di ANDREA FILLORAMO
Nel febbraio del 2019, decine di vescovi in tutto il mondo hanno celebrato la Messa con la seguente intenzione: “Affinché, nella partecipazione grata e fedele alla storia particolare generata oggi dal carisma di don Giussani, cresca in ciascuno di noi l’intelligenza della fede, la certezza della speranza e l’ardore della carità a servizio instancabile della Chiesa e dei fratelli uomini”.
Si celebrava allora il 14° anniversario della morte di don Luigi Giussani (22 febbraio 2005) e il 37° del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione (11 febbraio 1982), di cui don Giussani era il fondatore.
L’invito alla celebrazione era stato rivolto dal Movimento subito dopo che l’ex governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, appartenente a CL, uno dei Memores Domini, associazione laicale chiamata dagli aderenti e dai simpatizzanti di Comunione e Liberazione anche Gruppo Adulto, formatasi nel 1964 e riconosciuta dal Pontificio Consiglio per i Laici l’8 giugno 1988, era stato condannato in via definitiva per corruzione nel processo per il crac delle fondazioni Maugeri e San Raffaele.
Per il “Celeste”, quindi, si erano aperte le porte del carcere.
Con questa condanna si era chiusa definitivamente la storia di un politico, uomo di punta di CL, che è restato al governo della Lombardia, la più importante regione italiana, per quasi vent’anni, un uomo inossidabile alle critiche e alle numerose inchieste giudiziarie da cui era sempre uscito indenne. Il sistema politico e affaristico costruito in tanti anni sembrava reggere a qualsiasi attacco.
Al centro di tutto la sanità, che aveva favorito un enorme giro di denaro e che aveva premiato il profitto rispetto alla salute, utilizzando qualsiasi mezzo, dalle cartelle contraffatte ai fondi neri.
Varrebbe la pena di seguire l’evoluzione politica e personale di Formigoni, dal pauperismo iniziale ai lussi condivisi con personaggi di dubbia caratura morale: così si capirebbe come la politica sia riuscita in questi anni a tradire la sua vocazione pubblica per diventare un’occasione di arricchimento personale. Nessuno, per tanto tempo, che sia riuscito a fermarlo, a spezzare l’equilibrio di un sistema che forse era comodo non solo a Formigoni.
Da evidenziare che Comunione e Liberazione, in più di venti anni, si è ‘impossessata’ di una Regione, la Lombardia, mettendo i suoi esponenti in tutti i posti chiave della sanità, degli enti, delle agenzie e delle società a capitale pubblico, agendo sopra di tutti prescindendo da chiunque e privilegiando, nell’ambito della sfera pubblica, gli interessi particolari.
Ci chiediamo: “Perché l’arcivescovo di Milano, il Cardinale Scola, non ha alzato la voce contro questa continua corruzione?”.
La risposta più facile sarebbe quella di dire che il Cardinale era da quando era giovane, di CL, ed era amico di Formigoni, ma il discorso sarebbe lungo e difficile per dimostrare una tesi del genere.
Diciamo soltanto che Scola a Milano arrivò da vescovo, nel giugno 2011, spinto da una lettera scritta a papa Ratzinger da Julián Carrón, il capo della Fraternità di Comunione e liberazione, che lo propose dopo aver duramente criticato, senza citarlo, il suo predecessore Dionigi Tettamanzi, accusato di “intimismo e moralismo” e di “un sottile ma sistematico collateralismo verso una sola parte politica, il centrosinistra, trascurando, se non avversando, i tentativi di cattolici impegnati in politica, anche con altissime responsabilità nel governo locale”. Il riferimento era, appunto, al ciellino Roberto Formigoni, allora presidente della Regione. Il rimprovero massimo a Tettamanzi era di aver bollato “come affarismo le opere educative, sociali e caritatevoli dei movimenti”, cioè di Cl.
“Data la gravità della situazione”, per Carrón a Milano c’era bisogno di “un pastore che sappia rinsaldare i legami con Roma e con Pietro”.
Ratzinger ascoltò Carrón e non Martini, che aveva delineato la figura ideale del successore in un aureo libretto intitolato Il vescovo (Rosemberg & Sellier 2011).
Scola entrò così da cardinale nella diocesi che non lo aveva voluto ordinare prete: nel 1970, il rettore del seminario di Venegono, non concesse a lui e ad altri seminaristi di Cl il suddiaconato che avrebbe loro permesso di evitare il servizio militare. Di fatto, fu un’espulsione. Scola dovette rivolgersi al vescovo di Teramo che conferì a Scola il suddiaconato e un anno dopo, nel 1970, lo ordinò sacerdote incardinandolo nella sua diocesi.
Tutta questa storia non è sfuggita all’occhio vigile di Papa Francesco, che già nel 2015, ricevendo i membri di Cl in piazza San Pietro, affermò: “Uscire significa anche respingere l’autoreferenzialità, in tutte le sue forme, significa saper ascoltare chi non è come noi, imparando da tutti, con umiltà sincera. Quando siamo schiavi dell’autoreferenzialità finiamo per coltivare una ‘spiritualità di etichetta’: ‘Io sono Cl’. Questa è l’etichetta. E poi cadiamo nelle mille trappole che ci offre il compiacimento autoreferenziale, quel guardarci allo specchio che ci porta a disorientarci e a trasformarci in meri impresari di una Ong”.
Parole che ovviamente non furono apprezzate dal Movimento di don Giussani, come non può essere gradito quel che è accaduto in questi giorni: il commissariamento dei Memores Domini.
La decisione del Papa era nell’aria da diverso tempo ed è stata comunicata dalla Sala Stampa della Santa Sede e notificata alla presidente uscente dei Memores Domini:
“Il Santo Padre Francesco, avendo a cuore l’esperienza dei Memores Domini e riconoscendone nel carisma una manifestazione della grazia di Dio, ha disposto un cambiamento nella conduzione dell’associazione, nominando suo delegato speciale monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto. Il delegato speciale, a far data dal 25 settembre 2021, assumerà temporaneamente, ad nutum della Sede Apostolica, con pieni poteri, il governo dell’associazione, al fine di custodirne il carisma e preservare l’unità dei membri. Simultaneamente, decade l’attuale governo generale dell’associazione. Il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita ha nominato padre Gianfranco Ghirlanda assistente pontificio per le questioni canoniche relative alla medesima associazione”.
Si è sicuramente trattato di una decapitazione in piena regola per il ramo più importante di Comunione e Liberazione guidata dal 2005, ovvero subito dopo la morte di don Giussani, da don Julián Carrón.
Anche lui sarà costretto a lasciare a breve la guida di Cl a seguito del recente decreto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, presieduto dal cardinale Kevin Joseph Farrell, che ha stabilito che i presidenti dei movimenti ecclesiali non possono restare in carica oltre dieci anni.
Carrón, che è stato riconfermato alla guida di Comunione e liberazione nel 2008, nel 2014 e nel 2020 per un nuovo mandato di altri sei anni, stando alle nuove norme, sarà costretto a lasciare la carica entro settembre 2023.
Carrón, invitato all’incontro dei vertici dei movimenti ecclesiali con il Papa organizzato dal Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, il 16 settembre u.s. ha prima dato la sua “piena disponibilità a dare seguito a quanto richiesto”. Poi, però, lo scenario è cambiato ed è iniziato lo scontro con la Santa Sede: Carrón e Frongillo, presidente dei Memores Domini, non si sono presentati. Al suo posto, Carrón ha mandato il vicepresidente di Cl, Davide Prosperi.
Un’assenza che non è di certo passata inosservata agli occhi di Bergoglio e del cardinale Farrell e che ha segnato maggiormente e pubblicamente la frattura tra la Comunione e liberazione e il Vaticano.
Proprio nell’incontro con i vertici dei movimenti ecclesiali snobbato da Carrón e Frongillo, il Papa ha sottolineato che “cadiamo nella trappola della slealtà quando ci presentiamo agli altri come gli unici interpreti del carisma, gli unici eredi della nostra associazione o movimento; oppure quando, ritenendoci indispensabili, facciamo di tutto per ricoprire incarichi a vita; o ancora quando pretendiamo di decidere a priori chi debba essere il nostro successore. Questo succede? Sì, succede. E più spesso di quello che crediamo. Nessuno è padrone dei doni ricevuti per il bene della Chiesa, siamo amministratori, nessuno deve soffocarli, ma lasciarli crescere, con me o con quello che viene dopo di me. Ciascuno, laddove è posto dal Signore, è chiamato a farli crescere, a farli fruttificare, fiducioso nel fatto che è Dio che opera tutto in tutti e che il nostro vero bene fruttifica nella comunione ecclesiale”.