di ANDREA FILLORAMO
“Ut unum sint” («perché siano una cosa sola»): parole tratte dalla preghiera di Gesù, secondo il Vangelo di Giovanni, ma che intendono condensare lo spirito di tutta la preghiera, specialmente nella sua parte centrale: “Non soltanto per questi io prego ma anche per quelli che, attraverso la loro parola, crederanno in me, che tutti siano una cosa sola e come tu, Padre, sei in me e io sono in te……..” (Gv17, 20-23).
La frase è stata assunta a formula programmatica del movimento ecumenico, e in genere di ogni aspirazione all’unione di tutte le Chiese cristiane, che sono: quelle ortodosse, quelle anglicane e quelle protestanti. Le chiese protestanti sono quelle sorte dalla Chiesa latina nel XVI secolo in seguito alla riflessione teologica di Martin Lutero, Giovanni Calvino, Ulrico Zwingli e altri.
Papa Francesco dalle sue prime parole da vescovo della Chiesa di Roma, a capo chino davanti al patriarca Bartolomeo, ha chiesto di essere benedetto da lui; per la “prima volta” in un tempio valdese, a Torino, il papa si è coinvolto in un pellegrinaggio “in cerca di unità e pace”; a Ginevra, per i 70 anni del Consiglio ecumenico delle Chiese, ha posto l’impegno ecumenico tra le priorità del suo pontificato.
Ma se, con il Papa argentino, l’ecumenismo ha fatto molti passi in avanti, con la chiesa ortodossa, con quella anglicana e con il variegato mondo protestante, una miccia sta facendo esplodere i rapporti fra il Successore di Pietro e la stessa Chiesa cattolica in Germania. Tant’è che si parla di possibile scisma.
A dire il vero, non sappiamo se tale miccia sia nelle mani del papa o del suo “entourage”, che non sa come muoversi fra gli scogli posti da un tradizionalismo cattolico che in questi ultimi tempi si è fatto più agguerrito o da quello progressista, che vuole che la Chiesa si apra sempre più al mondo moderno oppure, come ha affermato Mons. Charamsa: “Papa Francesco è un fantastico uomo prigioniero in Vaticano perché le istituzioni della Chiesa vivono in uno stato di vera a propria paranoia. Può sembrare che portino avanti un processo di apertura, di ricerca, ma in realtà la Chiesa è ancorata alle sue posizioni di chiusura”.
Sono sotto gli occhi di tutti, infatti, i sovvertimenti accaduti quando Bergoglio ha cercato di far comprendere che la Chiesa ha la necessità di aprire le sue porte agli omosessuali, ai divorziati che vogliono fare la comunione o di ordinare uomini “probati” sposati là dove c’è carenza di sacerdoti.
Lo sappiamo: apparentemente Francesco è uno dei Pontefici più amati degli ultimi secoli, dopo pochi mesi di pontificato è stato, infatti, definito “uomo dell’anno” dalla rivista “Time”, come “persona simbolo del cambiamento” ed ha rischiato di vincere il Premio Nobel per la Pace, eppure ha ricevuto questi onori mondani a suo discapito essendo, infatti, molto più incompreso e strumentalizzato rispetto ai suoi predecessori, bersagliato dal fuoco progressista e quello tradizionalista.
Le conseguenze di queste, chiamiamole pure incomprensioni, si sono rese evidenti particolarmente con la Chiesa tedesca, rappresentate anche dal fatto, a dire il vero eclatante che, mentre Giovanni Paolo II si recò tre volte in Germania (nel 1980, 1987 e 1996) ed il suo successore bavarese non mancò l’occasione di tornare nella Repubblica federale (anch’egli tre volte, nel 2005, 2006 e 2011), il Pontefice argentino ha finora trovato il tempo per una visita alle Mauritius e una ai soli 25.000 cattolici del Marocco, ma non in Germania non ha avuto l’onore di recarsi.
Analogo discorso potrebbe farsi circa le nomine cardinalizie di Francesco, con la Germania ormai completamente cancellata dalla carta geografica di Papa Bergoglio. Ricordiamo che la Germania, paese al centro non solo geografico di tante vicende europee è uno dei fulcri dei movimenti ecclesiali e teologici che segnarono il Concilio Vaticano II e gli anni ad esso successivi.
Ma cosa è successo in Germania in questi ultimi tempi che fa pensare a uno scisma con la Chiesa di Roma?
I vescovi tedeschi per rispondere agli scandali sui terribili abusi sessuali compiuti in strutture ecclesiastiche tedesche con l’idea che, andando ad affrontare aspetti pubblicamente indicati quali cause profonde degli abusi e pensando di risollevare la reputazione della Chiesa cattolica tedesca e prevenire nuovi scandali, hanno deciso di realizzare quello che hanno chiamato il Cammino sinodale, che il vescovo Gregor Christiansmeyer ha così spiegato : “una grande assemblea di delegati designati dalla Conferenza episcopale e dalle organizzazioni laicali tedesche, chiamata a dibattere e votare (a maggioranza, notare bene!) in tre forum e poi in seduta plenaria proprie posizioni su questioni tutt’altro che secondarie per l’orbe cattolico e cioè: il potere nella Chiesa, il celibato sacerdotale ed il ruolo delle donne”.
Ed è probabilmente proprio sulla scelta di questi che si può rintracciare una crepa importante fra Santa Sede e i vescovi tedeschi.
Nell’estate 2019 il Papa con una “Lettera del Santo Padre Francesco al Popolo di Dio che è in cammino in Germania”, ha chiesto un radicale cambio dell’ordine delle priorità e dei lavori per mettervi al centro la necessità che la Chiesa tedesca si dedichi con forza all’evangelizzazione di sé e del suo popolo, un vocabolo sinora pressoché assente dal dibattito ecclesiale tedesco e che ha messo in guardia i cattolici tedeschi del fatto che “corriamo il rischio di partire da noi stessi e dall’ansia di autogiustificazione e autopreservazione che ci porterà a realizzare cambiamenti e aggiustamenti, ma a metà strada, i quali, lungi dal risolvere i problemi, finiranno con l’avvolgerci in una spirale senza fine che uccide e soffoca l’annuncio più bello, liberatore e promettente che abbiamo e che dà senso alla nostra esistenza”
Dalla Germania il silenzio che vuol dire rifiuto della lettera papale.
Il vescovo emerito di Fulda (in Assia) ha compiuto lo scorso ottobre una visita per il saluto di cortesia al Papa e ne ha ricevuto una lamentela di prim’ordine.
Il Pontefice si è detto, infatti, “drammaticamente preoccupato per la condizione della Chiesa tedesca e profondamente dispiaciuto che la sua Lettera sia stata (sic!) completamente ignorata, pregando il vescovo in pensione di riferire in patria”.
Cosa che il vescovo ha fatto, ma la risposta della Conferenza episcopale e del Comitato centrale dei cattolici tedeschi è stata che la lettera “Non era pervenuta”.
Cosa succederà? Non lo sappiamo.
Vale ancora la preghiera di Gesù: “Ut unum sint”?
Il Cammino sinodale tedesco varerà delle decisioni, concernenti la possibilità di uomini sposati ad essere ordinati sacerdoti, che non immediatamente ma nei tempi futuri, travalicheranno i confini tedeschi e saranno serenamente accettati dalla Chiesa di Roma?
Le donne potranno accedere al presbiterato, senza creare quelle rotture che sono avvenute nell’anglicanesimo che, pur riconoscendo, che non ci siano motivi teologici che vietino l’ordinazione femminile, non ha atteso i tempi necessari perché maturasse nella società e non solo inglese, la rivoluzione femminile fortunatamente già in atto?
Certo che tutti vogliamo e anche i tedeschi vogliono che la Chiesa sia: “una, cattolica, apostolica, romana”; romana, però, nel senso che essa, come dice Ignazio di Antiochia (35 circa – Roma, 107 circa), ha il compito di “presiedere la carità nel mondo”. Tale definizione non deve essere intesa riduttivamente come semplice esemplarità morale a motivo di una maggiore carità, ma come vero riconoscimento di una autorità e dignità, nel senso affermato, immediatamente a ridosso del periodo apostolico. In quel periodo, infatti, non c’erano sovrastrutture dottrinali o pseudo dottrinali che col tempo si sono sedimentate nella Chiesa e che ancora, purtroppo, persistono e che Papa Francesco non riesce, pur con il suo impegno, per la guerra che gli muovono contro tradizionalisti e progressisti, ad abbattere.