di ANDREA FILLORAMO
Nessun esperimento scientifico è in grado di dimostrare in modo incontrovertibile la validità di una teoria scientifica. A tal proposito Wittgenstein, riecheggiando David Hume e Bertrand Russell, scriveva: “Che il sole sorgerà domani è solo un’ipotesi”. Chiunque di noi sa che domani il sole sorgerà, ma dobbiamo guardarci da qualsiasi certezza assoluta. La scienza ci consegna una rete di ipotesi.
La scienza, è bene affermarlo con Ivan Cavicchi, docente all’Università Tor Vergata di Roma, esperto di politiche sanitarie “è anche capace di regolare le ambizioni. Proprio un grandissimo fisico come Enrico Fermi spiegava che anche la consapevolezza di una impossibilità può essere un bel risultato. La scienza non scappa a gambe levate dai problemi importanti: lavora, semmai, a ridefinirli in un contesto adeguato per arrivare a soluzioni controllabili empiricamente. Quando parliamo di verità scientifica è soltanto una faccenda che riguarda il linguaggio, il quale è un prodotto dell’uomo. Dunque, anche la verità sarebbe un fatto umano. Mi viene in mente lo scontro tra Gesù e Pilato. Quando il prigioniero disarmato definisce cosa è la verità, il potente romano gli ha già voltato le spalle”.
Questa lunga premessa tende a dare ragione a chi, come lo scrivente, in vari articoli sulla pandemia, ospitati in questo giornale, dinnanzi ad alcuni virologi e affini, che hanno occupato tutte le televisioni , ha pensato e scritto di un’operazione mediatica, spesso opportunistica, politica con cui alcuni supposti o sedicenti scienziati, l’un contro l’altro armato, hanno fatto credere che i loro interessi fossero esclusivamente scientifici, ma non hanno fatto nient’altro che seminare il terrore. Essi non hanno tenuto conto che non è con il terrore del nemico che si vince una guerra. Certo che la paura non va demonizzata ma non può neppure essere sostituita dall’apertura, dall’accoglienza e dalla comprensione, senza prima sostare e se possibile trasformare la paura stessa,
Da ciò l’ambivalenza indotta in tante persone: se, infatti, da una parte sorge un sentimento di pessimismo e si ha paura che l’epidemia sempre riprenda, sul piano individuale si vuol essere ottimisti anche per gli effetti positivi già evidenziati della campagna vaccinale in corso e si pensa che in qualche modo ce la faremo sempre. Per tal motivo possiamo prendere anche più rischi di quelli che dovremmo. Questo è il motivo per il quale, si può anche uscire dalle regole.
Questo, inoltre, è un fattore che influenzerà nei prossimi mesi le dinamiche epidemiologiche anche rispetto alla circolazione del virus.
Ovviamente, la domanda che ci poniamo è sempre la stessa: quando finirà la pandemia? Difficile rispondere. L’unico esempio che si può fare con le epidemie del passato è con la Spagnola: nessuno sa perché si è spenta la Spagnola. La ragione più probabile è che sia venuto fuori un ceppo virale meno virulento che prevalse su altri ceppi virali e che portò allo spegnimento di questa influenza, il cui virus è andato sottotraccia, mai dando sfogo a manifestazione pandemiche fino agli anni ’70 e poi al 2009.
È certo che la pandemia finirà con l’adattamento reciproco tra virus e uomo.
Il mondo umano è estremamente capace di adattarsi: se è vero che le forme che manifesta questa malattia adesso sono più lievi forse è anche perché i medici hanno imparato a curarle meglio, o il carico virale è inferiore grazie alla vaccinazione, alle mascherine e al distanziamento. Accogliamo, quindi, con cauto ottimismo le aperture concesse dal Governo, poiché, come ci insegna la psicologia, la visione ottimistica ha un impatto globale su tutto ciò che concerne la vita dell’individuo e pesa in modo determinante sulla stessa qualità della vita.