Non volevo più scrivere dei preti pedofili – ho scritto già abbastanza – ma ho accettato questa intervista dopo aver avuto la notizia dai giornali e dalla televisione, che “un giovane prete, di appena 29 anni, ordinato nel 2019, don Emanuele Tempesta della diocesi ambrosiana, è stato arrestato dalla Squadra Mobile della Questura e adesso si trova agli arresti domiciliari. Tutto sarebbe emerso dall’indagine coordinata dalla Pm di Busto Arsizio, Flavia Salvatore, che ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia agli arresti domiciliari firmata dalla Gip Luisa Bovitutti. Le indagini sono scaturite dalle denunce sporte da alcune madri che avevano captato segnali di disagio dopo aver parlato coi figli”.
Andrea Filloramo
Giornali, storie, scandali, bugie e Vaticano
Andrea Filloramo, ancora un altro caso di presunta pedofilia dei preti, e questa volta di un giovanissimo prete, ancora fresco di ordinazione, che si aggiunge ai tanti casi denunciati, dei quali anche il Vaticano si fa carico.
Mi risulta che il personale di un Ufficio dalla competenza delicatissima della Santa Sede è “sopraffatto” da uno “tsunami”. Lo “sportello”, che riceve le segnalazioni di violenze perpetrate da sacerdoti ha registrato quest’anno la cifra record, se si pensa che in diciannove anni i casi trattati sono stati 6 mila. Ciò significa che da quando c’è Papa Francesco il problema della pedofilia dei sacerdoti la Chiesa lo sta affrontando seriamente.
Constatiamo con rammarico che sono, però, tanti forse troppi i preti pedofili.
Certamente, ma forse sono molto di più quelli non denunciati, ma non bisogna generalizzare. La maggior parte dei sacerdoti – ne sono molto convinto – è molto distante da questo “vizio” o “abitudine” che non è solo dei preti. Non si tratta, quindi di un fenomeno endemico dei sacerdoti, quasi come la flemma degli Inglesi, il talento per il calcio in Brasile, l’amore per la birra in Germania – in cui sembra che abbiano tutto scritto nei geni, come qualcuno vuol far pensare.
Sono pienamente d’accordo, ma è possibile che ci siano dei fattori sociologici e delle situazioni che inducono alcuni preti alla pedofilia?
Sarà proprio così ma il discorso sarebbe lungo e non contenibile in poche righe. Riprendo, quindi, ancora il concetto di generalizzazione. Pare pacifico che in Sicilia la mafia, in Italia la corruzione e l’indolenza siano fenomeni endemici per motivi sociologici, ma non si può dire che tutti i Siciliani siano mafiosi o che tutti gli italiani siano corrotti e indolenti.
Nessuno non solo non lo può dire, ma nessuno lo può pensare.
Esaminando in termini definitori il problema, sarebbe opportuno affrontare un punto cruciale della questione, e cioè rintracciare una serie di tratti specifici della personalità del pedofilo, prete o laico non importa. La prima cosa da sottolineare è che la pedofilia è una categoria estremamente eterogenea.
È indubbio, però, ci chiediamo se i pedofili siano soggetti psicopatologici.
Sicuramente molti pedofili vanno ricondotti nel gruppo di quanti soffrono di immaturità psicosessuale, di infantilismo, con segni di compensazione delle carenze affettive.
Tratti che sono rintracciabili anche nei preti pedofili?
Per i sacerdoti c’è anche l’inesperienza sessuale, che spesso li conduce a comportamenti simili alla fase puberale e, quindi, alla pedofilia.
La Chiesa, però, ha privato i suoi preti di ogni esperienza sessuale che serve indubbiamente per crescere e di questo i sacerdoti dovrebbero prendere coscienza.
Non direi che i preti siano stati privati dalla Chiesa delle esperienze sessuali ma l’istituzione ecclesiastica li ha obbligati dottrinalmente a privarsi. I pedofili sono in genere degli immaturi, incerti nella scelta dell’oggetto d’amore, incapaci di creare una relazione adeguata con gli altri con i quali devono condividere le esperienze, vietate totalmente ai preti dalla Chiesa, che impone per legge il celibato ed esige la castità assoluta. Diciamolo con chiarezza: in particolari circostanze alcuni preti, in mancanza di soggetti più adeguati, scaricano la sessualità nei confronti dei bambini o degli adolescenti e non pensano neppure che commettano anche dei reati e rischiano di distruggere in un attimo l’onorabilità che a loro spetta da parte dei loro fedeli.
Occorrerebbe forse essere più precisi
Cerco di esserlo: la sessualità, che Papa Francesco ha definito un “dono di Dio” è simile ad un’automobile, che deve necessariamente avere un acceleratore e un freno. La macchina del desiderio sessuale, alimentata dalla benzina che sono le fantasie sessuali, procede sempre con l’acceleratore premuto. In qualche momento con un filo di gas, in altri, quando la passione divampa, a tavoletta. La corteccia cerebrale che crea le stesse fantasie è invece il nostro freno. Forse alcuni lo usano poco, e si abbandonano all’ipersessualità. Altri, invece, lo usano troppo, e, quindi, sono vittime di ansie prestazionali o da inadeguatezza. Una minoranza e in questa, i preti, avrebbero dovuto imparare, attraverso la rinuncia e l’ascesi a distaccarsi dalle passioni di questo mondo per innalzarsi verso uno stato di purezza. Ma la spinta ascetica è di difficile attivazione e i sacerdoti lo sanno bene che per avere e per sentire tale spinta occorre un aiuto continuo dall’Alto.
Vuoi dire, quindi, che la castità per i preti è una virtù impossibile.
Non l’ho detto. La castità per chiunque è difficile e lo stato sacerdotale e la stessa ordinazione non rende immuni dalle tentazioni sessuali, che possono, per la facilità del rapporto, anche orientare verso i bambini o adolescenti. Dipende da ciascuno gestirla. Bada bene! Non sto giustificando la pedofilia – mi guardi il Cielo – ma sto cercando soltanto di capirla come fenomeno sociale, data l’ampiezza e la frequenza con cui si manifesta.
La Chiesa per molto tempo non ha condannato, però, la pedofilia dei preti.
E’ stato proprio così, l’ha tollerata e non ha tenuto conto del danno procurato ai bambini, vittime spesso inconsapevoli. Per comprendere meglio gli errori commessi nel passato, è utile leggere ciò che scrive Gianfranco Svidercoschi, ex vicedirettore de L’Osservatore Romano, nel volume “Chiesa, liberati dal male! Lo scandalo di un credente di fronte alla pedofilia (Rubbettino). “Gli ultimi Papi – sottolinea il vaticanista – hanno mostrato coraggio, hanno preso decisioni, a cominciare dalla ‘tolleranza zero’ e dalla Commissione vaticana per i minori. E tuttavia, va detto molto onestamente, ci sono state finora troppe parole, e invece pochi fatti. E adesso, dunque, ci vogliono i fatti. Riformando l’intera struttura dei seminari, la preparazione dei candidati al sacerdozio, a tutti i livelli, in tutti i campi, compreso quello della sessualità”.
Sono queste parole chiare, inequivocabili.
Sono convinto che è nei seminari che si decide in modo determinante il futuro del cattolicesimo, quando cioè nessun prete ventinovenne o di altra età, verrà arrestato per accuse di pedofilia. Perché accada ciò è necessario che ci sia un maggiore coinvolgimento dei laici nella formazione dei candidati al sacerdozio. Purtroppo, molto spesso, i fedeli della Chiesa cattolica hanno poca o nessuna conoscenza di come i futuri sacerdoti siano formati. Eppure, nei seminari si decide, in modo determinante, il futuro del cattolicesimo. Anche i laici dovrebbero partecipare nella scelta di un’altra strada di formazione nei seminari, quella che si concentra sulla maturità affettiva e sulla cosiddetta personalità integrata dei seminaristi.
Sarà, quindi, abolito il celibato ecclesiastico?
Non credo. Non vedo alcuna correlazione fra pedofilia e celibato dei preti. Saranno prima probabilmente aboliti i seminari, intesi come luoghi residenziali dei vocati al sacerdozio, autentici “pollai “, come li definisce don Mazzi, che saranno sostituiti da luoghi di incontro comunitario e di formazione di persone sposate e celibi sulle quali il vescovo imporrà le sue mani e le invierà a predicare il Vangelo e a “spezzare il pane”, che non sarà solo quello eucaristico. Ritengo che questa sia la strada obbligata per la Chiesa Cattolica per durare “fino alla consumazione dei tempi”. Ciò avverrà soltanto se la Chiesa seguirà le indicazioni di Papa Francesco che vuol fare i conti con i “rigidismi” di una morale sessuale accusata di aver demonizzato il piacere. Quello che Jorge Mario Bergoglio ha scritto nell’ultimo libro di Carlo Petrini era già stato annunciato dallo stesso pontefice un paio d’anni fa: “Niente tabù. È un dono di Dio, un dono che il Signore ci dà”, aveva intimato il pontefice. Il ragionamento è sempre lo stesso, mentre il soggetto, oggi come allora, è la “sessualità”.