Con un appello rivolto al primo ministro Giuseppe Conte, al Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e al Ministro della Salute Roberto Speranza, EveryOne Group esprime la più sentita preoccupazione sia per la salute degli agenti che per quella dei cittadini, per una serie di motivi. “La prima ragione,” spiega Roberto Malini, co-presidente dell’organizzazoone umanitaria, “è la distanza di sicurezza indicata in Italia, che è di un solo metro. Secondo i virologi, la distanza minima per evitare il contagio è di 1,82 metri, che spesso viene aumentata a due metri (per esempio in Israele) perché, soffermandosi a comunicare, le persone tendono a compiere movimenti oscillatori e piccoli passi, che riducono tale distanza. Non a caso, abbiamo visto personaggi delle istituzioni, spesso impegnati proprio nelle misure di prevenzione, contrarre il virus, nonostante seguissero le stesse prescrizioni diffuse presso la cittadinanza. Costretti a controlli a tappeto, è evidente come i tutori dell’ordine non possano mantenere sempre una distanza realmente sicura, correndo un gravissimo rischio che è reciproco rispetto al cittadino controllato”.
Molti cittadini sono convinti che gli agenti siano sottoposti a continui test a mezzo degli appositi tamponi o che i presìdi che adottano siano ad alto grado di sicurezza. “Questo non corrisponde alla realtà, “prosegue Malini, “e in effetti non siamo in grado di stimare quanti agenti siano contagiati e quindi potenziali diffusori del virus. Anche nel caso indossassero in modo corretto la mascherina chirurgica, essa non è in grado di evitare al 100% il contagio; non parliamo poi del rischio di trasmissione se essa è indossata in modo non perfetto! In Italia abbiamo avuto numerosi casi di contagio riguardanti poliziotti (riferiti anche dalla stampa nazionale), che in alcune occasioni hanno poi trasmesso il coronavirus ai familiari. Purtroppo, non essendo gli agenti soggetti a controlli a tappeto, non abbiamo la minima idea di quanti, fra di loro, possano essere veicolo del COVID-19. Dopo un primo controllo, a New York ben duecento poliziotti sono risultati positivi al tampone ed è solo la punta dell’iceberg. Gli agenti a volte non indossano mascherine chirurgiche, condividono le auto, toccano oggetti non sempre disinfettati correttamente, fra cui le autocertificazioni. Metterli a contatto ravvicinato con i cittadini può risultare estrememente pericoloso, tanto più che ogni agente interagisce con centinaia di persone, su tutto il territorio nazionale.
Ecco perché riteniamo che le norme, formulate probabilmente in un clima di emergenza e non pensate a sufficienza, andrebbero modificate tempestivamente, interrompendo la ‘caccia all’uomo’ nei confronti di chi corre o fa una camminata per mantenere un buono stato di salute (cosa che fra l’altro l’Organizzazione Mondiale della Sanità consiglia vivamente anche in questo periodo, purché si tengano le distanze di sicurezza).
Molto più opportuno, invece, avvisare i cittadini che violino evidentemente le disposizioni, con un altoparlante, di mantenere la distanza di sicurezza e ‘tornare a casa’ nei casi più gravi. Sono auspicabili anche procedure di disinfezione nelle sedi delle forze dell’ordine, sui loro mezzi di trasporto e la massima attenzione alle distanze fra agenti in servizio, nonché l’adozione di presidi di protezione massimamente efficaci, da non rimuovere e da indossare correttamente, cosa che non sempre avviene. Sarebbe ormai opportuno rendersi conto di come il contagio avvenga soprattutto attraverso contatti che ci paiono rassicuranti e non pericolosi.
O in strutture ospedaliere non fornite di presidi anti-contagio e procedure di disinfezione adeguate. Oppure sui mezzi pubblici e negli altri spazi comuni cittadini non correttamente e costantemente disinfettati, così come nei luoghi di lavoro in cui non si seguono rigorose procedure”.