“La famiglia non è una struttura pietrificata. E’ un insieme dinamico che ha bisogno di rinnovarsi come espressione della sua vitalità con l’apporto di tutti. Essere sempre connessi alla grande rete digitale significa staccarsi dalla piccola rete della famiglia, che lentamente rischia di spegnersi”. E’ un giudizio molto drastico di Vittorino Andreoli, psichiatra di fama internazionale, autore di numerosi libri di successo.
Qualche mese prima dello scoppio della pandemia ha pubblicato un saggio con Solferino, “La Famiglia digitale. Come la tecnologia ci sta cambiando”, (pag.156; e.16,00; Milano, 2021). In questo libro il professore Andreoli si pone diversi interrogativi e questioni per dimostrare che dalla tecnologia digitale dei vari cellulari, smatphone, computer, chi viene penalizzato maggiormente sono i componenti della famiglia. Un’istituzione che ha origini antiche e che è sempre mutata nel tempo seguendo i passaggi e le grandi tendenze economiche, sociali e culturali. E’ un tema che viene affrontato nella prima parte (La famiglia in Occidente) a cominciare dalla Grecia antica, con i riferimenti mitologici a Zeus nell’Olimpo, dove la moglie aveva il dovere dell’obbedienza e della fedeltà sessuale. Segue la descrizione della famiglia nella Roma antica, con il potere assoluto del capofamiglia romano sui componenti del gruppo familiare. Per giungere poi al cristianesimo, che esprime un orientamento di controllo della sessualità, anche se era già presente nella società pagana.
La famiglia assume una configurazione ben definita, non solo attraverso il ruolo dei suoi componenti, delle relazioni, e dell’amore, ma anche nel luogo dove vive, soprattutto, la casa. Per il professor Andreoli, la casa è un elemento costitutivo fondamentale, che dovrebbe far capire che “non si possa promuovere la famiglia senza pianificare un’urbanizzazione che sia attenta a questo aspetto fondamentale”. Certo Andreoli promuove la casa ideale per le famiglie, soprattutto nel suo interno, dove ci sia spazio per la dimensione d’insieme e per quella individuale. Ma sappiamo quanto sia difficile questa soluzione oggi. Per Andreoli occorrerebbe nella casa “rendere effettivo il rispetto delle esigenze della personalità psichica”.
Il professore si sofferma anche per descrivere un po ‘ la storia della casa, rapportandola all’influenza della tecnologia. Fa l’esempio delle innovazioni tecniche in relazione al freddo e al caldo. Alla conservazione di cibi, durante le varie stagioni e poi altrettanto significativa e forse più importante per la vita domestica, è stata la lavatrice, “una macchina che ha cambiato completamente una storia che rimanda alle figure delle lavandaie […]”. L’entrata in casa degli elettrodomestici ha avuto la funzione quasi “liberatrice”, soprattutto per le donne. Certamente per Andreoli, “le tecnologie per la casa abbiano cambiato il ruolo della donna, non solo all’interno dell’abitazione, ma nell’intera società”.
Sono macchine che hanno prodotto un profondo cambiamento nella qualità della stessa vita. Altra trasformazione fondamentale con protagonista sempre la donna è la cucina.
Dopo aver spiegato i termini della tecnologia digitale: internet, la rete, navigare, i siti web. Il nostro autore, analizza gli effetti che computer digitali e l’uso di internet hanno sulle dinamiche e sulle relazioni nella famiglia. Andreoli ci tiene a precisare che non vuole dare un giudizio assoluto sullo strumento, ma la tecnica digitale si lega al “dove” e al “come” viene usata. Essendo uno pschiatra, “l’aspetto a cui dedico particolare attenzione sono i sintomi o comunque i segni negativi, quelli che devono essere curati o tenuti sotto osservazione affinchè non si trasformino in ‘malattia”. Pertanto l’attenzione del professore è per esempio, sull’intensità dell’uso del telefonino in famiglia. E siamo al capitolo dei (Danni digitali nella famiglia) Essendo sempre attivo, “spegnere lo smartphone è come sentirsi ‘staccati’ dal mondo, chiusi in una sorta di torre, senza finestre sulla vita”. La prova che è un legame necessario, si ha nei casi in cui si dimentica a casa. Subito si cade nell’angoscia e nello smarrimento.
Con lo smartphone sempre attivo in casa, si genera un silenzio totale, viene a mancare la disponibilità a comunicare, a scambiare notizie, a dare spazio ai propri affetti. Sarebbe più corretto chiamare questi silenzi, “mutismi”. E qui Andreoli precisa: “Il mutismo familiare non va inteso soltanto come una mancata comunicazione informativa […] ancora più preoccupante è il mutismo degli affetti, proprio perché essi sono una dimensione particolarmente importante per l’esistenza per il senso di appartenenza”.
E’ un’immagine drammatica quella di una casa dove ciascuno dei componenti della famiglia sono isolati l’uno dall’altro, ricurvi sul proprio smartphone, avvolti nel “mutismo”. Si trovano a pochi passi di distanza, magari nella stanza accanto, ma è come se fossero lontane, anzi addirittura in altri mondi.
A questo punto Andreoli, affronta la questione della “società delle comunicazioni”, facendo delle distinzioni tra la quella diretta e indiretta. Nella storia ci sono sempre state le mediazioni, il postino, il telegrafo, poi il telefono. Qui interessa analizzare la comunicazione mediata, che non è la stessa cosa di quella diretta. Per annullare lo scarto, è nato il videotelefono, che attraverso successivi sviluppi tecnologici, è diventato Skype. Adesso una figlia lontana, chiusa in una stanza, può interloquire con il proprio padre o madre. Naturalmente durante la pandemia questi strumenti sono stati fondamentali, utilizzati abbastanza. Senza questi mezzi digitali il periodo di “clausura” avrebbe pesato ben di più sui difficili equilibri relazionali e psichici.
Tuttavia per capire il nostro tempo, inclusa la vita familiare, per Andreoli occorre analizzare una parola chiave: la virtualità. E’ come inoltrarsi in un labirinto, che non è quello di Teseo, ma del tempo presente. E qui si tenta di definire la virtualità, si fa riferimento alle illusioni, alle allucinazioni, ai sogni, alle utopie, alla fuga dal mondo.
In questo contesto si affrontano i social network, l’appartenere a un gruppo, basta cliccare sulla “macchinetta” di qualsiasi giorno o ora, anche di notte e sei collegato con gli amici, non devi aspettare le cinque per ritrovarti in piazza o al bar. Sui social hai il presupposto di sentirti bene, perchè ti ritrovi tra tante persone, diventi protagonista. Se prima l’incontro era tra corpi, ora con i social l’incontro si riduce a frasi e immagini. Andreoli su questo tema è categorico: “i social network sono una vera calamità sociale e devono essere considerati strumenti che attentano ai principi razionali e ai fondamenti relazionali su cui si regge la nostra civiltà”.
Il social web sta diventando il sostituto virtuale della realtà concreta, per il professore. Ancora, “i social network massacrano le relazioni familiari […]”. Sostanzialmente, “i figli cercano nel virtuale ciò che il virtuale non può dare, perdendo così l’occasione di amare e privandosi della possibilità di essere amati”.
Mi avvio alla conclusione lanciando qualche messaggio sul saggio che ho avuto la pretesa di recensire, è un libro che va letto perchè manifesta gli effetti della trasformazione “digitale” in atto. E’ un saggio di ampia prospettiva e fortemente attuale che evidenzia i pericoli di un adattamento passivo al cambiamento tecnologico e il rischio di una società senza famiglia.
DOMENICO BONVEGNA
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