A pagare il prezzo più alto dello scontro politico-mediatico che ha tenuto banco nelle scorse settimane, i lavoratori delle due strutture, attualmente trasferiti presso i centri di Comiso e Pozzallo attualmente gestiti da Badia Grande
«I tanti cittadini che oggi tirano un sospiro di sollievo e si sentano al sicuro perché i locali dell’ex caserma Gasparro sono oggi “liberi” da migranti, dovrebbero sapere che quasi 30 famiglie di loro concittadini oggi si trovano senza un stipendio e con la paura di non arrivare a fine mese. Ma questo sembra non contare per nessuno, neanche per la massima Istituzione cittadina, il Sindaco, che, come chiaramente si evince dai video che girano in rete, ha letteralmente ignorato quei lavoratori che nelle scorse settimane sono andati a bussare alla sua porta per avere considerazione». afferma Fucile – si è ben pensato di “sacrificare” dei lavoratori sull’altare dello scontro Questo il commento del segretario della FP CGIL, Francesco Fucile, che si dice particolarmente deluso dall’atteggiamento di totale indifferenza mostrato dalle Istituzioni nei confronti di questi lavoratori: «In un momento in cui Messina non può certamente permettersi di perdere posti di lavoro – politico-mediatico. Sebbene, infatti, su questo è il caso di fare chiarezza: né l’Hotspot né il CAS risultano formalmente chiusi, la Prefettura di Messina, a seguito del caso politico innescato dal primo cittadino, ha deciso di bloccare l’accoglienza dei richiedenti asilo.
Né, tantomeno, anche la stessa Prefettura di Messina o il Ministero dell’Interno ha inteso adottare dei provvedimenti che trovino soluzioni alternative. Con quali conseguenze? Il sacrificio dei lavoratori ivi impiegati, poiché zero ospiti significa zero pagamenti dalla Prefettura all’Ente Gestore. Ci domandiamo se anziché giungere a questo punto, rilevate tutte le criticità del caso, non sarebbe stato più utile procedere ad una riorganizzazione degli spazi, anche con un’eventuale riduzione della capienza prevista, e continuare così a poter usufruire dei suddetti spazi o fare delle scelte oculate sulla etnia dei migranti da destinare a quella struttura? No, invece, silenzio da parte di tutti, tanto le famiglie di 30 lavoratori sicuramente licenziati possono anche essere il prezzo da pagare!!
Evidentemente, però, la pressione mediatica da un lato e i toni da perenne campagna mediatica dall’altro, non hanno fatto prevalere il buon senso. A tutto questo si aggiunge anche l’organizzazione sindacale che oggi – e ci domandiamo rappresentando chi -, “urla” all’attivazione degli ammortizzatori sociali, forse per parare il colpo a chi ha determinato la sospensione dell’attività del CAS e mostrato totale disinteresse nei confronti di questi operatori.
La FP CGIL, che orgogliosamente rappresenta questi lavoratori, può solo limitarsi a rispondere sottolineando due aspetti: il primo è che sono gli stessi lavoratori a rigettare l’idea dell’ammortizzatore e a preferire il lavoro, anche se sacrificante; il secondo punto è che la concessione dell’ammortizzatore sociale è legata ad una complessa serie di fattori e di cause che in questa fattispecie non sono ravvisabili. Ancora una volta, dunque, invitiamo Comune e Prefettura a sedersi intorno a un tavolo ed avviare un dialogo che ponga al centro l’interesse di questi lavoratori, fino ad oggi trattati come cittadini di serie B».