Ogni anno, dal 1999, il 25 novembre si celebra una ricorrenza fondamentale per il progresso della nostra società: la Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne. Le donne infatti, malgrado i grandi passi avanti mossi nel campo dell’uguaglianza, continuano a trovarsi spesso in situazioni di disparità, sottomissione e violenza.
Insieme alla Dott.sa Patrizia Mattioli di Guidapsicologi.it entriamo nel merito delle dinamiche sociali e psicologiche che si creano intorno ai casi di violenza di genere. Cosa avviene nella mente della vittima e dell’aggressore? Perché le donne non denunciano? Quali sono i meccanismi psicologici che si nascondono dietro alla paura di chi tace e sopporta? Come riconoscere e contrastare la violenza psicologica?
Solo attraverso gesti effettivi come la denuncia, l’ascolto attivo e un lavoro di formazione rivolto alle nuove generazioni si potranno scardinare meccanismi secolari e rendere alla donna la dignità che le spetta.
Quali sono i segnali che indicano che una donna è vittima di violenza di genere
«I segnali possono essere di natura fisica, psicologica o essere intuiti da atteggiamenti bizzarri e incoerenti.
La presenza di ferite, lividi o altri segnali sul corpo, ricorrenti e spiegati con reticenza sono sicuramente un indicazione. Poi ci sono i segnali più psicologici: cambiamento dell’umore, tendenza a spaventarsi anche di fronte a stimoli apparentemente neutri, diffidenza verso chi fa domande, ritiro e isolamento sociale anche rispetto alle persone più significative come genitori e cari amici. L’isolamento sociale ha la doppia funzione: di accondiscendere le richieste del partner violento che spesso spinge a isolarsi. Di nascondere agli altri (e a se stesse) i segni e la gravità di quello che accade e di cui ci si vergogna.» spiega Mattioli.
Ecco un pratico elenco per aiutarci a riconoscere le manifestazioni più diffuse di violenza di genere
- Violenza giustificata dalla semplice appartenenza al genere femminile
- Linguaggio sessista
- Disuguaglianza uomo e donna
- Violenza che inizia nella maggior parte dei casi con quella di tipo psicologica
- Offese, minacce e umiliazioni
- Aggressioni fisiche
- Aggressioni sessuali
- Controllo costante e stalking
- Generazione di senso di colpa della vittima
- Isolamento sociale
Dipendenza affettiva: perché la vittima non si allontana dal proprio carnefice
«Spesso si tratta di relazioni caratterizzate dalla dipendenza affettiva. Il partner che poi si rivela violento è stato inizialmente (e lo è generalmente dopo ogni episodio violento) amorevole e premuroso e c’è la difficoltà di integrare i due atteggiamenti. È come se di fronte all’atteggiamento affettuoso la donna si dimenticasse che è la stessa persona che le ha fatto del male, tendendo a giustificare i motivi della violenza o attribuirsene la responsabilità.» Ma perché non si denuncia? «Molte volte non si denunciano le violenze proprio perché si ritiene di averle in qualche modo provocate. Non si denuncia anche per la paura di ulteriori ritorsioni, per non rendere di dominio pubblico il problema, per la difficoltà di ammettere con le persone care di aver sbagliato, soprattutto nelle scelte fatte contro il parere della famiglia o delle amiche, altre volte per la paura di non essere credute, per la scarsa fiducia nella possibilità di essere aiutate.» afferma la dott.sa Mattioli.
La violenza è un fenomeno trasversale
«Secondo alcune ricerche il livello di istruzione potrebbe avere un ruolo inversamente proporzionale sul rischio di subire violenza da un partner, ma i risultati non sono univoci. In linea generale – continua l’esperta – si può dire che non ci siano sostanziali differenze, che la violenza sia un fenomeno trasversale che riguarda indistintamente le persone a prescindere dal livello di studi raggiunto e dal ceto sociale, sia per quel che riguarda la vittima che il carnefice. Lo stesso si può dire per l’età, anche se la maggior parte dei casi si concentra in una fascia di età compresa tra i 35 e i 50 anni.»
Aumenta la consapevolezza, aumentano le richieste di aiuto
«Negli ultimi anni sono di più le donne informate, consapevoli di essere in una relazione pericolosa ma non sanno come uscirne – racconta Mattioli – Poi vi sono donne che chiedono aiuto per altri aspetti e sono meno consapevoli. In questi casi viene sollecitata l’attenzione sugli atteggiamenti del partner, per esempio le richieste di esclusività e di allontanamento dalle persone significative. Gli psicologi cercano di stimolare la presa di consapevolezza del proprio bisogno di dipendenza che è quello che maggiormente ostacola il distacco da un partner violento che in certi momenti viene percepito come molto protettivo.»
Violenza psicologica: come riconoscerla e come contrastarla
Secondo l’analisi svolta a maggio, confrontando i dati del lockdown con quelli dello stesso periodo del 2019, si può osservare un aumento del 65% nelle ricerche finalizzate a scoprire quali sono i segnali per riconoscere se si è vittima violenza psicologica. È molto importante non trascurare tale fenomeno.
«Se la violenza fisica si evidenzia con le lesioni e le ferite, quella psicologica è più difficile da riconoscere. Sicuramente – conclude Mattioli – una persona vittima di violenza psicologica è una persona insicura, con bassa autostima dovuta anche alle mortificazioni subite, che si spaventa facilmente, che comincia a evitare il contatto con gli altri anche le persone più care. Se si ha un’amica con cui non si riesce più a interagire, se si è isolata, allontanata senza spiegazioni o con spiegazioni incoerenti, va considerata la possibilità che sia vittima di un maltrattamento psicologico. In generale quando ci si trova di fronte a maltrattamenti e violenze, la cosa migliore da fare è rinforzare il più debole»