di ANDREA FILLORAMO
Quella che sembrava una voce di corridoio dei palazzi pontifici, che non sono poi tanto impenetrabili, è ormai una cosa certa: il cardinale ghanese Peter Turkson, indicato come papabile già in occasione del conclave che segnò l’elezione di Benedetto XVI e tutt’ora il più influente dei cardinali africani, capo del Dicastero Vaticano per lo Sviluppo Umano Integrale, ha lasciato l’incarico.
Il Dicastero è considerato il perno della riorganizzazione della Curia come voluta da Bergoglio, che l’ha istituito con lettera apostolica del 17 agosto 2016. Esso è “particolarmente competente nelle questioni che riguardano le migrazioni, i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura”.
In questo nuovo Dicastero sono confluite, a partire dal 1º gennaio 2017, le competenze dei Pontifici Consigli della giustizia e della pace, “Cor Unum”, della pastorale per i migranti e gli itineranti e quello della pastorale per gli operatori sanitari, che sono stati contestualmente soppressi.
La “Stampa” ne dà notizia con queste parole: “Si appresta ad uscire di scena il porporato africano di Curia accreditato come possibile ‘papa nero’. Rimossi il cardinale Peter Turkson e i vertici del dicastero vaticano del Welfare. Le dimissioni sarebbero una conseguenza diretta della situazione creatasi in seguito all’ ispezione del cardinale Blaise Cupich, arcivescovo di Chicago, che da giugno ha guidato un team di tre ispettori chiamati a valutare le attività del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale”.
Sappiamo che dall’inizio dell’ispezione ad ora, due dei principali collaboratori del porporato avevano lasciato l’incarico senza alcuna spiegazione.
Iniziano intanto a circolare le prime voci su chi sostituirà Turkson.
Il nome più speso è quello del messinese cardinale Francesco Montenegro, già vescovo ausiliare di Messina e arcivescovo di Agrigento.
Se ciò fosse vero continuerebbe l’ascesa di don Franco, che Papa Francesco ebbe modo di apprezzare ad iniziare dal 2013, quando l’accolse nel viaggio che volle compiere a Lampedusa, terra di sbarchi e di migranti e che voluto avere vicino a sé a Roma dopo le sue dimissioni per raggiunti limiti di età, e, per questo, l’ha nominato membro dello stesso Dicastero.
Il dossier profughi, migranti e rifugiati è una delle principali competenze del vescovo emerito di Agrigento, coincidenti con quelle del Dicastero di cui dovrebbe essere il Capo.
Sarebbe, questa, indubbiamente una bella notizia, che riempirebbe di gioia quanti a Messina e ad Agrigento e in tutta Italia l’hanno conosciuto e stimato.
Accetterà, in ogni caso, come sempre ha fatto, la volontà del successore di Pietro, collaborerà con lui nella realizzazione di una “Chiesa dei poveri con i poveri”, cosi come sempre l’ha desiderata e concretamente l’ha vissuta.
Per don Franco, l’espressione: “Chiesa dei poveri per i poveri “ non è solo, infatti, un’espressione usata da Papa Francesco, che per la prima volta era stata usata da Giovanni XXIII nel suo messaggio radiofonico dell’11 settembre 1962, un mese avanti l’inizio del Vaticano II, per esprimere una grande novità che egli si aspettava dalla Chiesa rigenerata dal Concilio, ma un suo modo concreto di realizzarsi, cioè una Chiesa di tutti, che ancora, però, ha da venire.
Qualunque sarà il compito assegnatogli, egli condividerà con Papa Bergoglio sicuramente il rimprovero fatto ai corrotti, che forse ancora occupano posti importanti nella Curia Romana, alla quale il Cardinale Montenegro già appartiene e da qualche tempo comincia a conoscere dal suo interno, quando ha detto, in modo garbato ma fermo: “ Permettetemi qui di spendere due parole su un pericolo, ossia quello dei traditori di fiducia o degli approfittatori della maternità della Chiesa, ossia le persone che vengono selezionate accuratamente per dare maggior vigore al corpo e alla riforma, ma – non comprendendo l’elevatezza della loro responsabilità – si lasciano corrompere dall’ambizione o dalla vanagloria e, quando vengono delicatamente allontanate, si auto-dichiarano erroneamente martiri del sistema, del “Papa non informato”, della “vecchia guardia”…, invece di recitare il “mea culpa”. Accanto a queste persone ve ne sono poi altre che ancora operano nella Curia, alle quali si dà tutto il tempo per riprendere la giusta via, nella speranza che trovino nella pazienza della Chiesa un’opportunità per convertirsi e non per approfittarsene. Questo certamente senza dimenticare la stragrande parte di persone fedeli che vi lavorano con lodevole impegno, fedeltà, competenza, dedizione e anche tanta santità”.
A don Franco, se questo avverrà: i migliori auguri e buon lavoro!