In occasione della beatificazione del giovane magistrato Rosario Livatino, l’I.D.A. L’Istituto di Apologetica, della rivista mensile Il Timone, ha pubblicato un saggio, “Un giudice come Dio comanda. Rosario Livatino, la toga e il martirio”. (pagg.111, e.14,00).
E’ uno studio maturato nell’ambito del “Centro studi Rosario Livatino”, con saggi scritti da Alfredo Mantovano, Domenico Airoma e Mauro Ronco, oltre ad essere impegnati professionalmente nella Giurisprudenza, sono esponenti di primo piano del Centro Studi e dell’associazione Alleanza Cattolica.
Il testo è arricchito da una poesia, “Per Rosario Livatino”, del poeta e scrittore Davide Rondoni. L’agile saggio consta di quattro capitoli. Prima di presentare il testo, devo fare una premessa, non sono un esperto di Giurisprudenza, mi scuso in anticipo per eventuali sbavature, in merito alla descrizione del lavoro del giovane giudice.
Gli autori del libro attingono dalle sentenze di merito, divenute definitive, pronunciate nei tre tronconi processuali relativi al suo omicidio, nelle quali viene descritto con precisione il lavoro del giudice Livatino.
“In questa opera analizziamo la figura di un giudice con le sue qualità e i suoi valori che ha conferito una nuova immagine alla magistratura, in primis per l’intensità del suo impegno nel contrastare le mafie. Erano anni in cui non esisteva il 41 bis per i mafiosi, in cui non esistevano i pentiti e mancavano la procura nazionale e le procure distrettuali antimafia, intuizione successiva di Falcone”. Spiegano gli autori del libro: “Il mondo di Livatino e il suo lavoro devono essere di ispirazione per le attuali e per le future generazioni, quali esempio di un alto modello di magistrato a cui far riferimento”.
Il giovane magistrato siciliano Rosario Livatino è stato assassinato il 21 settembre 1990, all’età di 38 anni mentre lavorava come magistrato ad Agrigento. Il suo profilo è antitetico a quello di un magistrato di “sistema”. Ha parlato solo attraverso provvedimenti, non ha mai rilasciato un’intervista, non si è fatto sfuggire indiscrezioni, non ha aderito a “correnti”, ha rispettato le garanzie difensive, si è sempre mostrato convinto che il compito del giudice non sia inventare la norma, bensì applicarla, secondo competenza e coscienza. Dichiarato Beato dalla Chiesa il 9 maggio 2021, Livatino è il primo giudice riconosciuto martire a motivo della fede.
Nel I capitolo viene descritta la dinamica dell’assassinio del giovane giudice sulla strada per Agrigento, mentre percorreva la S.S. 640, in contrada “San Benedetto”. Gli assassini non hanno trovato nessuna resistenza perchè il giudice era senza scorta e tutte le mattine con la sua auto faceva la stessa strada per raggiungere il Tribunale di Agrigento. Infatti, scrivono gli autori del saggio, “Impressiona non soltanto il numero dei procedimenti trattati, in un arco temporale così contenuto, ma il profilo criminale dei destinatari delle misure, e la loro collocazione geografica, molti residenti nella stessa cittadina dove Rosario viveva e da dove partiva ogni giorno per andare al lavoro ad Agrigento […]”. Dal giudizio che emerge sul suo lavoro in Tribunale, si può intendere che il giovane giudice di Canicattì, fosse sostanzialmente esposto e poco tutelato.
Il lavoro del giudice in quegli anni non era facile, il rischio era altissimo. Successivamente con la legge del 1991, sull’estensione e l’adeguamento della disciplina dei “pentiti” al contesto mafioso, voluta da Falcone, si riuscì a combattere meglio il fenomeno mafioso. Inoltre, si fa presente, che allora mancavano le associazioni antiracket, che hanno contribuito molto alla repressione del crimine mafioso. Tutto è nato nella cittadina di Capo d’Orlando, nel messinese, con il movimento guidato da Tano Grasso.
Inoltre il libro ricorda l’anatema di san Giovanni Paolo II, quando il 9 maggio 1993, nella Valle dei Templi ad Agrigento, il papa polacco con tono risoluto e senza remore, esprime una dura condanna nei confronti dei crimini mafiosi.
Non è un caso che la beatificazione di Livatino sia stata programmata proprio il 9 maggio 2021 ad Agrigento.
Il II capitolo descrive i gruppi criminali che operano nel territorio dove è stato ucciso Livatino, e si cerca di dare delle risposte alle domande: “quali sono le ragioni prossime dell’uccisione di Livatino? Chi lo decide? E perché?”. Le risposte sono contenute nelle sentenze con le quali sono stati definiti i tre tronconi dei processi per l’omicidio.
Il III capitolo si occupa del profilo vero e proprio del giudice santo che ha vissuto una vita ordinaria in modo straordinario. “Sarebbe in errore chi volesse trovare nelle giornate di Livatino comportamenti fuori dall’ordinario o gesti espressivi di una personalità oppositiva rispetto all’ambiente umano e professionale nel quale era inserito”. Si sbaglia pure chi ritiene che il “giudice giovane” cercasse il martirio, noncurante delle avvisaglie di pericolo che si addensavano intorno a lui. Secondo gli autori del libro, Livatino non fu una sorta di eroe, che ostentava la parte del guerriero senza macchia e senza paura contro delinquenti e mafiosi.
Il libro riporta i giudizi dei colleghi e soprattutto degli anziani genitori. Fa il confronto con Falcone e Borsellino, e poi descrive l’ambiente in cui è vissuto il giovane giudice. Il testo sfata alcuni miti passati attraverso film e fiction sulla realtà delle famiglie borghesi della provincia siciliana: “dimenticando in nome di ideologie corrosive di valori fondanti, che le cosche non sono state la versione criminale del cosiddetto ‘familismo’, ma la corruzione dei legami familiari”.
Interessante la descrizione del meticoloso lavoro di Livatino, che non ha mai utilizzato il “copia e incolla”, nelle sue sentenze e decreti, piuttosto cura i dettagli. Commovente sfogliare l’agenda del giudice, gli appunti cadenzati giorno per giorno, e qui che si può leggere e interpretare le tre lettere S.T.D. “Sub tutela Dei”. Affidamento totale al Signore, dalla vita familiare al lavoro.
Nella conferenza “Fede e diritto” rivela come per lui rendere giustizia sia una forma di superiore carità verso il prossimo: “il compito dell’operatore del diritto, del magistrato è quello di decidere; orbene, decidere è scegliere e a volte scegliere fra numerose cose o strade o soluzioni; e scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo è chiamato a fare […]”.
Il testo fa emergere il rapporto della professione di magistrato con Dio. Che per certi versi può apparire paradossale, ma la vita Livatino, “testimonia che si può esercitare un mestiere così dilaniante, quale quello di giudicare il proprio simile, da cristiani. Senza ostentazioni di superiorità, con l’autorevolezza che deriva dalla credibilità di una vita spesa nella ricerca della verità, con l’umiltà di riconoscere che esistono limiti e regole che non sempre permettono di conseguire il risultato auspicato, ma che non per questo non meritano pieno ossequio, e con la determinazione a dare il massimo, in termini di professionalità e di dedizione”.
In una udienza concessa da papa Francesco agli iscritti del Centro Studi intitolato a Livatino, il 29 novembre 2019, ha ricordato diversi temi che riguardano l’attualità del giovane magistrato. Sia per quanto riguarda la convinzione che la vita va tutelata dal diritto naturale e che nessun diritto positivo può violare o contraddire, dal momento che essa appartiene alla sfera dei beni ‘indisponibili’, che né i singoli né la collettività possono aggredire. Il papa si riferisce a una certa giurisprudenza “creativa”, che inventa un “diritto di morire”. Papa Francesco sottolinea la sorprendente attualità di Rosario Livatino, “perchè coglie i segni di quel che sarebbe emerso con maggiore evidenza nei decenni seguenti, non soltanto in Italia, cioè la giustificazione dello sconfinamento del giudice in ambiti non propri, soprattutto nelle materie delle cosiddetti ‘nuovi diritti’, con sentenze che sembrano di esaudire desideri sempre nuovi, disancorati da ogni limite oggettivo”.
Non serve un giudice “sensore sociale”, “pronto a conferire veste giuridica a istanze ideologiche e a desideri, regolatore dei conflitti fra soggettività tutte impegnate nella propria autoaffermazione”.
Il IV e ultimo capitolo (La verità del diritto nella vita di Livatino) vengono descritte le virtù umane illuminate dalla fede. Il capitolo elenca le varie virtù che hanno contraddistinto il nostro, si tratta di “tasselli preziosi di una vita virtuosa condotta all’insegna della fede ‘Sub tutela Dei’”. Il nostro popolo ha bisogno dell’esempio di questi uomini, invece di altri modelli, sponsorizzati dai vari media che operano per l’indifferenza verso il prossimo o addirittura per il vizio morale.
DOMENICO BONVEGNA
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