Studio dell’associazione sul possesso delle aziende italiane. Meno della metà delle quote di società presenti sui listini finanziari – il cui valore è crollato complessivamente di 43 miliardi negli ultimi quattro anni – è detenuta da soggetti stranieri. Il vicepresidente D’Angelo: “Sistema economico non attrattivo, governo non sa dare risposte“.
Tornano sotto la soglia del 50% le quote di possesso, in mano a fondi esteri, di società per azioni italiane presenti in Borsa. Il totale della capitalizzazione delle imprese quotate del nostro Paese è sceso, negli ultimi quattro anni, da 545 miliardi di euro a 502 miliardi di euro e durante questo periodo si è registrata la “ritirata” da parte di soggetti stranieri: avevano oltre il 51% di Piazza Affari a giugno 2015 (282 miliardi), sono scesi al 48% a giugno 2019 (243 miliardi). Il sistema imprenditoriale italiano resta a trazione familiare: le quote complessive delle società per azioni, il cui valore è salito complessivamente di 60 miliardi a quota 2.138 miliardi in quattro anni, sono per lo più in mano alle famiglie con il 40% del totale, seguito dal 26% in mano agli stranieri, dal 17% in mano alle aziende e dall’8% delle banche.
Questi i dati principali di un rapporto del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale dal primo semestre 2015 al primo semestre 2019 le società per azioni hanno visto salire di oltre 60 miliardi di euro il loro valore, mentre le “quotate” hanno visto calare di 43,5 miliardi la loro capitalizzazione. “Dopo anni di scorribande, registriamo un passo indietro da parte dei soggetti esteri. Il calo appare legato più alla perdita di valore delle società quotate e non a un ritorno degli italiani. Probabilmente, complice diverse ragioni, il nostro sistema imprenditoriale e finanziario risulta meno attrattivo e i motivi sono diversi: la crescita economica è lenta e la politica non riesce a dare le necessarie risposte ovvero meno tasse, meno burocrazia, più investimenti in infrastrutture, giustizia civile velocizzata” commenta il vicepresidente di Unimpresa, Andrea D’Angelo.
Lo studio dell’associazione è basato su dati della Banca d’Italia aggiornati al secondo semestre 2019 e incrocia i dati relativi al valore di bilancio delle azioni – quotate e non – detenute da tutti i soggetti economici che operano nel nostro Paese: imprese, banche, assicurazioni e fondi pensione, Stato centrale, enti locali, enti di previdenza, famiglie, investitori stranieri. Secondo l’analisi, per quanto riguarda l’intero universo delle società per azioni del nostro Paese, la fetta maggiore è in mano alle famiglie: in calo al 39,47% rispetto al 44,51% del 2015. Nella speciale classifica, seguono gli stranieri col 26,14% (era il 24,13%), le imprese col 17,04% (era il 13,37%), le banche con il 7,98% (era il 10,56%) e lo Stato col 5,08% (era al 4,89%), le assicurazioni e i fondi pensione col 2,75% (era l’1,90%); quote minoritarie sono riconducibili alle amministrazioni locali (stabili attorno allo 0,61% dallo 0,63%) e agli enti di previdenza (dallo 0,03% allo 0,92%).
Complessivamente, il valore delle società per azioni è cresciuto, dal primo semestre del 2015 al primo semestre del 2019, del 2,89%, con un aumento di 60,1 miliardi, salendo dai 2.077,9 miliardi del 2015 ai 2.138,1 miliardi di quest’anno. Bilancio negativo per le famiglie, che hanno perso valore per 80,8 miliardi (-8,74%) da 924,7 miliardi a 843,9 miliardi. Saldo positivo (+57,4 miliardi con un aumento dell’11,15%) anche per gli investitori esteri: avevano quote azionarie che valevano nel 2015 501,3 miliardi e ora valgono 558,7 miliardi. Ecco i risultati per le altre categorie di azionisti: le banche hanno visto calare il valore delle loro partecipazioni di 48,6 miliardi (-22,20%) da 219,3 miliardi a 170,6 miliardi; le assicurazioni e i fondi pensione registrano “plusvalenze” per 19,2 miliardi (+48,75%) da 39,4 miliardi a 58,7 miliardi. Variazione positiva per le quote delle imprese, che hanno 86,6 miliardi in più (+31,20%) da 277,7 miliardi a 364,4 miliardi. “Bilancio” in attivo pure per le partecipazioni degli enti di previdenza, cresciute di 19,1 miliardi da 573 milioni a 19,6 miliardi, per quelle dello Stato centrale salite di 7,1 miliardi (+6,98%) da 101,5 miliardi a 108,6 miliardi, per quelle degli enti locali aumentate di 50 milioni (+0,38%) stabili a poco più di 13,1 miliardi.
Per quanto riguarda le società per azioni presenti a Piazza Affari, il valore complessivo è calato di 43,5 miliardi (-7,98%), dai 545,6 miliardi del 2015 ai 502,1 miliardi del 2019. Il primato nell’azionariato, nonostante il calo, spetta agli investitori esteri detentori del 48,41% delle quote, in netta diminuzione dal 51,74% del 2015. Nella speciale classifica, seguono le imprese col 26,06% (era il 19,22%), le banche col 10,33% (era il 9,94%), le famiglie con l’8,71% (era il 12,52%), lo Stato col 4,78% (era il 2,88%), le assicurazioni e i fondi pensione con lo 0,79% (era il 3,14%); quote minoritarie sono riconducibili alle amministrazioni locali (0,66%) e agli enti di previdenza (0,25%).
Gli azionisti esteri hanno “perso” o “ceduto” 39,2 miliardi (-13,90%) da 282,3 miliardi a 243,1 miliardi, le imprese hanno 25,9 miliardi in più (+24,78%) da 104,8 miliardi a 130,8 miliardi, mentre le famiglie hanno perso 24,5 miliardi (-35,99%) da 68,3 miliardi a 43,7 miliardi. Bilancio negativo, poi, anche per le banche con un calo delle quote di spa quotate pari a 2,3 miliardi (-4,42%) da 54,2 miliardi a 51,8 miliardi. Giù le quote di assicurazioni e fondi pensione di 13,1 miliardi (-76,74%) da 17,1 miliardi a 3,9 miliardi. Le quote in mano allo Stato centrale sono aumentate di 8,2 miliardi (+52,69%); variazione positiva anche per quelle delle amministrazioni locali, salite di 900 milioni (+37,14%) da 2,4 miliardi a 3,3 miliardi; positivo il saldo per le quote degli enti di previdenza, salite di 692 milioni (+120,77%) da 573 milioni a 1,2 miliardi.