Apprendiamo, in queste ore attraverso i media, della decisione dell’Aifa, in relazione alla terza dose del vaccino, di approvare l’inizio delle nuove somministrazioni, a partire dai primi mesi del 2022.
Mentre da una parte appare netta, la posizione dell’Associazione Italiana del Farmaco, rispetto agli ottantenni e agli immuno-depressi, ci troviamo di fronte a una situazione, quella relativa agli operatori sanitari, che merita decisamente maggiore chiarezza.
In tal senso non possiamo nascondere la nostra preoccupazione per quanto sta accadendo, trovandoci nel bel mezzo di posizioni a nostro parere troppo generiche ed astratte.
Occorrono invece regole precise rispetto alla terza dose, che oggi ahimè non ci sono ancora E’ necessario che il Ministero della Salute delinei i casi specifici in cui è prevista la nuova somministrazione.
E’ impensabile che l’Aifa, di concerto con il Ministero della Salute, parrebbe abbia deciso di affidare alla discrezionalità di un valutatore che sinceramente non abbiamo ancora compreso chi dovrà essere, la decisione sulla terza dose, caso per caso.
Chi e quando deciderà se per un infermiere è necessaria?
In quali situazione questa verrà negata?
Chi si assume la responsabilità di negare la terza dose a un operatore sanitario già vaccinato in precedenza, che poi potrebbe ammalarsi di nuovo e diventare veicolo di contagio per i colleghi?
Come deve porsi un operatore sanitario, rispetto alle stesse condizioni di rischio per la propria salute, nel momento in cui trascorrono inesorabili i mesi dalla sua seconda vaccinazione? A chi deve rivolgersi?
Quando, invece di leggere di regole precise e dettagliati valide per tutti gli operatori sanitari, leggiamo invece di una valutazione che dovrà essere fatta solo “caso per caso”, legata al rischio individuale (livello anticorpale, malattie pregresse) di ogni operatore sanitario di infettarsi di nuovo, ci troviamo di fronte a un pericoloso quadro astratto, di complessa interpretazione, e i cui tratti finali sembra che siano stati affidati alla matita di un artista ancora anonimo.
Insomma, chi sarà chiamato ad assumersi la responsabilità di dare concreta applicazione a tutte queste enunciazioni tremendamente generiche ed astratte? Si lascerà tutto alla valutazione del medico di famiglia, senza regole precise di fondo per tutti?
Gli stessi cittadini italiani vaccinati hanno diritto di sapere quali sono le loro condizioni di immunità in relazione alla tempistica delle loro vaccinazioni.
Come Sindacato Nazionale degli Infermieri, alla luce dei recenti, nuovi e pericolosi focolai di contagi, che stanno coinvolgendo per la maggior parte operatori sanitari già vaccinati con le due dosi effettuate ad inizio anno, pretendiamo di comprendere quale sia il tempo ed il livello effettivo di durata dell’immunità, a partire dal giorno della seconda dose. Non possiamo permetterci di affidarci a singole valutazioni per ogni infermiere interessato, peraltro rimesse volta per volta alla discrezionalità di soggetti che nel susseguirsi di informazioni non abbiamo ancora precisamente identificato.
E’ troppo importante la condizione di rischio degli infermieri italiani e il loro impegno quotidiano con i malati.
E poi, non è di secondaria importanza che tutto questo accade, nonostante l’evidenza che vede numeri allarmanti, quelli dell’Istituto Superiore della Sanità, che raccontano di un aumento spropositato di casi di operatori sanitari contagiati: ben 250 a luglio, che diventano 1951 il mese successivo, dei quali, naturalmente, l’82% sono infermieri.
Insomma, a fronte di numeri complessivi di persone infettate che scendono, l’aumento repentino dei contagi tra gli operatori sanitari esplode sotto gli occhi di tutti: lo vediamo solo noi? Cosa sta succedendo? Come possiamo accontentarci di risposte vaghe ed interlocutorie di fronte alla tutela della salute dei professionisti della sanità di cui il Governo e le Regioni, datori di lavoro, sono i primi responsabili?
Quanto dura effettivamente l’immunità garantita dai prodotti in uso? Siamo certi che si tratti degli annunciati sei mesi? E se così fosse, allora gli infermieri non possono certo permettersi di aspettare una volta arrivati alla scadenza. Almeno per come la vediamo noi, al raggiungimento della data fatidica, e possibilmente “prima” che si verifichi il pericoloso abbassamento delle difese immunitarie, a tutti gli interessati deve essere data la possibilità di vaccinarsi subito, che si tratti di sei oppure otto o dodici mesi, questo non importa.
Ma attenzione, perché nel caso degli operatori sanitari, solo un percorso fatto di screening continuativi, potrà metterli nelle condizioni di conoscere l’evolversi delle loro condizioni, e fare in modo che tanti di loro, forti della personale ed elevata professionalità, vengano messi nella condizione di offrire ogni giorno il meglio della loro competenza, esperienza e qualità umane. Occorre difenderli, tutelarli, monitorare quotidianamente le loro condizioni, evitare di lasciarli sul luogo di lavoro quando corrono il rischio di contagiarsi e diventare a loro volta, involontariamente, per colleghi e soggetti fragili, veicolo di contagio.