Il tumore del polmone è oggi il principale ‘big killer’ in Europa ed è la causa principale di morte per tumore rispetto a quello del colon, della mammella e della prostata messi insieme. In Europa ogni 80 secondi una persona muore per cancro del polmone. In Italia i decessi ammontano circa a 40mila l’anno. E’ chiaro come la diagnosi precoce e corretti stili di vita possano incidere positivamente e prevenire questa temibile patologia.
Per fare il punto sulla malattia e sulle nuove frontiere di diagnosi e trattamento oggi, esperti di fama nazionale e internazionale, si confrontano nel corso del convegno internazionale ‘Early Stage Lung Cancer: road to a cure’, presieduto dal professor Giuseppe Cardillo, direttore della Uoc Chirurgia Toracica dell’ospedale San Camillo Forlanini di Roma presso l’Aula Magna della struttura.
“In Italia si contano 40mila decessi l’anno per tumore polmone- spiega l’esperto interpellato dall’agenzia Dire- che rappresenta la prima causa di morte per neoplasia in Italia. Ci sono pochi finanziamenti ed è difficile coinvolgere le persone perché se l’80% dei casi di donne a cui viene diagnosticato un tumore alla mammella ha un’aspettativa di vita di almeno 5 anni, nel caso del tumore al polmone dopo 5 anni dal momento della diagnosi è ancora vivo solamente il 18% dei pazienti”.
Quali strategie mettere in campo? “C’è da fare tanto per questa patologia ma si investe poco. Sappiamo- risponde Cardillo- che la causa principale della malattia è il fumo di sigaretta. Circa l’85% dei nuovi casi infatti è legato al consumo di tabacco. Quindi è una malattia prevenibile eliminando questo fattore di rischio e attraverso una diagnosi precoce. Finalmente anche in Italia, il 9 novembre scorso il ministro della Salute ha istituito la Rete degli screening polmonari coinvolgendo i 18 istituti specialistici distribuiti sul territorio nazionale. In particolare per il Lazio partecipa l’IFO di Roma. Siamo grati di questo progetto pilota- aggiunge il direttore della Uoc di Chirurgia Toracica San Camillo Forlanini- ma i fumatori in Italia sono moltissimi se si considera che da 10 milioni di fumatori nel nostro Paese siamo passati addirittura a 11 milioni di fumatori post lockdown”.
L’obiettivo è “aumentare il numero degli screening per raggiungere il maggior numero di persone possibili. Se come detto la sopravvivenza a 5 anni è del 18%, che vuol dire che solo 1 paziente su 5 è vivo a distanza di 5 anni, mentre con la diagnosi precoce siamo in grado di operare presto e la sopravvivenza a 5 anni sale dal 18% al 90%”, fa sapere Cardillo.
“La Tac del torace- precisa- è da raccomandare ai forte fumatori. In questo modo potremo salvare in Italia 10-15mila vite l’anno. Si tratta di un dato reale raccolto grazie a due grossi studi l”NLST’ americano e l’altro ‘Nelson’, realizzato in Belgio, che hanno documentato con certezza che lo screening con Tac del torace salva la vita perché è possibile identificare precocemente il tumore e intervenire chirurgicamente con una tecnica mini invasiva, videotoracoscopica e con il supporto dei robot che permettono al chirurgo di realizzare resezioni meno estese intervenendo con maggiore precisione e consentendo al soggetto un recupero post operatorio più rapido”.
Quindi i soggetti prevalentemente a rischio sono solo I fumatori? “I soggetti a rischio- sottolinea l’esperto- sono prevalentemente i forti fumatori. Prima rientravano in questa categoria gli over 55enni che fumavano almeno 30 sigarette al giorno per 20 anni. Adesso invece l’asticella si è abbassata infatti a rischio sono i 50enni che fumano 20 sigarette al giorno da 20 anni. Il 5% di questi soggetti rischia perciò in 5 anni di sviluppare il tumore al polmone. Dunque si comprende quanto sia importante fare diagnosi precoce ed evitare il fumo. Ma non è chiaramente l’unico fattore di rischio ed infatti vanno considerati: il sesso, l’indice di massa corporea, le malattie ostruttive croniche polmonari, l’enfisema, una storia di polmonite recidivante, un tumore pregresso e una familiarità per tumore cioè un consanguineo stretto come madre, padre, fratello/sorella afflitto dalla malattia. Ma anche il fumo passivo e l’ambiente in cui si vive. Sono esposti anche quei soggetti che ad esempio hanno vissuto o vivono in una zona ad alto tasso di radon, un gas inerte, presente prevalentemente nel tufo. Tutte queste categorie- conclude- sono esposte ad un maggior rischio di sviluppare questa patologia”.