Prevale il consenso elettorale, i voti, insomma, sulla salute e la vita delle persone. Così il segretario della Lega, Matteo Salvini, cavalca le richieste dei ristoratori con “se si possono fare i pranzi fuori, si possono fare anche le cene”, dimenticando che si va a cena più che a pranzo e che al grido di “riaprire tutto” si è avviata la prima ondata pandemica e con il “non si può terrorizzare” si è avviata la seconda e più mortale ondata pandemica.
Il bello, meglio il brutto, di queste richieste è che la Regione Lombardia, cuore del governo leghista, oltre alle misure per le zona arancione, ne ha deciso di più restrittive: chiusura delle scuole dell’infanzia, dei nidi, delle elementari e delle università, divieto di accesso alle seconde case e lavoro veloce ovunque, nelle provincie di Bergamo, Brescia e Cremona.
Le hanno definite zone “arancione rafforzata”, che noi intendiamo come “zone rosse”.
Il rischio è la terza ondata pandemica.
Sempre il bello, meglio il brutto, è che il provvedimento del presidente lombardo, Attilio Fontana, è immediatamente esecutivo, il che la dice lunga sulle proteste per le ordinanze emesse con brevi preavvisi: se predisposte dal Ministero della Salute non vanno bene, se le fa la Regione Lombardia sono necessarie e inderogabili.
In sintesi, abbiamo visto un Salvini che protesta in piazza a Roma con i ristoratori contro il Governo del quale fa parte, e un Salvini che tace sui provvedimenti più restrittivi nella “sua” Lombardia.
Meno furbizie e più responsabilità è auspicabile.
Primo Mastrantoni, segretario Aduc