di ANDREA FILLORAMO
Le indiscrezioni che circolavano in Germania nei giorni scorsi su presunti silenzi dell’allora cardinale Ratzinger, quando era arcivescovo a Monaco di Baviera, su casi di preti pedofili sono state confermate. Nella città bavarese è stato reso noto il rapporto effettuato da una Commissione di legali sulla governance della diocesi negli ultimi 70 anni. L’allora cardinale Ratzinger, futuro Benedetto XVI, sembra abbia ignorato le denunce che arrivarono sul suo tavolo relative a quattro preti accusati di abusi sessuali compiuti su minorenni. I fatti riguardano l’epoca in cui era arcivescovo di Monaco di Baviera (1977-1982).
Nessuno parli di un complotto nei confronti di quello che fu Papa con il nome di Benedetto XVI. Se così fosse il complotto dovrebbe riguardare, per la legge di prossimità, altri pontefici, forse la totalità dei vescovi di tutto il mondo, nel caso in cui altre commissioni dovessero indagare sugli atti da loro compiuti nei confronti dei preti pedofili.
Tanti, quindi dovrebbero essere i dossier che hanno per oggetto l’omertà, le attenuazioni, le impunità, le mezze misure, le complicità, causate dalla cultura del silenzio delle gerarchie ecclesiastiche che da sempre hanno utilizzato modi di intendere quello che era un delitto compiuto sulla pelle dei bambini e degli adolescenti come qualcosa da occultare, con quanti di quel peccato e di quel crimine sono stati vittime. Idee astratte, si direbbe, ma capaci di impatto sulle vite passate e presenti di migliaia di persone.
Per comprendere il loro farsi cosa concreta, occorrerebbe conoscere la Storia della Chiesa a partire dal Concilio di Elvira (305 d.C.), in cui si parlava già da allora di “stupratores puerorum” e per loro fu decisa la sola punizione del rifiuto della comunione. Dovremmo almeno parlare, saltando i secoli, del “Crimen sollicitationis”, approvato nel 1962 da Papa Giovanni XXIII, dopo la prima edizione di Pio XI (1922), che stabiliva l’assoluta segretezza nelle cause di molestie, pena la scomunica, anche per la vittima che avesse la tentazione di denunciare alla giustizia civile.
La validità di quel documento è stata confermata nel 2001 dall’allora cardinale Ratzinger nella lettera “De delictis gravioribus”, che confermava che è sempre esistito uno stretto rapporto nei secoli tra Chiesa cattolica e pedofilia.
Occorrerebbe anche ripercorrere la morale cristiana della sessualità nella sua elaborazione, dall’Antico Testamento alla sua messa in crisi alle soglie della modernità e nel suo applicarsi nei tribunali della fede.
Bisognerebbe conoscere, inoltre, anche la “scientia sexualis” propria della Chiesa cattolica, che ha sempre distinto il lecito e l’illecito e, soprattutto, il clero e il popolo, assegnando al primo una necessaria separatezza, marcata dall’astinenza sessuale, che obbliga il clero al controllo esemplare, agli occhi di se stesso e soprattutto degli altri. L’onore per la Chiesa si perde solo se c’è un pubblico e l’onore intaccato del singolo compromette anche quello della comunità cui egli appartiene. Ecco perché nella prassi, non si condannava il sacerdote colpevole, ma lo si ammoniva con discrezione cambiandolo tutt’al più di sede. Questa prassi è durata per secoli.
Una linea dura contro la pedofilia clericale fu quella di Wojtyla, che definì la pedofilia il “peccato fra i più gravi contro il sesto comandamento”, affidandone la competenza alla Congregazione per la dottrina della fede per una disciplina efficace. Ma nelle dichiarazioni il Papa mancò di mettere al centro ciò che a fedeli e laici sembrava ormai prioritario: che venisse fatta una giustizia commisurata allo scempio commesso, fuori dall’esclusività della giurisdizione ecclesiastica.
Il suo successore avrebbe lamentato la cattiva influenza di un tempo edonista, mal sopportato da un clero votato alla separatezza in un mondo che incita al consumo sessuale. Proprio questa separatezza, intesa come cultura dell’autorità che giustifica l’abuso ed è responsabile dei crimini sessuali sugli indifesi.
Bisogna giungere a Papa Francesco e alla sua “tolleranza zero”, ma non solo a parole.