In Da Radio Aut a Radio 100 passi. Peppino Impastato, una storia ancora in cammino (Navarra Editore, 190 pp, €15,00 in libreria dal 22 dicembre) Danilo Sulis, storico compagno di Peppino Impastato, ci guida in un viaggio lungo 40 anni tra lotta alla mafia, impegno civile, musica e informazione. Il libro ha la preziosa prefazione di Gian Carlo Caselli, ex Procuratore della Repubblica a Palermo, e la postfazione del pioniere delle radio Red Ronnie.
Una narrazione che, partendo dai trascorsi con Peppino Impastato a Radio aut, attraversa la storia delle radio libere, delle evoluzioni musicali e di costume, arrivando alla nuova esperienza di Radio 100 passi, fondata nel 2007. Della radio fondata a Cinisi e del circolo “Musica e cultura” troviamo tracce vivide nelle pagine del volume, che raccoglie i testi di “Onda pazza”, il programma condotto personalmente da Peppino Impastato; le locandine originali degli eventi musicali e teatrali; le immagini degli ambienti che li vedevano riuniti: una straordinaria galleria fotografica che ricostruisce oltre quarant’anni di impegno civile.
Da Radio Aut a Radio 100 passi trova nei giovani i propri lettori d’elezione, Sulis scrive le sue memorie ispirandosi alla tradizione del cunto e immaginando di trovarsi in uno dei tanti incontri che svolge abitualmente con centinaia di ragazzi presso la radio, nelle scuole, a Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato.
Come scrive Gian Carlo Caselli nella prefazione al testo: “Danilo sulis in questo libro (prezioso anche per la documentazione fotografica) racconta la sua vita: da Radio aut a Radio 100 passi. Una storia di entusiasmo, passione e ottimismo, nonostante i tanti ostacoli e le mille faticose esperienze affrontate. Una storia rievocata “con la sensazione […] ancora oggi, di aver vissuto un sogno”, quello di poter “cambiare la realtà di lì a poco”. si capisce bene – allora – perché Sulis nel suo libro si rivolga direttamente ai “ragazzi”. Non solo le scolaresche sistematicamente incontrate anche per parlare di bullismo (“prima forma di cultura mafiosa”); non solo i ragazzi di Cinisi e di Palermo coi quali Sulis è impegnato in importanti corsi triennali di formazione su radio, tv e giornalismo: tutti i ragazzi. È a loro che Sulis vuol passare “il testimone”. Perché sono proprio i giovani che vogliono vivere il presente con radicalità.
Red Ronnie, nella postfazione al libro, partendo dalla sua esperienza personale, si sofferma invece sul ruolo di responsabilità sociale e di informazione che hanno ricoperto le radio libere negli anni ‘70: “Creai una mia radio con due cantautori, Lucio Dalla e Francesco Guccini, e il mio amico fumettista Bonvi. Si chiamava Marconi & Co. Poi nel marzo 1977 accadde che la polizia uccise Francesco Lorusso e a Bologna esplose la ribellione. Carri armati presidiavano il centro della città mentre gli studenti invadevano le strade. Guccini e Dalla, indecisi sulla posizione politica da prendere, decisero di chiudere la nostra radio. Improvvisamente la missione che sentivo dentro cambiò: non si trattava più solo di far conoscere buona musica, ma di raccontare la verità. Così andai col mio registratore a bobine nel cuore della protesta e documentai le assemblee. Queste registrazioni le diedi da trasmettere a Radio Alice, l’unica assieme a Radio Città del Capo che non aveva paura di metterle in onda. Dall’appartamento di Bonvi, che aveva le finestre sulla centralissima via Rizzoli, facevamo telefonate in diretta a Radio Alice per dare informazioni sugli spostamenti delle manifestazioni e le contromisure della polizia. Una di queste telefonate… “Sono Bonvi, quello di sturmtruppen, ti ripasso Gabriele”… finì sull’Espresso. La polizia cercava quel Gabriele, e Bonvi (coincidenza, eravamo seduti al Roxy Bar) mi ordinò di cambiare nome se volevo tornare a trasmettere in radio senza essere arrestato. La risposta di Bonvi fu fantastica: “Fa schifo ma un nome vale l’altro, l’importante è che non ti presenti più come Gabriele”. Fu in quel periodo che assaporai in pieno il significato di Radio Libera, ma libera veramente, come cantava Eugenio Finardi. Fu un anno dopo che ci arrivò la notizia che Peppino impastato, che trasmetteva in una radio siciliana, era morto. Non ci fu nessuna mobilitazione. L’omicidio era stato annacquato da depistaggi e minimizzato dai mezzi d’informazione. Solo anni dopo ho capito che Peppino aveva sentito lo stesso pulsare di quell’emozione che ti fa fare cose che vanno oltre a ogni rischio e pericolo: raccontare la verità. Solo che, a differenza sua, io ho rischiato la prigione, lui la vita. E lo sapeva. E non si è fermato”.