Soprattutto oggi che siamo immersi in un tragico conflitto in Europa, tra la Federazione Russa e l’Ucraina, sarebbe importante comprendere perché, come e quando i regimi comunisti in Europa Orientale sono rapidamente crollati nel 1989, tutti insieme con un effetto domino.
“Come è potuto accadere che uomini e donne, all’apparenza rassegnati a subire la loro sorte all’interno di un regime totalitario e corrotto, si siano infine ribellati?” E’ una domanda che si è posta in un documentato pamphlet, lo storico americano, George Weigel, “L’ultima rivoluzione. La Chiesa della resistenza e il crollo del comunismo”, Arnoldo Mondadori Editore (1994)
Gli studiosi che hanno cercato di analizzare l’origine e le cause della rivoluzione del 1989, hanno avuto difficoltà, la maggior parte ha ricondotto il collasso dei paesi del Patto di varsavia a fattori economici o alla competizione militare tra le due superpotenze americana e sovietica.
Diversa è la risposta che dà George Weigel in questo libro originale e stimolante. Quella del 1989 è stata anzitutto una rivoluzione spirituale scaturita dalle coscienze di quanti vivevano oltre la cortina di ferro. Il mondo dello spirito è più importante del mondo dell’economia e della politica.
“L’opposizione morale al regime comunista ha avuto la meglio perchè ha smascherato quella che Havel ha definito la ‘cultura della menzogna’, la rottura del circolo vizioso di paura, acquiescenza e disperazione provocato dal sistema totalitario”.
Weigel è convinto che nessuna rivoluzione politica sarebbe stata possibile senza una rivoluzione della cultura, dell’etica individuale, che faccia riferimento ai valori del cristianesimo e all’opera della Chiesa cattolica. Tra i tanti protagonisti di questa svolta culturale dello spirito per lo storico americano, spicca al primo posto la figura di Giovanni Paolo II.
Infatti, già nella prefazione Weigel sostiene la sua tesi di fondo: Questo libro vuole dimostrare che “un’istituzione religiosa tradizionalmente considerata cauta e conservatrice abbia contribuito a demolire una delle maggiori (e più deprecabili) roccaforti del totalitarismo ateo del ventesimo secolo”.
Il crollo del Patto di Varsavia, la disintegrazione dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, non sono avvenute all’improvviso. “Il crollo comunista è stato preparato nel corso di molti anni, le spinte rivoluzionarie sono germogliate e maturate all’interno di un’istituzione disprezzata e perseguitata da Lenin, da Stalin e dai loro eredi: la Chiesa cattolica romana”.
I capitoli di questo libro Weigel raccontano come attraverso la rivoluzione delle coscienze, la Chiesa, i suoi uomini e donne hanno contribuito ad alimentare la rivoluzione avvenuta nel 1989 nell’Europa centro-orientale.
Certo Giovanni Paolo II non è stato l’unico regista di questa rivoluzione dello spirito, che ha rovesciato senza violenza una tirannide corrotta e crudele. Tuttavia a giudizio di diversi e moltissimi abitanti dei territori dell’Europa orientale, sia la Chiesa che il pontefice slavo, “sono stati indispensabili per quella che è divenuta la ‘rivoluzione del 1989’”.
L’elite politica occidentale a stento ha iniziato a chiedersi seriamente il perchè, quando e come si sia svolto l’evento della rivoluzione del 1989. Chi è stato l’ispiratore? Chi ha provocato la scintilla che ha fatto ardere la fiamma? Weigel fa esplicito riferimento al 4 giugno 1979, alla prima visita di Giovanni Paolo II in Polonia, in particolare a Czstochowa, nel monastero di Jasna Gora, santuario della Madonna Nera, regina della Polonia. E’ proprio qui che “il pontefice Giovanni paolo II ha cominciato a smantellare l’opera che Lenin aveva iniziato a costruire il 16 aprile 1917 alla stazione Finlandia di Pietrogrado […]”.
Certo Weigel comprende di non riuscire a raccontare una storia completa di questa rivoluzione e in particolare di riuscire a dare delle definitive conclusioni, se sia stato il papa o la Chiesa cattolica romana a dare la spallata decisiva all’impero sovietico. In realtà, “una rivoluzione morale e culturale ha preceduto, e reso possibile, la rivoluzione politica del 1989. Ispirati e guidati da Giovanni Paolo II, vari dirigenti laici ed ecclesiastici dei paesi dell’Europa centro-orientale, così come molti semplici sacerdoti e fedeli della vasta zona, sono stati figure fondamentali, anzi talora determinanti, per la rivoluzione morale e culturale, il cui impatto è stato decisivo per la rivoluzione politica (che anch’essa, naturalmente, ha visto in primo piano personaggi cattolici). Se non lo si capisce, non si afferra la peculiarità di questi singolarissimi sommovimenti rivoluzionari”.
Questa interpretazione è stata sostenuta anche da diversi studiosi importanti dell’epoca, anche se in effetti, sono state voci isolate e rare. Gli analisti e i commentatori politici frequentemente insistono su argomenti più familiari, quali personalità politiche, i processi politico-militare e diplomatici.
Il credito maggiore della caduta del sistema sovietico, è stato attribuito a Michail Gorbacev, “l’uomo del decennio”, come lo hanno proclamato i redattori della rivista “Time“. Certo Weigel è consapevole che a Gorbacev, va dato qualche credito per il fatto che la rivoluzione del 1989 ha avuto luogo senza spargimento di sangue. Weigel, riassume così, la questione: “poco propenso a rischiare la terza guerra mondiale allo scopo di mantenere in piedi la struttura imperialistica staliniana nell’Europa centro-orientale, Gorbacev ha infuso nella politica estera sovietica, quel tanto di realismo che ha consentito all’URSS di districarsi dalla tela del ragno della dottrina Breznev […]”. Tuttavia per Weigel Gorbacev rimane un marxista-leninista, anche se auspicava un comunismo dal volto umano, che certo sarebbe stato un miglioramento rispetto a quello staliniano o brezneviano.
Se c’è un politico che merita una parte, forse notevole, della caduta dell’impero sovietico è il presidente americano Ronald Reagan. L’elemento catalizzatore e indispensabile della rivoluzione del 1989. Il motivo secondo Weigel è che la rivoluzione, l’ha suggerita e promossa Reagan, con la forza della retorica – un’arma politica, questa, molto apprezzata. Reagan, aveva definito l’Urss, “l’impero del male”, una attestazione ovvia, più volte accettata dai vari dissidenti, a cominciare da Solzenicyn. Certo la politica non è mossa solo dalla retorica, poi ci sono altri gesti concreti come l’installazione nell’Europa occidentale dei missili a medio raggio Pershing e dei missili Cruise. A dispetto dei pacifisti progressisti che inscenarono nelle strade di tutto l’occidente manifestazioni per congelare il nucleare. Questi movimenti pacifisti furono osannati e fragorosamente sostenuti dai paesi del Patto di Varsavia. In quel periodo fu netta la risposta di uno dei maggiori dissidenti Vaclav Havel, che smascherò la propaganda pacifista dei comunisti, dimostrando un profondo scetticismo per i cosiddetti “pacifisti” occidentali. I dissidenti come Havel ritenevano, sulla base di una dura esperienza personale, ‘che le cause del pericolo di guerra non sono le armi in quanto tali, ma la realtà politica…di un’Europa e di un mondo divisi”. Havel e Reagan la pensavano allo stesso modo.
Il II capitolo (Chiamare il bene e il male con il loro nome. Smascherata la menzogna comunista) è dedicato alla rivoluzione di velluto della Cecoslovacchia e al dissidente più celebre Havel, che è stato eletto presidente. Interessante l’episodio riportato dell’erbivendolo, e del suo cartello in mezzo alle cipolle, “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”, un segnale che trasmetteva acquiescenza, un piccolo e concreto atto di resa al sistema comunista. Secondo Havel il sistema comunista era un “castello di menzogne”: un mondo di apparenze spacciate per realtà”. Nel sistema comunista bisogna fingere su tutto, la cultura della menzogna era impiantata per metastasi con effetti devastanti, su cinque livelli: personale, relazionale, giuridico, storico e linguistico. Havel aveva capito che il sistema totalitario e la sua cultura della menzogna si basava su una diffusa complicità, oltre che dal terribile potere della polizia segreta e dall’intero apparato di sicurezza interna, “era sostenuto, da una massa disposta ad accettare per realtà le apparenze e a sottoscrivere ‘le regole del gioco’”. Sostanzialmente gente, “piegati al ruolo di complici, i più erano divenuti essi stessi giocatori, poichè consentivano ‘la continuazione del gioco’, ‘lo svolgimento stesso del gioco’”. Era la realtà, ecco perchè secondo Weigel, la rivoluzione avrebbe dovuto cominciare non dalla politica ma dalla cultura, vale a dire dalla riconquista della coscienza e della dignità personali. “Senza una preliminare rivoluzione dello spirito non sarebbe mai potuta avvenire un’efficace rivoluzione politica nel sistema imperialistico di Jalta”. Per fare questo, bisognava uscire da quell’atmosfera di cultura della menzogna, e soprattutto “vivere nella verità”, come affermava Havel, di “chiamare il bene e il male col loro nome”, come ammoniva Giovanni Paolo II. Serviva secondo Weigel un “quinta colonna di cittadini ‘stanchi di essere stanchi’, capaci di rivoltarsi contro le manipolazioni e di raddrizzare la schiena per ‘vivere più dignitosamente’ […]”. L’unica risposta alla cultura della menzogna era una risposta prepolitica: era vivere nella verità, lasciar circolare ‘la speciale forza radioattiva della parola veritiera’”.
Pertanto sottolinea Weigel, gli eventi del 1989, sono stati possibili da una “prerivoluzione”, “opera di una “quinta colonna” di spiriti indipendenti, uomini e donne che avevano interiorizzato ed erano pronti a seguire, subendone tutte le conseguenze, i quattro principi in grado di contrastare e smascherare la cultura della menzogna: verità, responsabilità, solidarietà, non violenza”. Messi insieme questi quattro principi cardine, portavano alla ricostruzione di una politica consona alla tradizione classica dell’Occidente.
Due libri che hanno avuto tanta influenza nella dissidenza sono “Il potere dei senza potere” di Havel e “Lettere dal carcere di Danzica” di Michnik.
Nel IV capitolo (La “differenza Wojtyla”) il giornalista americano si occupa del principale protagonista della rivoluzione dello spirito che portò al 1989.
Il 22 ottobre 1978, nel corso della cerimonia dell’incoronazione, Giovanni Paolo II ripetè tre volte l’invito alla responsabilità e al coraggio: “Non abbiate paura!”, “Aprite le porte a Cristo Redentore!”, non sono invocazioni istituzionali. Il papa polacco crede fermamente che la morte di Dio sia la morte dell’uomo. Per questo l’incitamento evangelico di Giovanni Paolo II ha smosso la politica della fine del ventesimo secolo e in particolare quella delle nazioni nella cultura comunista della bugia. Karol Wojtyla “conosceva bene la trama della menzogna e la disumanità da essa generata allorchè fu eletto alla cattedra di Pietro, sapeva che il sistema andava attaccato alle radici – ai principi basiliari, da smontare con una chiara domanda: ‘Quale umanesimo?”. Attraverso l’arma del vero umanesimo, ha permesso al futuro pontefice di sfidare il marxismo-leninismo.
Con Giovanni Paolo II, cambia l’indirizzo strategico dell’Ostpolitik della Santa Sede. L’elezione del primo papa slavo diede “un duro colpo al vanto comunista di aver edificato un ‘nuovo uomo socialista’, e certamente Karol Wojtyla, non lo era. “L’esultanza popolare per l’approdo alla cattedra di Pietro di questo simbolo polacco di contraddizione non poteva che essere frustrante per gli uomini a cui spettava il compito di mantenere in piedi la facciata ideologica della cultura della bugia”. Wojtyla sapeva quale era il punto più vulnerabile del sistema comunista. Il regime durava grazie alla paura e all’acquiescenza. La gente ancora non era pronta a dire “no” alla paure e quindi al sistema.
L’Ostpolitik vaticana cambiò perchè il papa ha innestato alcuni tratti della missione pastorale di arcivescovo di Cracovia. Fondamentale secondo Weigel è la provenienza, la lunga residenza a Cracovia di Wojtyla. Un’antica città, simbolo della storia polacca, con la sua cattedrale, la sua piazza, il castello, i suoi palazzi, la sua collina di Wawel, con i suoi famosi monumenti.
Wojtyla aveva imparato l’esperienza come affrontare il comunismo e non solo a contrastare “le varie forme di repressione, ma anche a sfidarlo moralmente, culturalmente e storicamente facendo leva sui principi di un più genuino umanesimo”.
Da Papa mise a frutto subito le varie tecniche di confronto con i comunisti che aveva maturato in un arco di trent’anni. Il nuovo pontefice era un provetto regista, seppe orientare in modo nuovo i temi e la dinamica della Ostpolitik vaticana. Il suo insegnamento indirizzato a tutti gli uomini e donne di buona volontà, il tema dei diritti umani e quello della libertà religiosa, da questo momento sono presenti al tavolo di qualsiasi trattativa.
Il papa ha sempre agito non da politico che tratta con altri politici, ma da defensor hominis, autorizzato a parlare a favore di ogni singolo uomo e dell’intera umanità. Era presente sempre la difesa dell’uomo, piuttosto che la difesa istituzionale della Chiesa. Il pontefice opera su tre fronti cruciali: l’etica, la cultura e la storia, ha promosso un’antropologia che sottolinea la natura della persona umana e ha ricordato a tutti gli europei la loro comune cultura, radicata nella civiltà cristiana.
Erano quattro i convincimenti personali che aveva sempre presente il papa polacco: Il primo era Jalta, dove si era consumata una catastrofe morale. “Li la sua patria aveva perso per la seconda volta il secondo conflitto mondiale: tradita nel 1939 dal patto Ribbentropp-Molotov, la Polonia aveva perso di nuovo a Jalta, allorchè l’Occidente aveva consegnato il paese alle amorevoli cure di Stalin”. La seconda guerra mondiale che avrebbe dovuto restituire la libertà e restaurare il diritto delle genti, aveva detto il papa nel 1991, si era conclusa “senza aver conseguito questi fini”. “Jalta, dunque per Weigel, era il punto focale della visione geopolitica di Giovanni Paolo II”. Pertanto era chiaro che “Giovanni Paolo II riteneva che la Chiesa avesse l’obbligo di contestare la legittimità morale del sistema imperialistico di Jalta: non frontalmente sul piano politico, come avrebbe fatto Pio XI e come aveva tentato di fare Pio XII, ma con una crociata evangelica – guidata da lui stesso – in favore dei fondamentali diritti umani”. Questa sfida al sistema di Jalta doveva avere un carattere non violento, come ha sempre sostenuto. Anche perchè come insegnava Adam Micnik, “chi inizia prendendo d’assalto le Bastiglie, finisce con costruirne a sua volta”.
Il secondo convincimento è che Wojtyla aveva una mentalità “europea”, non accettava la divisione artificiosa, tra Europa occidentale ed Europa orientale. I polacchi non si sono mai considerati “europei orientali”, ma soltanto europei e basta. Wojtyla, uomo di cultura riteneva innaturale, la divisione dell’Europa in due blocchi. Paragona spesso il vecchio continente a un “corpo che respira con due polmoni”. Giovanni Paolo II è un europeo polacco, figlio della tradizione polacca, anche se non è un nazionalista gretto. Wojtyla pontefice aveva un vasto arsenale di armi morali da brandire dinanzi a una popolazione. Durante il suo pellegrinaggio del giugno 1979, di fronte alla Madonna Nera, egli parlò e fu inteso a quattro livelli: religioso, morale, storico-culturale e nazionale. Anche se alcuni giornalisti occidentali videro il papa come una sorta di benigno Khomeinismo. Inoltre Weigel sottolinea l’aspetto della fede millenaristica del pontefice, l’uso” dei grandi anniversari quali strumento di rinnovamento personale e sociale, come si evidenzia della sua partecipazione alla Grande Novena (durata nove anni, non nove giorni) indetta dal cardinale Wyszynski. Anche a Roma il pontefice prepara l’avvento del terzo millennio cristiano, un segno dei tempi che la Chiesa non può ignorare.
Tutti questi temi – Jalta, Europa, Polonia, devozione popolare, imminenza del nuovo millennio, hanno contribuito ad elaborare l’Ostpolitik della Santa Sede.
Con Giovanni Paolo II la diplomazia vaticana non avrebbe più considerato un dato immutabile lo status quo dell’Europa centro-orientale, in quanto era una situazione intrinsecamente ingiusta.
Una riforma del mondo comunista non poteva muovere dall’alto ma dal basso, “solo una società civile rivivificata sarebbe stata in grado di animare una tenace resistenza pacifica e di far crollare infine le mura dell’oppressione – senza violenze di massa e senza una conflagrazione globale”.
Pertanto Wojtyla consapevole che il suo compito primario fosse quello di “confermare i fratelli nella fede”, e questa missione comporta una difesa dei diritti umani fondamentali, specie la libertà religiosa, il nuovo pontefice intravide anche la possibilità di influenzare la politica delle nazioni.
Il V capitolo (Polonia, la scintilla della rivoluzione) lo studioso americano fa una sintesi della storia della Polonia, della Chiesa polacca e della sua resistenza al regime, i governi comunisti fedeli esecutori degli ordini di Mosca. La figura autorevole di questi anni è il primate polacco, il cardinale Wyszynski e poi non mancano i riferimenti ai movimenti di resistenza dei dissidenti polacchi, fino alla nascita del sindacato Solidarnosc di Lech Walesa.
Il VI capitolo (Cecoslovacchia. Una Chiesa rinata nella resistenza) qui il protagonista è il drammaturgo Vaclav Havel e tutti gli altri protagonisti a cominciare di Vaclav Benda di “Charta 77”, dissidenti e resistenti pacificamente al regime comunista. Alla fine del testo Weigel ringrazia tutti quelli (un profluvio di nomi più o meno illustri) che hanno contribuito alla preparazione del volume.
DOMENICO BONVEGNA
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