Il detenuto Cesare Battisti, noto alle cronache di ogni tipo per le sue condotte delittuose, latitanza e condanna a vita, ha fatto ricorso allo strumento di sciopero della fame perché sostiene che le condizioni della propria carcerazione non siano adeguate a quanto previsto dalle leggi per la propria salute. Non sappiamo se quanto sostiene questo detenuto sia vero o meno, e spetterà alle autorità accertarlo. Così come sappiamo che qualunque detenuto, sia che si chiami Cesare Battisti o Gesù Bambino, ha diritto ad essere trattato secondo le leggi della detenzione del nostro Paese. Che - in linea di massima e fino a prova contraria (a parte le croniche questioni del sovraffollamento) – non sono quelle di un regime dispotico che punisce chi viola le sue leggi “buttando via la chiave delle celle”, cioé un sistema carcerario dove la pena va scontata in un carcere non per essere punito ma recuperato. L’iniziativa di questo detenuto ha provocato una serie di reazioni (in diversi casi prevedibili) da parte di chi non considera la richiesta in sé ma da chi proviene questa richiesta e la sua storia delittuosa. Evidentemente i principi basi del nostro contratto civico sono ignorati e si preferisce ragionare in termini vendicativi piuttosto che civili, come se gli istinti di vendetta avessero una qualche legittimità. Ci viene in mente il classico “Nessuno tocchi Caino”. Per cui auspichiamo che, di fronte ad una contestazione (indipendentemente dal fatto che sia manifestata in forma estrema come è uno sciopero della fame) lo Stato sia in grado di rispondere, controbattere, comprendere e, nel caso, provvedere o confermare. Crediamo che questi siano i metodi della nostra civiltà. Il resto è barbarie. Quello che, per l’appunto, il nostro Paese ha sempre fatto in questi ultimi decenni facendosi alfiere nel mondo della contrarietà e della abolizione della pena di morte. Quella pena di morte che probabilmente vorrebbe chi ritiene che questo detenuto non vada ascoltato (visti i motivi per cui è stato privato della libertà)… pena di morte che non viene da costoro evocata per il semplice fatto che non è di moda oggi manifestare un ritorno alla pena capitale. Vincenzo Donvito, presidente Aduc