Da quando abbiamo avuto la percezione dell’epidemia di coronavirus, sono in diversi che hanno ricordato e scritto su alcune situazioni più o meno simili della storia umana.
I testi più toccanti sono certamente quelli di Alessandro Manzoni e della peste del 1630 a Milano (che sculo, sempre loro…. almeno per l’inizio…). Pesti che quando si va indietro nel tempo, se ne trovano a iosa a partire dall’Impero romano, etc. fino alle recenti epidemie del secolo scorso. Tanti di questi flagelli hanno fatto riflettere diversi letterati e, più o meno, ne abbiamo contezza (il web in merito è una miniera).
Quello che colpisce è che le similitudini tra quel passato e il nostro quotidiano sono tante. Non ovviamente rispetto alla temporalità, alla sanità, alle scienze e alle tecnologie dei diversi periodi. Ma nell’elaborazione che la mente umana fa della situazione e, di conseguenza, la sua reazione, il suo stimolo verso il comportamento individuale e collettivo, sia fisico che cognitivo. Elaborazione che, sembra (evidentemente?), non tenga conto che si tratti di un episodio di quattrocento anni fa o di oggi.
Perciò, nel titolo di questo pensierino, abbiamo scritto:
“Niente di nuovo nel passato”.
Poi, sempre nel titolo, la seconda parte:
“Chissà se nel futuro avremo quantomeno imparato la lezione”.
Sulla possibilità e potenzialità di questo auspicio abbiamo pensato sia all’individuo “signor nessuno” che all’individuo “signore”. Intendendo con quest’ultimo quello che con i propri pensieri e le proprie azioni è in grado di condizionare l’agire di tanti, soprattutto i tanti “signor nessuno”. Condizionamento che si manifesta soprattutto in quei “signori” che hanno responsabilità esecutive nell’amministrazione delle nostre comunità, qualunque sia il livello, quantitativo e non solo, di queste comunità.
Per redarre questa seconda parte del nostro titolo siamo stati stimolati da un breve passaggio, simbolico e lungimirante, di un romanzo del 1947 molto conosciuto, “La peste” di Albert Camus (1). Un passaggio che abbiamo ritrovato nella lettura di una recentissima pubblicazione, “L’Abécédaire d’Albert Camus” (L’Observatoire-2020) che abbiamo letto in lingua originale (non sappiamo se ci sia una versione in lingua italiana, quindi la traduzione è nostra). Il raffronto significante tra quando Camus ha scritto il romanzo e la nostra situazione odierna è nel “gioco” lessicale guerra/epidemia (raffronto che, tra l’altro, non ci sembra di essere particolarmente originali nell’utilizzarlo):
Quand une guerre éclate, les gens disent: “Ça ne durera pas, c’est trop bête”. Et sans doute une guerre est certainement trop bête, mais cela ne l’empêche pas de durer. La bêtise insiste toujours, on s’en apercevrait si l’on ne pensait pas toujours à soi.
(1947. Albert Camus – La Peste)
Quando scoppia una guerra, la gente dice “Non durerà, è troppo sciocco”. E senza dubbio una guerra è certamente troppo stupida, ma ciò non le impedisce di durare. L’insensatezza insiste sempre, e lo noteremmo se non pensassimo sempre a noi stessi.
(libera traduzione da La Peste. Albert Camus. 1947)
Vincenzo Donvito, presidente Aduc