di ANDREA FILLORAMO
Mi scrive E.G, docente di Storia e filosofia di un Liceo Linguistico che, fra l’altro, afferma “sono convinto che molti preti non credono a quello che predicano; penso, anche che alcuni siano atei /…/. Ce lo dice Jean Meslier sacerdote cattolico francese del 1600, curato in un piccolo paese di campagna, precursore dell’illuminismo radicale, sconosciuto ai suoi tempi ma divenuto noto dopo la sua morte, per l’apertura del suo testamento intellettuale in cui egli dimostra in modo chiaro ed evidente le vanità e le falsità di tutte le divinità e di tutte le religioni del mondo. Eppure per una vita egli ha predicato, ha celebrato, confessato, amministrato i sacramenti… Nel suo testamento spirituale, il sacerdote chiedeva scusa ai propri fedeli per quanto di falso aveva predicato in tutta la vita, per aver mentito, per eccessiva prudenza, nell’esercizio del suo mestiere di prete…”.
Che ci siano preti increduli o che addirittura che ci siano preti atei, al di là di quello che ha scritto di sé Jean Meslier (1664 –1729), un oscuro prete di provincia francese, assolutamente parlando, è possibile ma difficilmente è dimostrabile.
Ciò per la semplice ragione che, se ci fossero, essi, vuoi per la loro fragilità, vuoi per la paura di perdere la loro funzione o (perché no!) vedi la remunerazione, continuano a fingere anche mentre celebrano messe o pronunciano omelie.
Che, poi, anche i preti possano avere dubbi e incertezze su quanto professano o che guardando i loro comportamenti, noi possiamo ipotizzare che essi appaiano non sempre totalmente persuasi della loro fede, lo possiamo tranquillamente dimostrare o almeno pensare.
Sappiamo, infatti, che anche per loro lo sforzo del comprendere i contenuti della fede, non può essere immune dall’astenersi dal non assolutizzare le proprie convinzioni. In questa prospettiva, il confine tra loro e i non credenti o i dubbiosi non è mai rigido e apre uno spazio in cui si riconosce la compresenza di fede e di non credenza, di adesione esistenziale e anche di dubbio.
E ciò vale, non solo per loro ma per tutti i cristiani.
Tale compresenza, d’altronde, trova ampia traccia in alcuni testi biblici: basterebbe ricordare, per esempio, Giobbe, un credente di forza straordinaria, che propone in modi radicali l’eterna domanda sul dolore, sul male e sulla giustizia e che è ripetutamente e drammaticamente attraversato dalle lacerazioni del dubbio e dell’oscurità.
Negli stessi racconti evangelici si parla di Cristo stesso, che, inchiodato sulla croce, pochi istanti prima di morire viene colto da un sentimento di smarrimento e di dubbio e grida citando il Salmo 22: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Si potrebbe sostenere che si tratti dell’urlo di un uomo che ritiene di aver totalmente fallito la propria esistenza e vede crollare inesorabilmente le sue pretese messianiche.
Ma andiamo al caso citato dal prof. E.G: il caso “Meslier”, che nel suo testamento recuperato dopo la sua morte, fatto di molti scritti a mano, anticipa Nietzsche, il quale, in “Così parlò Zarathustra” proclamerà, molto tempo dopo: “Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso”, e in tale affermazione Nietzschiana ci sarà tutt’intero l’ateismo contemporaneo.
Il caso Meslier è sconosciuto a molti, ma non, come possiamo osservare, al prof. E. G.
Egli, probabilmente non essendo consapevole delle paure, delle fragilità, della formazione dei preti moderni, e del loro complessivo solido impegno di “tenere insieme i pezzi», di una funzione presbiterale diventata sbiadita e in parte superata dal tempo, vede in Meslier il prototipo dei i preti, che dovrebbero bandire, a suo giudizio, a somiglianza di Meslier, tutte le ipocrisie e le falsità professate.
Da evidenziare, oltretutto, che Meslier nel testamento, si professa non solo ateo militante, ma “comunista primitivo”, filosofo materialista e teorico politico, apostolo dell’azione diretta per stimolare la scarsa coscienza sociale del popolo asservito con i suoi appelli ai tirannicidi e quindi, invita pressantemente alla rivoluzione.
Sono concetti questi non conciliabili con la coscienza sacerdotale.
La soluzione la dà Papa Francesco che suggerisce un’altra rivoluzione e dice: “C’è gente che è capace di tessere preghiere atee, senza Dio lo fanno per essere ammirati dagli uomini. La preghiera cristiana, invece, non ha altro testimone credibile che la propria coscienza”. Ecco, i sacri testi non sono letture senza conseguenze. “Dove c’è Vangelo c’è rivoluzione. Il Vangelo non lascia quieti, ci spinge: è rivoluzionario”.