In Italia si registrano circa 125mila-130mila casi di infezioni da HIV, con una quota di soggetti che vivono con l’HIV senza esserne a conoscenza, che oscilla tra l’11% e il 13%. Per queste persone la pandemia da Covid-19 ha impattato negativamente in termine di prevenzione, generando un ritardo nel trattamento con conseguenze negative sotto il profilo clinico, sociale ed economico.
La recente esperienza della pandemia, inoltre, ha convinto tutti che una riforma del sistema di cure territoriali non sia più procrastinabile e che questa debba essere fatta con i giusti investimenti, ma in tempi brevi. Non a caso, infatti, tutte le fragilità dichiarate da anni da alcuni attori di sistema, purtroppo poco ascoltati, sono emerse abbattendosi sui cittadini malati cronici e fragili in tutta la loro drammaticità. Molte sono le risorse dedicate nel PNRR a questo scopo, a cui le regioni potranno attingere. Ma il quadro dei diversi territori regionali presenta realtà assistenziali completamente diverse, con servizi per nulla omogenei, che non sono in grado di garantire universalità di cure ai cittadini.
La domiciliarità era ed è la scelta auspicata dalle persone, quella più desiderata e anche la più sostenibile per il Sistema. Le diverse esperienze di gestione della pandemia ci hanno dimostrato che è anche la più corretta in termini di sicurezza e benessere dei cittadini, ma per governare questi cambiamenti è necessario che tutti gli attori si mettano in gioco andando incontro insieme alle esigenze di un mondo profondamente cambiato, dove orizzonti e saperi devono combinarsi. Tutte le componenti che agiscono a livello territoriale (medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, infermieri, farmacisti, assistenti sociali, ginecologi, ostetriche, psichiatri, neuropsichiatri infantili, medici delle dipendenze e psicologi, fisiatri e terapisti della riabilitazione, educatori professionali e tutti gli altri professionisti e operatori sanitari) devono raggiungere una vera integrazione. Si è parlato di questo nell’ambito dell’evento “UN NUOVO RUOLO DEL TERRITORIO NELLA GESTIONE DELLA SANITÀ. PNRR E HIV: IL RETURN TO CARE. TRIVENETO ED EMILIA-ROMAGNA”, promosso da Motore Sanità, con il contributo incondizionato di MSD e IT-MeD.
“Dobbiamo restituire utilità al Sistema Paese attraverso il Servizio Sanitario Nazionale. Per quanto riguarda specificatamente l’infezione da HIV, io credo che dobbiamo impegnarci molto a proposito della diagnosi precoce, perché abbiamo ancora troppe infezioni nel 2022”, ha detto Annamaria Cattelan, Direttore UOC Malattie Infettive Tropicali, AOU Padova. “Fino ad oggi siamo stati impegnati a tempo pieno sul Covid e anche ora, per noi infettivologi, è un periodo difficile perché da una parte il Covid c’è ancora – abbiamo ad esempio più di 500 pazienti che hanno avuto il Covid che adesso seguiamo per il long Covid e questa è attività aggiuntiva che non va dimenticata – e dall’altra c’è la patologia HIV che ha sofferto tantissimo durante la pandemia, più di tutte le altre patologie croniche per i motivi che ho espresso poc’anzi. Questo è un dato sul quale dobbiamo riflettere e sul quale dobbiamo impegnare ulteriori risorse, anche umane”.
Considerazioni, queste, che trovano riscontro nei numeri presentati da Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria e Economia Politica, Research Director-Economic Evaluation and HTA, CEIS, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, che ha così commentato: “Da una recente analisi condotta su un totale di 3.875 soggetti con infezione da HIV, è risultato un aumento delle visite perse dal 5% all’8%, una riduzione del numero di nuove diagnosi di HIV da 6,4 nel 2019 a 2,5 al mese nel 2020, un calo della dispensazione delle terapie antiretrovirali e un aumento dei pazienti affetti da HIV ospedalizzati a causa di Covid-19. Il peggioramento della condizione clinica dei soggetti con infezione da HIV potrebbe altresì generare un incremento del numero dei decessi. Occorre a questo proposito garantire una ripresa tempestiva dei trattamenti, che permetterebbero di evitare 296, 454 e 687 decessi rispettivamente al terzo, al quinto e al decimo anno di analisi. Occorre anche e soprattutto garantire una presa in carico precoce con trattamenti efficaci anche nel futuro prossimo. La presa in carico precoce garantisce inoltre effetti importantissimi in termini di risparmi di costi diretti (associati alla gestione della malattia) e indiretti (associati alla perdita di produttività, alla maggiore richiesta di assistenza sociale, eccetera). Queste le proposte delle società scientifiche: implementazione di personale specializzato necessario per le attività multidisciplinari richieste all’interno dei Servizi per le Dipendenze (SerD); organizzazione strutturale degli spazi funzionali messi a disposizione dei SerD, per favorire le proprie attività multidimensionali sia in favore delle popolazione adulta, sia di quella adolescenziale; organizzazione e gestione dei SerD come Point of Care per la diagnosi rapida e la cura con percorsi agevolati e rapidi delle patologie infettive dei suoi pazienti; attivazione della telemedicina e del teleconsulto per pazienti in assistenza domiciliare e con i centri specialistici per incrementare la compliance dei pazienti e l’outcome degli interventi; istituzione dei Dipartimenti per Dipendenze autonomi, in collaborazione e integrazione con il privato accreditato”.