di ANDREA FILLORAMO
E’ bene affermarlo con forza: “La guerra è l’attività in cui l’uomo si è dedicato da quando, abitando in una caverna, se ne è impadronito e proibendo agli altri di entrare, ha detto loro: “ questa caverna è mia” e da lì il finimondo.
Da quel momento tutta la storia è diventata storia delle guerre e dei conflitti e la pace, spesso è stata ritenuta un’utopia degli ingenui o degli sprovveduti. Anche Henry Dunant, fondatore della Croce Rossa, si convinse della difficoltà di eliminarla e si adoperò per renderla più umanamente sopportabile.
Questo pensiero che mi è sorto spontaneo mentre riflettevo, come tutti, da come è possibile uscire dallo stato di guerra in cui si trova l’Ucraina, mi ha costretto a riflettere sulle sanzioni con cui l’Occidente pensa, senza molta convinzione, che possano essere lo strumento per giungere alla pace o per limitare – ed è questo quello che più a molti Stati Occidentali interessa, gli ingenti danni di una guerra che temono possa diventare globale.
Ho sviluppato ancora la mia riflessione e sono giunto alla conclusione che ai nostri giorni sia il progresso a cambiare le carte in tavola. Oggi, infatti, spesso sono le asimmetrie e le forme alternative di conflitto a prendere il posto della guerra combattuta in prima linea.
Gli scontri non frontali e le attività di intelligence economica diventano la fanteria, la cavalleria e le armi di un tempo.
La letalità si ottiene anche distruggendo ordini interni e mercati, hackerando sistemi strategici per la sicurezza dei paesi o influenzando le elezioni.
Che piaccia o meno, l’economia è un’arma e di quest’arma l’Occidente si sta servendo per cercare di vincere la guerra con Putin che ha aggredito un Paese e, come l’uomo delle caverne, ha detto “questo è mio”.
È compito degli “statisti” guardare avanti, capire, studiare e attuare una politica che tuteli i propri cittadini. Bisogna solo capire se abbiamo statisti o solo politici miopi, masochisti che non riflettono abbastanza sul fatto che le sanzioni, quelle scelte, senza neppure tentare di percorrere la via della pace, per combattere l’autocrate russo, possano danneggiare non soltanto un paese ritenuto nemico, ma, in modo forse irreparabile, il proprio stesso paese e, particolarmente i propri cittadini che possono rischiare la povertà o, addirittura, la miseria dalla quale, con molti sacrifici, sono usciti dopo i disastri operati dalla Seconda guerra mondiale.