La notizia è lapidaria: un uomo di 54 anni, da 31 anni in stato vegetativo, è morto. “Mio marito ha lasciato il lavoro e per 31 anni ha seguito in casa nostro figlio”, ha spiegato la madre al Giornale di Brescia che ha raccontato la vicenda. “Per 31 anni – ha aggiunto la donna – ci siamo isolati dal mondo”.
Quante situazioni del genere esistono nel nostro Paese? Non lo sappiamo. Ma ci sono. E ci basta questa per fare una riflessione. Di quelle a cui molte famiglie e parenti di persone in queste condizioni non si sottopongono per rifiuto istintivo, dovuto a cultura e informazione che non prendono in considerazione una possibile opzione di eutanasia. In questo caso stiamo parlando di quella forma di eutanasia tra le più controverse e respinte, quella senza il consenso della persona (il caso Englaro è stato il recente e più eclatante).
Nel nostro Parlamento giacciono proposte di legge in materia (sia di iniziativa parlamentare che popolare), ma sembra che non ci sia la volontà politica di affrontare il problema: lo scorso luglio, la discussione in commissione è stata rinviata a data da destinarsi; e proprio per questo il prossimo 19 settembre a Roma ci sarà una manifestazione nazionale.
La nostra riflessione parte da quello che ha significato, per la sua famiglia, la vicenda dell’uomo morto oggi: una rinuncia alla vita in nome dell’amore. Una scelta che non sappiamo se ragionata o solo istintiva, ma che di fatto ha portato i genitori di quest’uomo alla rinuncia. Informati sulla possibilità di quella che possiamo chiamare “eutanasia all’italiana” (“guardati intorno, stacca la spina e via”) ma che forse hanno praticato dopo 31 anni, dediti alla legge che vieta qualunque forma di eutanasia? Non lo sappiamo e, nel caso specifico, è relativo. Perché rimane l’irremovibile ostacolo normativo che, come per tutto ciò che è legale contrapponendo a quello che è illegale, non consente di informarsi in modo sereno di cosa significhi eutanasia, di cosa comporti… e quindi di scegliere in libertà.
Oggi abbiamo assistito alla fine di una situazione che, per mantenere in stato vegetativo un corpo, ha comportato l’annullamento della vita civica e sociale (personale, ovviamente, non siamo in grado di dirlo) di due persone in assoluto e, in modo indiretto, di tutti quelli che hanno avuto a che fare con loro in questi 31 anni.
E’ questa la vita?
Vincenzo Donvito, presidente Aduc