La ritirata statunitense da Kabul rappresenta molto più di una sconfitta militare proprio perché in gioco non c’era solo la tenuta delle istituzioni che gli americani avevano provato ad instaurare in Afghanistan. “Ad essere a rischio è anche un modello di società fondato sul rispetto dei diritti umani, che ha sempre animato la cultura occidentale e che ora rischia di scomparire gradualmente, passo dopo passo, quasi senza accorgercene. Non si tratta più soltanto di “esportare la democrazia” dove non è mai esistita, ma di difenderla laddove essa ha perdurato per decenni”. (Lorenzo Gioli, Nel ritiro da Kabul non solo una disfatta militare, la crisi culturale dell’Occidente, 2.9.21, atlanticoquotidiano.it).
Sulle ragioni della sconfitta americana a suo tempo è intervenuto Walter Maccantelli, esperto di geopolitica di Alleanza Cattolica. Maccantelli ha elencato gli errori che avevano commesso gli eserciti occidentali in Afghanistan. In primis, è stato fatale quello di non tenere conto della natura del popolo afghano, con i suoi clan e alleanze tribali. Si doveva puntare sull’equilibrio di queste forze locali. Invece si è scelto “di puntare sull’esportazione di un modello di democrazia all’occidentale, liberal-umanitaria e di stampo tecnicamente “imperialista”, in grado di entusiasmare solo una ridotta élite progressista, che oggi è sul tetto delle ambasciate occidentali in attesa di evacuazione, ma, per contro, capace di eccitare gli animi dei capi clan delle campagne e delle montagne e di lasciare perplessa la popolazione, stordita dal colpo di flash di una modernizzazione paracadutata dalla terra dei nemici e in palese contrasto con il sistema di vita tradizionale”. (Walter Maccantelli, Goooooodbay Kabul, 16.8.21, alleanzacattolica.org).
Effettivamente ancora oggi in tanti si interrogano, come sia stato possibile che un esercito di 300 mila uomini, addestrato per due decenni dagli occidentali, si sia sciolto in pochi giorni. Per Galli della Loggia, è mancato lo slancio morale delle forze militari occidentali mandati in Afghanistan. Composti in parte da mercenari, i cosiddetti contractor, e non da veri e propri soldati americani, disposti a morire pur di difendere i principi su cui si fondano gli Stati Uniti. Del resto in Afghanistan si stava combattendo una guerra che aveva degli obiettivi ideologici forti, intrisi di una carica valoriale, visto che si intendeva portare la democrazia. A questi quesiti, presto o tardi, i Paesi occidentali dovranno rispondere.
Inoltre, ci si chiede come sia stato possibile che i governi afghani non siano riusciti a creare un consenso significativo tra la popolazione. E come mai quelle forze della resistenza, che c’erano già durante la lotta contro i sovietici, non sono riusciti a prevalere, penso ai resistenti intorno alla leggendaria figura di Ahmad Massud. Probabilmente il nostro Occidente non ha saputo o non ha voluto valorizzare questi elementi. Massud qualche mese prima di essere assassinato, aveva chiesto aiuto all’UE: se aiutate me aiutate voi stessi, era questo il senso del suo discorso.
Un dato è certo, l’abbandono dell’Afghanistan porterà vantaggio all’estremismo islamista, al terrorismo di matrice islamista.
Sono anni che si indaga sul deficit valoriale dell’Occidente, che non investe soltanto la sfera bellica. Sono anni che l’Occidente rinuncia alla difesa dei propri valori, vergognandosi della propria identità anziché preservarla. Lo ha spiegato il professor Marsonet in una interessante analisi pubblicata da atlanticoquotidiano lo scorso 30 agosto. In nome di un non meglio precisato multiculturalismo, la società occidentale sottovaluta e talvolta asseconda l’ala più radicale dell’Islam, che minaccia il nostro stile di vita mirando a una vera e propria egemonia culturale. È giunto il momento di finirla con certe ipocrite finzioni. Per Marsonet, “Lo spirito islamico è intrinsecamente oscurantista e per niente tollerante. Gli islamici, inclusi i cosiddetti “moderati”, perseguono un disegno di egemonia culturale che non sempre ricorre alle armi, ma punta comunque alla conquista dall’interno dei Paesi occidentali”. Provate a chiedere la reciprocità, a pretendere che al contempo venga concesso il permesso di costruire nuove chiese non dico in Afghanistan, ma in nazioni in teoria alleate dell’Occidente come Arabia Saudita, Qatar e Pakistan.
Si innalza subito un muro di dinieghi: loro e noi non siamo uguali. Una nuova moschea a Milano, Parigi o Londra è un diritto sacrosanto. Una nuova chiesa a Riyad, Islamabad o Doha è un’offesa intollerabile per l’islam. Fino a quando siamo disposti a sopportare questa discriminazione?
“Interi quartieri delle nostre metropoli sono governati dalla sharia tanto che, passeggiando in certe aree di Londra, Parigi e Bruxelles, si ha la sensazione di essere trasportati all’improvviso in un mondo completamente diverso. Gli abitanti vivono osservando con scrupolo leggi e usanze dei Paesi d’origine, ignorando con la massima tranquillità ciò che avviene all’esterno. E l’immigrazione incontrollata e favorita dal buonismo imperante in certi ambienti ha aggravato a dismisura la situazione” […] A Londra non occorre andare nella vituperata periferia. È sufficiente percorrere la centralissima Edgware Road, piena di negozi e hotel di lusso, per sentirsi in un Medio Oriente nel quale la cultura occidentale è pressoché assente”.
(Michele Marsonet, La sharia è già da tempo in Europa: impariamo a combatterla qui prima che a Kabul, 30.8.21, atlanticoquotidiano.it).
Che l’Occidente e le sue istituzioni siano in declino, lo si è visto, come abbiamo gestito il Covid, prede come siamo di un terrore irrazionale che ci ha impedito di affrontare l’emergenza sanitaria in modo lucido e mirato. “Può sopravvivere una società che rifiuta il concetto stesso di morte e di sacrificio?” Si domanda Gioli.
Nel bene e nel male i nostri avversari — dal regime comunista cinese agli estremisti islamici — hanno una visione culturale e politica ben precisa e sono disposti a difenderla con ogni mezzo. Una visione oscurantista, retrograda, illiberale. Ma allo stesso tempo chiara e facilmente comprensibile. L’Occidente invece che cosa offre? Sembriamo più impegnati a svilire identità e tradizioni piuttosto che a preservarle. Non a caso la Cancel Culture, che assurge a giudice etico della storia demolendo statue e censurando opere letterarie, è nata proprio negli Stati Uniti per poi diffondersi anche in Europa. Ci troviamo su una nave alla deriva senza rotta né destinazione. È ora di prendere in mano il timone, tutti insieme, per evitare il naufragio. Prima che sia troppo tardi.
DOMENICO BONVEGNA
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