri mari che bagnano le coste europee la situazione che ha fotografato l’Istituto belga vede nel Baltico una predominanza di plastica generica (24%) e di filtri di sigarette, che sono i rifiuti più presenti nel Mar Nero, mentre per il Mare del Nord al primo posto, con il 32%, troviamo i pezzi di plastica indistinta insieme al polistirolo.

 

L’impatto della disposizione del parlamento UE sui produttori italiani

L’impatto economico che la Direttiva SUP avrà sul nostro paese non è trascurabile, essendo l’Italia un forte utilizzatore di questi prodotti ed anche il primo produttore europeo con un fatturato intorno al miliardo di euro e circa 3000 addetti che operano all’interno di una trentina di aziende.

 

La plastica “buona”

 

Sicuramente la disposizione promossa dal Parlamento Europeo non risolve il problema che è globale, ma rappresentao un primo doveroso passo, anche culturale, per sensibilizzare i circa 500.000 milioni di europei al problema e alla necessità di cambiare abitudini privilegiando consumi e prodotti più ecocompatibili.

I prodotti banditi dovranno essere sostituiti con altri in bioplastica compostabile ed uno dei materiali che i produttori privilegeranno sarà il PLA, acronimo che identifica un acido polilattico biodegradabile e compostabile, non solo in condizioni di compostaggio industriale a temperature superiori a 50° e con elevato tasso di umidità, ma anche a temperatura ambiente.

 

Il PLA

Il PLA è un polimero termoplastico derivante da zuccheri naturali che non impatta sull’ambiente, essendo biodegradabile e compostabile al 100% e che possiede caratteristiche comparabili con quelle di altre plastiche in commercio in termini di trasparenza, brillantezza, rigidità e resistenza a sollecitazioni meccaniche, ad agenti chimici ed a oli e grassi. Il PLA è una plastica che rimane stabile in condizioni ambientali standard, e in caso di abbandono si degrada per idrolisi in circa 15 mesi senza lasciare inquinanti, un tempo ben inferiore rispetto al secolo che richiede la plastica! “Il PLA viene già utilizzato nell’imballaggio di diversi alimenti quali, ad esempio, pane, latte ed acqua, come pure di profumi e detergenti. Una delle limitazioni d’uso è tuttavia costituita dalla temperatura; avendo cioè una bassa temperatura di rammollimento (circa 60°C), l’acido polilattico non è idoneo a contenere liquidi caldi per tempi prolungati”, dichiara Michela Gallo, a capo della Service Line Food Contact dei laboratori pH.

 

Anche per il PLA le aziende che utilizzano questo componente nella fabbricazione di prodotti in plastica monouso devono prevedere dei test per verificare, da una parte le caratteristiche fisico/chimiche del PLA e dall’altra le sue prestazioni rispetto al contatto con gli alimenti.

Michela Gallo aggiunge: “Nel quadro normativo europeo, il PLA viene equiparato alle plastiche tradizionali e quindi deve sottostare alle specifiche del Regolamento 10/2011 e successivi emendamenti. I principali parametri di interesse sono quindi il tenore di Migrazione Globale, come indice dell’inerzia chimica del manufatto, e le diverse migrazioni specifiche per verificare la potenziale cessione di sostanze dal polimero all’alimento. Occorre inoltre stabilire se il manufatto stesso è tecnologicamente idoneo all’uso al quale è destinato.”

 

I prossimi passi

A seguito di questa messa al bando, il mercato si sta muovendo, e tra i primi lo ha fatto la grande distribuzione organizzata del nostro paese, dove nei suoi punti vendita fanno acquisti oltre 60 milioni di persone alla settimana e le cui imprese si sono impegnate ad eliminare del tutto dai loro scaffali le stoviglie in plastica monouso già dal 30 giugno 2020.

Oltre agli impegni della grande distribuzioneci dovranno essere quelli delle istituzioni, delle imprese del settore e dei consumatori che dovranno indirizzarsi verso atteggiamenti ed abitudini sempre più sostenibili nei confronti dell’ambiente.

 

“L’avvenire del mondo è nella plastica, pensaci….Ci penserai? ” recitava una battuta del film “Il laureato”, datato 1967. Da allora non é passato un secolo, è passata un’epoca!