SONO ANCORA TANTI I LATI OSCURI SULLA VICENDA ROMANO

E’ intervenuto sulla liberazione di Silvia Romano anche il vicepresidente del Centro Studi “Rosario Livatino”, Domenico Airoma, procuratore aggiunto del Tribunale di Napoli. Il magistrato, partendo dalla sua esperienza personale, solleva alcuni quesiti sulla vicenda. Nel 1° quesito cerca di verificare come si sia mossa l’organizzazione non governativa marchigiana denominata “Africa Milele”. Lo statuto delle ONG, è il primo nodo da affrontare.

«Si tratta, come è noto, di organizzazioni private che sono ammesse a fruire di finanziamenti pubblici, in buona parte provenienti dall’Unione Europea, allo scopo di realizzare progetti ricadenti, fra l’altro, nell’ambito della cooperazione internazionale e degli aiuti umanitari. La struttura privatistica è difesa gelosamente da queste organizzazioni, perché è considerata indispensabile per operare nelle aree in cui la presenza di soggetti riconducibili ufficialmente a compagini statali, soprattutto occidentali, non viene vista di buon occhio». (Domenico Airoma, “Trattativa: Stato-Mafia NO, Stato-Terrorismo SI?”, 16.5.2020, centrostudilivatino.it)

Naturalmente questo non significa che le organizzazioni devono improvvisare, anzi, vista l’estrema pericolosità delle condizioni di intervento «dovrebbe indurre le organizzazioni che fanno questa scelta a seguire protocolli di sicurezza rigorosi […]». Anche perchè spesso le zone dove i cooperanti agiscono vengono considerati, per quello che rappresentano, cioè occidentali, dei nemici.

A questo punto Airoma precisa: continuiamo a mantenere queste ONG nell’ambito privatistico, continuando ad erogare finanziamenti per i loro progetti meritevoli, e badando anche all’adeguatezza delle strutture. Tuttavia, è importante pretendere «precisi impegni concernenti la sicurezza del personale e gli obblighi di informativa». Aveva cercato di fare qualcosa l’ex ministro Minniti. «La deregulation – scrive Airoma – non può essere invocata a corrente alternata, dapprima difendendola per godere di mani libere nelle relazioni anche con soggetti inseriti nelle black list di gruppi terroristici, salvo poi a metterla da parte quando si pretende che gli Stati salvino la vita dei propri cittadini all’estero, erogando denaro e ponendo a rischio i funzionari dei Servizi di ciò incaricati: soprattutto quando l’ONG – come nel caso di Silvia Romano – non ha inteso adottare le necessarie cautele per tutelare quella vita e in più si sottrae a ogni rendiconto del proprio operato».

Il caso Romano ha evidenziato l’impreparazione e il provincialismo dei nostri governanti, che con il loro iniquo comportamento sono venuti meno agli obblighi del nostro Paese in ambito internazionale e pertanto hanno fatto perdere credibilità alle nostre istituzioni nel contrasto del terrorismo.

Il 3° lato oscuro, è quello del pagamento del riscatto. Al ministro Di Maio non risulta nessun pagamento. Che cosa significa esattamente? Si chiede Airoma, «Che possiamo escludere che sia stato versato un riscatto ai rapitori o agli intermediari? Certamente no, giacché l’on. Di Maio si è limitato ad affermare che a lui non risulta. Ovvero che, anche se è stato pagato, lui non è stato informato».  Comunque sia, una riflessione va fatta. Certamente si è trattato di un sequestro di persona, in condizioni orrende, conoscendo le opere dei rapitori. Airoma ipotizza due soluzioni: «o la rapita è stata volontariamente e pacificamente consegnata dai rapitori, magari perché convertitasi all’Islam, e quindi con il compito di fare sorridente propaganda alla nuova religione, oppure i rapitori sono stati convinti a rilasciare l’ostaggio». Della prima ipotesi non abbiamo prove, resta la seconda. Probabile che i sequestratori l’hanno rilasciata in presenza di un’adeguata contropartita. Questo significa per Airoma, che c’è stata una trattativa «rispetto alla quale la questione del riscatto passa perfino in secondo piano».

Continuando nelle riflessioni il magistrato napoletano ricorda le trattative laceranti tra Stato e mafia e pone la domanda: «Come può, si è detto, lo Stato scendere a patti con criminali capaci di ogni efferatezza, compreso sciogliere nell’acido un bambino? Lo sconcerto non è di meno se tutto ciò accade non entro i confini  nazionali, bensì all’estero. Posto che dall’altra parte del tavolo non c’è un soggetto meno pericoloso di Cosa Nostra, anzi. E posto che scendere a patti con sgozzatori di professione induce in questi ultimi, oltre al compiacimento per il successo propagandistico – amplificato dal risalto mediatico che i rappresentanti del Governo Italiano hanno deciso di dare alla liberazione -, il legittimo convincimento che rapire cooperanti occidentali è pratica fruttuosa».

Airoma pone altri inquietanti interrogativi: «chi ha deciso di scegliere la trattativa» e il nostro Governo si è reso conto che la sua condotta può mettere in pericolo altre trattative in corso in quei territori?

«È del tutto evidente che, per effetto di tale condotta, costoro ora si trovano ad essere dei potenziali bersagli di azioni analoghe a quelle che hanno visto come vittima Silvia Romano: assumendo, agli occhi di Al Shabaab e di gruppi simili, la veste di appetibili strumenti per assicurarsi più che lucrosi profitti da reinvestire».

Airoma fa riferimento allo sconcerto e al disappunto dell’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri Josip Borrell, per come il nostro governo ha condotto la trattativa e il verosimile versamento del riscatto.

«Sia perché il denaro, se versato, servirà ai terroristi per comprare armi e proseguire nelle loro azioni non proprio umanitarie, sia perché il negoziato con questi ultimi si pone in netto contrasto con le politiche dell’Unione Europea in tema di contrasto al terrorismo».

Tra l’altro Airoma cita il documento del Consiglio dell’Unione Europea del 30 novembre 2005, cui ha concorso anche l’Italia, dove la strategia dell’Unione è chiara: “Rafforzeremo i nostri impegni per smantellare l’attività terroristica e perseguire i terroristi oltre frontiera. Ci prefiggiamo di smontare i piani dei terroristi, smantellare le loro reti e attività di reclutamento, tagliare i loro finanziamenti e l’accesso al materiale necessario per preparare attacchi, e di consegnarli alla giustizia nel rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale”. Inoltre Airoma ricorda una direttiva più recente la 2017/541 dove si disegna in termini stringenti gli obblighi di prevenzione e di contrasto al terrorismo gravanti sui paesi membri.

E veniamo all’ultimo quesito posto da Airoma. Chi ha deciso di negoziare con i terroristi non ha riflettuto abbastanza sui vincoli assunti dall’Italia nei confronti degli altri Paesi dell’Unione Europea e sulle convenzioni sottoscritte in ambito internazionale. «Su questo versante  – scrive Airoma – è del tutto manifesto che non attribuire cogenza a tali obblighi mina la credibilità e la coerenza del nostro Paese nella lotta alla criminalità, soprattutto terroristica, e ne pone a rischio la leadership morale e operativa conquistata in decenni di missioni all’estero e di costi, anche umani, pagati dall’Italia».

Pertanto lascio le conclusioni al magistrato, «se chi ha deciso la trattativa era consapevole di tutto questo e ha deliberatamente scelto di procedere ugualmente, escludendo cioè di salvare la cooperante milanese senza individuare strade alternative alla sottomissione al ricatto terroristico, l’effetto è che in un solo colpo sono stati resi vani i sacrifici di quanti, nelle istituzioni e al di fuori di esse, non si sono piegati, pure a costo della vita, ad alcun ricatto, sia mafioso che terroristico.

Se, invece, non si è posto il problema del devastante ventaglio delle conseguenze illustrate, «c’è solo da prendere atto che lo Stato, in questa vicenda, si è comportato da ONG. Ritenendo di aver le mani libere da accordi, convenzioni, leggi, e soprattutto da ogni dovere di giustizia e di verità. Ma è qualcosa di cui non andare fieri. Soprattutto da non salutare con bandiere al vento, calici alzati, e comitati di accoglienza in favore di telecamere».

DOMENICO BONVEGNA

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