Diversi giudici italiani hanno infatti sollevato questioni pregiudiziali avanti alla Corte, sollecitando una censura di quelle disposizioni che da ben oltre un ventennio confinano il magistrato onorario in una situazione invero peggiore di quella di un lavoratore in nero, giacché quest’ultimo, seppure vessato dall’assenza di contribuzione previdenziale e di tutele assicurative, può sempre citare in giudizio il proprio datore di lavoro per vedersi riconosciuti quei diritti che, invece,sino a oggi, il magistrato onorario si è visti negati sia dalla legge italiana sia da un granitico orientamento nomofilattico, finalmente posto in discussione da alcuni giudici di merito.
Nell’attesa che i nostri diritti possano essere affermati in sede sovranazionale, la categoria permane in una condizione di grande vessazione, avendo quale unica colpa quella di non avere poteri forti alle proprie spalle.
Tra i molti che si sono contrapposti alle nostre rivendicazioni, fa piacere constatare l’assenza della Associazione nazionale magistrati, schieratasi al nostro fianco, in discontinuità con le posizioni sostenute in passato.
Permane tuttavia l’ostilità degli organi di governo e di chi li consiglia, giacché il Ministro della Giustizia non è stato capace di attrarre nelle poste di bilancio – che pure impegnano per diversi miliardi la spesa pubblica del personale giudiziario e magistratuale italiano – la modesta somma di cento milioni per un utilizzo full-time e a condizioni dignitose dei magistrati onorari.
Il rispetto dell’equilibrio di bilancio è principio sacrosanto e insuperabile; ma come è possibile che uno Stato capace di trovare miliardi di euro per i redditi di cittadinanza non trovi 100 milioni per risollevare, in uno con la risposta giudiziaria, il gettito erariale derivante da una maggiore evasione del contenzioso giudiziario?
Chi ci governa ha, evidentemente, una conoscenza molto approssimativa del potenziale inespresso dalla magistratura onoraria in relazione alle sorti economiche di imprese e famiglie, ai loro interessi patrimoniali, che spesso dipendono dalla efficacia e tempestività della risposta giudiziaria e che, più in generare, possono prosperare solo in uno Stato che non abdichi alla tutela effettiva dei diritti.
Chi intende governare un Paese non può limitarsi a dichiarare la propria onestà; l’onestà si dimostra sul campo, esibendo capacità manageriali coerenti con le sfide del nostro tempo, che impongono innanzitutto di dotare il Paese di un apparato giudiziario efficiente, fronteggiando adeguatamente la domanda di tutela proveniente dalla società civile.
Quale giustizia sociale potremo garantire ai cittadini domani se oggi non sappiamo neppure assicurare la tutela dei diritti già affermati?
Come assicurare tale risultato seguendo il teorema del Ministro Orlando, ora condiviso dal Ministro Bonafede, di limitare l’utilizzo dei cinquemila magistrati onorari a soli tre giorni lavorativi settimanali, quando i rinvii per una prima udienza di appello sono fissati ad anni di distanza dalla sentenza di un primo grado?
In disparte il dramma dei nostri colleghi che ogni anno si ammalano, magari di cancro, o lasciano i propri familiari, senza il conforto di una tutela assistenziale e previdenziale, la domanda che poniamo è quale futuro si vuole dare al Paese immaginando una giustizia affidata a magistrati precari e part-time?
Vale sempre la pena di ribadire che non chiediamo alcuna parificazione ai magistrati di ruolo o l’accesso alla loro carriera; ma certamente rivendichiamo un grado adeguato di tutele retributive, previdenziali, assistenziali e disciplinari, che consenta di vivere dignitosamente il nostro impegno lavorativo e dare un apporto forte e continuativo all’evasione della domanda giudiziaria.
Non è togliendoci la licenza di porto d’armi per difesa personale o elargendoci prebende non dignitose, poi ulteriormente assottigliate con due righe di circolare, che il Governo e suoi consulenti potranno dimostrare l’assurdo teorema che non siamo lavoratori; questa bislacca affermazione è anzi la prova di un pregiudizio ideologico assurdo, immotivato e autoreferenziale, verso una categoria che combatte ogni giorno dalla parte dello Stato-comunità e che non intende retrocedere, neppure di un passo, dall’esercizio delle proprie funzioni e dalla rivendicazione dei propri conseguenti diritti.
Raimondo Orrù
Presidente Federm.O.T. – Federazione Magistrati Onorari di Tribunale