Non si è pensato – poveri noi! che spendere in armamenti è una pura follia; che spendere poco per l’istruzione, significa condannare all’ignoranza le nuove generazioni, che salvare quanti uomini possibile da Covid 19, era ed è una necessità.
di ANDREA FILLORAMO
Leggo nel Secondo Rapporto annuale 2018 sulla spesa militare italiana che in Italia 25 miliardi di euro sono stati spesi con tendenza di crescita avviata dal governo Renzi e che hanno ripreso la dinamica incrementale delle ultime tre legislature precedenti la crisi del 2008. Se aggiungiamo, quindi, ai 25 miliardi di euro le spese militari del 2019 e 2020, alla fine di quest’ anno all’incirca 80miliardi di euro se ne andranno per le spese di armi.
Dagli ultimi dati Ocse risulta che la spesa pubblica per l’istruzione, ultimo dato disponibile è di 67,4 miliardi pari al 4,1 del Pil. Solo la Grecia e alcuni paesi dell’Est spendono meno di noi.
In base, sempre, ai dati Ocse, possiamo analizzare anche la spesa pro capite per il sistema sanitario nazionale italiano. Nel 2018, questa cifra si aggirava intorno ai 2.545 dollari (circa 2.326 euro), in aumento rispetto ai 2.434 dollari (circa 2.225 euro) del 2010. Ipotizzando un calcolo, alla fine del 2020 si potrà arrivare solo a circa 10miliardi. A tale calcolo, bisognerebbe aggiungere il sistematico smantellamento del servizio sanitario pubblico in alcuni paesi europei e negli Sati Uniti (vedi la brillante disamina del gesuita Gaël Giraud nel n. 4075 di Civiltà cattolica, descritta nell’articolo “Per ripartire dopo l’emergenza Covid-19 ”).
Non si è pensato – poveri noi! che spendere in armamenti è una pura follia; che spendere poco per l’istruzione, significa condannare all’ignoranza le nuove generazioni, che salvare quanti uomini possibile da Covid 19, era ed è una necessità.
La cosa che più irrita è il cinismo dei politici di qualunque colore politico, quelli di ieri e quelli di recente formazione, che hanno sempre votato, pur con diverse maggioranze, quei bilanci e che nulla o poco hanno fatto, al di là delle parole e degli slogan piuttosto isolati, per almeno equilibrare, se non era possibile eliminare delle voci, i bilanci dello Stato di questi ultimi trenta anni, a favore dei più deboli, dei bambini, della scuola, degli ammalati, degli anziani. La dimostrazione è data dal fatto che in parlamento nessuno, in questi giorni di grandi discussioni, da quel che mi risulta sul futuro dell’Italia, è intervenuto almeno per denunciare questa, a dir poco, disfunzione istituzionale.
Non mancavano i politici, sia quelli che, sapendo di non avere soluzioni per i problemi da affrontare e risolvere, furbamente hanno distratto gli elettori del loro abbandono, trasmettendo loro la paura di impossibili e fantasiose conquiste fatte da popoli che chiedevano e chiedono soltanto di non morire di fame, di essere salvati dalle onde del mare; sia quelli che oggi sono tutti impegnati a mantenere lo status quo, anche se a parole, dicono di volere il cambiamento, ma non fanno nulla per evitare l’hobbesiano “bellum omnium contra omnes” (la guerra di tutti contro tutti ), sapendo bene che dal disordine, dalla confusione, nulla nasce di buono e le situazioni si complicano e, se si realizza il cambiamento, esso è sempre peggiorativo.
Gli uni e gli altri sono, quindi, responsabili del disastro sanitario, istituzionale, morale, sociale ed economico, che tutti viviamo sulla nostra pelle, che si conclude con l’inaspettato Covid-19.
Giustizia vorrebbe che restituissero quanto (ed è tanto!) hanno avuto come stipendio nei loro incarichi in riparazione del danno diretto o indiretto causato alla società. Comprendo che la mia è una provocazione che diventa per loro ed è anche per noi sicuramente risibile, dato che in Italia mai si restituisce il maltolto. La giustizia “perequativa” e “distributiva” sono virtù, purtroppo sconosciute anche se rintracciate da Aristotele nella sua “Etica Nicomachea” che è da considerare alla base della teorizzazione della stessa etica cristiana.
Per tanto tempo abbiamo assistito ad una ostentata indifferenza e disprezzo dei nostri politici nei confronti dei valori morali e sociali, che, purtroppo ancora vediamo con tutti quei morti anziani ricoverati nelle RSA contagiati e sacrificati (mi fa una grande pena chiamarli morti) per l’inerzia di una Regione, quella lombarda, di fronte al pericolo di contagio degli anziani lì ricoverati.
Tutti sapevano che gli anziani potevano ricevere il contagio solo dall’esterno. Dunque, o i parenti non dovevano entrare, o entrare con le protezioni. Non è accaduta nessuna delle due cose.
La Regione Lombardia in una mail del 23 febbraio (tre giorni dopo Codogno) ordinò alle RSA che poteva entrare un solo parente per ogni anziano. Ma non è stata una limitazione efficace. Per mega strutture milanesi come «Trivulzio» e «Don Gnocchi», con quasi mille anziani ricoverati, significava che ogni giorno almeno mille parenti entravano nella struttura. Aiutavano gli anziani a mangiare, cambiarsi, muoversi. Contatti ultra-ravvicinati. Se un parente era positivo, l’infezione era quasi certa.
È questo il trionfo non solo dell’inerzia ma della mancanza di intelligenza politica, dell’amoralità dei comportamenti, della superficialità da parte dei dirigenti delle RSA, dell’assessore e dello stesso presidente Fontana, che hanno contribuito alla diffusione dell’infezione che ancora, a differenza di quanto avviene nelle altre regioni, stenta a scendere.
Si spera che l’immancabile rivoluzione che opererà il coronavirus non sia solo economica-sociale-antropologica ma in modo particolare morale, risusciti quei valori, che sono stati dimenticati ma di cui si deve impadronire la politica