Come ridurre le liste d’attesa e rendere omogeneo il Servizio sanitario in tutta Italia? La sanità disporrà di più risorse? Sono alcune delle domande che Motore Sanità – in occasione della tre giorni della Summer School 2022 in corso di svolgimento ad Asiago – ha deciso di porre agli esponenti delle principali forze politiche che si candidano per governare il nostro Paese.
Asiago – La salute rappresenta l’elemento cardine dell’agenda politica delle elezioni del 25 settembre, quando l’Italia sarà chiamata alle urne per decidere il nuovo Parlamento. Ma dopo due anni e mezzo di pandemia, qual è l’importanza che le forze politiche danno alla nostra sanità? Quali strategie intendono mettere in campo per ridurre le liste d’attesa e rendere davvero omogeneo il Servizio sanitario nazionale? Sono alcune delle domande che Motore Sanità – in occasione della tre giorni della Summer School 2022 in corso di svolgimento ad Asiago – ha deciso di porre agli esponenti delle principali forze politiche che si candidano per governare il nostro Paese.
«Si tratta di quesiti fondamentali per il futuro dell’Italia», sottolinea il Dottor Claudio Zanon, Direttore scientifico di Motore Sanità, che aggiunge: «il Covid ci ha insegnato che senza salute non c’è economia. Ecco perché in questa tornata elettorale c’è bisogno di una grande partecipazione collettiva: affinché, partendo dalla salute, si possa disegnare il futuro dell’Italia».
«La storia recente della pandemia ha messo in evidenza che l’attenzione alla gestione e all’organizzazione sanitaria, a partire dai piani di prevenzione, sono fondamentali per prevenire situazioni di emergenza sanitaria come è stata quella del Covid», conferma l’Onorevole Fabiola Bologna – Noi Moderati. «Come sappiamo, inoltre, la salute condiziona la nostra capacità lavorativa e il mantenimento di una buona salute garantisce la sostenibilità di un Welfare che dovrà rispondere sempre di più all’invecchiamento della popolazione. Ecco perché per noi la salute è al primo posto».
«Il fatto di essere appena usciti dalla pandemia rende necessario finanziare il nostro SSN in maniera importante», chiosa Luca Coletto – Lega per Salvini Premier, che prosegue così: «La sanità non è un costo, ma un investimento. Se c’è la garanzia di un’assistenza sanitaria sul territorio corretta, ci saranno anche degli investimenti sul territorio».
«Senza salute non c’è né economia né lavoro», incalza Annamaria Parente – Italia Viva – Terzo Polo. «Salute è assistenza alla nostra cittadinanza, ma è anche sviluppo economico e occupazione».
Una visione condivisa da Elisa Pirro – Cinque Stelle, per la quale la salute va tutelata adeguatamente, perché: «Se manca la salute, sia a livello individuale che collettivo, crolla tutto il resto che le ruota attorno».
Salute al primo posto come obiettivo anche per Elisa Carnevali – Partito Democratico, «che aggiunge: «Siamo convinti che, a partire dall’accessibilità dei sistemi di salute, si possano ridurre le disuguaglianze presenti ancora nel nostro Paese».
Su questo tema è intervenuto anche Marcello Gemmato – Fratelli d’Italia, con queste parole: «Una società compiuta è quella società in cui si verifica l’articolo 32 della nostra Costituzione, ovvero che tutti i cittadini hanno pari diritti di livelli d’assistenza sanitaria. Poi c’è anche un tema operativo e strategico: l’uomo sano è un uomo che produce».
Maria Rizzotti – Forza Italia: «Non ho dubbi che il Sistema economico sia legato allo stato di salute della nostra sanità. Non vorrei però che la nuova emergenza energetica faccia dimenticare i problemi irrisolti del nostro Sistema sanitario evidenziati durante la pandemia. Il nostro è un SSN eccellente, ma pensato 40 anni fa. Qualsiasi azienda, se non cambia il proprio piano industriale nel corso dei 40 anni adattandolo alle situazioni, è un’azienda destinata a non essere sostenibile. Le riforme vanno fatte perché il nostro SSN possa continuare a essere sostenibile e universalistico. Occorre intervenire anche sulla mobilità sanitaria e sul capitale umano».
Salute sì al primo posto, ma insieme all’ambiente per Marco Grimaldi – Alleanza Verdi Sinistra. «Credo che la crisi climatica sia strettamente collegata anche alla pandemia che abbiamo appena vissuto».
Alla precisa domanda “L’ultimo governo ha fatto una stima del fondo del SSN con previsioni fino al 2025, secondo lei è sufficiente o andrà implementato?”, Coletto ha risposto che dovrà essere necessariamente implementato «Perché l’investimento sul personale ha un tetto bloccato – DL95 del 2004 – e va aumentato, le Regioni sono in sofferenza e dovremo affrontare l’aumento dei costi dell’energia elettrica, del metano e così via: beni che negli ospedali non possono mancare».
Andrà implementato anche per Gemmato, che ricorda i 37miliardi di euro sottratti alla sanità pubblica nei 10 anni precedenti la pandemia.
Sulla stessa linea Grimaldi, che aggiunge: «Oggi sono esplose tante liste d’attesa: per una colonscopia e una gastroscopia anche Torino si aspettano più di 8 mesi. Perciò servono misure straordinarie sia per le assunzioni, sia per ripensare a un nuovo modello, a partire dalle scuole di specializzazione».
Le risorse alla sanità sono insufficienti anche per l’On. Parente, che precisa: «Pensiamo di dover accedere ai 37miliardi del Mes sanitario, che possono servirci per abbattere le liste d’attesa, sistemare gli ospedali, sostenere la filiera innovativa della salute e il piano industriale sulla salute. Non trascurando la formazione degli operatori sanitari».
«Ad oggi siamo circa al 7% del Pil e ciò non è abbastanza», chiosa Pirro. «Dobbiamo puntare ad arrivare all’8% della spesa sanitaria, come gli altri Paesi europei. Anche qualcosa in più, per stare al passo con i rincari e gli adeguamenti del Pil. Dobbiamo recuperare e non rimanere indietro».
Stessa corrente di pensiero, in merito al fatto che gli investimenti in sanità non sono mai abbastanza, anche per Rizzotti: «La pandemia ha aggravato una situazione creatasi con i grossi tagli perpetuati in passato. E’ necessario investire, garantire maggiori fondi, ma programmando».
Per l’On Bologna: «Il fondo sanitario nazionale è stato in questi anni necessariamente aumentato, perché i tagli che erano stati fatti avevano creato una situazione insostenibile sia per la carenza di personale, sia per la mancanza di ammodernamento tecnologico, sia anche per una mancanza di attenzione alla medicina territoriale e la pandemia ha dato una spinta importante a capire le criticità e a incrementare le risorse. Risorse che naturalmente dovranno ancora essere incrementate, perché ci saranno nuove ricerche scientifiche e questo richiederà nel tempo sistemi di finanziamento innovativi».
«L’obiettivo del Partito democratico è quello di raggiungere il 7% del Pil per l’investimento in sanità», afferma Carnevali. «L’impatto che in questo momento ha la crisi energetica deve essere considerato ed essere sostenuto. Dobbiamo dare risposte considerevoli sia sul fronte dei sistemi aziendali che si occupano del nostro SSN, sia a coloro che ci permettono di avere le strumentazioni necessarie per garantire sistemi di salute di qualità».
Sul come ridurre le liste di attesa (che comportano una spesa di circa 25miliardi di out of pocket per i cittadini), Grimaldi risponde: «Non privatizzando la sanità, aumentando le borse di specializzazione, ripensando al numero chiuso: molte specialità sono oggi deserte, a fonte di altre che hanno la possibilità di entrate private. Ci vuole un piano di assunzione straordinario a tempo indeterminato nella sanità. Occorre che le case della comunità non siano solo un gran investimento immobiliare, ma un ripensamento dei servizi nella società». Secondo Parente: «Bisogna fare un piano straordinario centralizzato dallo Stato, che deve farsi un quadro di tutte le regioni per capire le ragioni che bloccano le liste d’attesa. In alcuni territori per esempio mancano i macchinari per fare tutte le analisi, in altri manca il personale e così via. Occorre fare quindi una disamina puntuale e precisa in tutto il territorio nazionale e avviare un piano straordinario con il privato. Pubblico e privato insieme per abbattere le liste d’attesa».
«Per ridurre le liste d’attesa nell’ultimo anno e mezzo sono stati stanziati un po’ più di un miliardo di euro», ha detto Pirro. «Tutto questo non è bastato a risolvere il problema. Riteniamo che vada potenziato il personale e che vada fatta anche un’attenta ricognizione di come le diverse aziende sanitarie si comportano: quelle che sono in regola e quelle che non riescono a stare al passo con i tempi delle erogazioni delle prestazioni. Importante ricordare ai cittadini che l’Asl dovrebbe rimborsare la quota che il cittadino spende là dove si rivolge al privato quando il proprio Sistema sanitario regionale non riesce ad erogare la prestazione nei tempi». Per Rizzotti: «Questo annoso problema delle liste di attesa si è aggravato con la pandemia. Bisognerebbe aumentare il personale, gestire le cronicità sul territorio, stabilire un turnover di operatori sanitari e chirurghi, in modo da garantire la funzionalità delle sale operatorie almeno per un terzo di orario superiore».
Fa distinzione tra l’out of pocket e le liste d’attesa l’On Bologna: «Nella mia esperienza di medico l’out of pocket riguarda una parte delle popolazioni che spesso preferisce accedere a una visita privata perché vuole scegliere per esempio un particolare professionista. Le nostre liste d’attesa, invece, sono legate ad attese ambulatoriali – generali, specialistiche, chirurgiche – che riguardano tutta la popolazione e possono essere superate da un’organizzazione che sappia garantire personale valorizzato e adeguato e da un rafforzamento della medicina territoriale, liberando i medici di famiglia da tutte le incombenze burocratiche».
«Credo che questi 25miliardi di spesa di out of pocket siano una delle cose che non possiamo più vedere in Italia», sostiene Carnevali. «Per questo abbiamo lavorato molto in questi anni per investire sul rafforzamento del personale. Serve capitale umano per abbattere le liste d’attesa. Serve anche avere un’agenda unica su cui pubblico e privato possano agire. Ci aspetta un compito enorme di recupero della sanità sospesa, pensando agli strumenti che abbiamo messo in campo: dalla sanità digitale alla telemedicina, per agire in modo celere sui bisogni del paziente e ottenere miglior outcome di salute».
«Purtroppo l’out of pocket è stato spinto soprattutto per un’organizzazione che deve essere rivista anche in funzione delle attuali necessità, che sono diverse da quelle di 3 anni fa», sostiene Coletto. «La pandemia ha bloccato gli ospedali, le visite specialistiche, ha rallentato alcune operazioni e ha permesso solo interventi oncologici e interventi legati a patologie tempo dipendenti. Le liste d’attesa vanno organizzate meglio a livello di Asl territoriale, vanno aperti gli ambulatori la sera, così come il sabato e la domenica, vanno incentivati sia i medici sia gli infermieri. Serve un’organizzazione che tenga conto delle necessità e le realtà».
Per Gemmato: «Il tema dell’out of pocket ci racconta una sanità pubblica che non riesce più a dare risposte e degli enormi sprechi che vengo fatti dalla stessa. Ritengo che si possano superare le liste d’attesa sfruttando anche la straordinaria rete dei medici di famiglia e la rete delle farmacie pubbliche e private convenzionate, dotate anche di strumenti per la diagnosi a distanza».
Ecco infine cosa hanno risposto gli esponenti delle forze politiche in campo a proposito dell’ultima domanda così formulata: “Come rendere universale – in qualità e omogeneità – il Sistema sanitario delle Regioni? Il PNRR è adeguato?”.
Pirro: «La questione della regionalizzazione della sanità per noi è un tema aperto, anche se difficile da affrontare. Pensiamo che si possa riportare la sanità nelle mani dello Stato là dove le Regioni continuano ad essere inadempienti. Bisogna avere la forza e il coraggio di invertire un processo che non è andato a vantaggio dei cittadini. Da questo punto di vista il PNRR ci può aiutare per sopperire ad alcune mancanze strutturali, che esistono da Nord a Sud. Ovviamente le risorse non bastano, perché c’è il grosso tema del personale da affrontare».
Rizzotti: «Sicuramente il PNRR va in parte adeguato e aggiornato a quella che è la realtà del territorio di riferimento e ai bisogni del cittadino. In questa legislatura che volge al termine Forza Italia ha proposto di rimettere l’organizzazione della sanità nelle mani dello Stato. Purtroppo la riforma del titolo quinto ha aumentato le disuguaglianze territoriali. Noi vogliamo una sanità universale che combatta però gli sprechi e, talvolta, la corruzione. La salute è un bene comune e non dovrebbe essere né di destra né di sinistra. Credo sia fondamentale che nei tavoli decisionali ci siano sempre dei rappresentanti delle Associazioni dei pazienti e delle Società scientifiche: coloro i quali vivono ogni giorno sul proprio territorio le difficoltà di un SSN che noi vogliamo difendere e implementare».
Bologna: «Ai finanziamenti del PNRR in sanità devono corrispondere concreti investimenti a lungo termine nella gestione organizzativa e strutturale e nell’innovazione tecnologica. Ad essi va affiancato un investimento importante sul personale sanitario, economico ma anche sulla carriera, valorizzando le competenze ed evitando che questi professionisti della salute vadano via dal nostro Paese».
Carnevali: «La possibilità di qualche aggiustamento è già possibile, ma attenzione: rinegoziare significa perdere in affidabilità che questo Paese con il governo Draghi era riuscito a recuperare e, soprattutto, rischiamo di non centrare gli obiettivi che abbiamo scritto con il PNRR, comprese le riforme che sono il patto che abbiamo fatto con l’Europa. Poi ci sono altre cose che dobbiamo fare: l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza rispetto alle tipologie di prestazioni, le terapie mirate e così via».
Coletto: «Io direi che il PNRR va lievemente riadattato come risorse e personale, perché evidentemente mancano. C’è stata una programmazione miope dei governi che si sono succeduti, che hanno peraltro tagliato circa 37miliardi alla sanità. Quindi direi che bisogna fare un programma importante di investimenti che devono essere ben gestiti e mirati in funzione di quelli che sono le necessità della sanità».
Gemmato: «A mio avviso il PNRR può essere un’occasione di rivincita del SSN. La sua messa a terra, però, non ci convince. Ricordiamo che le farmacie e i medici di medicina generale sono presenti dappertutto, nelle aree urbane come nei piccoli paesi di montagna. A nostro avviso occorrerebbe partire da loro, sfruttando le risorse del PNRR per la telemedicina per esempio, per rendere la sanità territoriale più prossima che vada anche ad alleggerire il Sistema degli ospedali che oggi vengono presi d’assalto perché non esiste un filtro prima».
Grimaldi: «Le Case di comunità funzionano se hanno gli infermieri di comunità e i medici di base. Se quei luoghi diventano anche luoghi del sociale, dove i più fragili possono avere facile accesso, senza assediare il Pronto Soccorso e in qualche modo spese improprie. Per fare diventare di nuovo universale questo Sistema, la soluzione è che ci sia un ripensamento di questo Sistema già dalla pediatria».
Parente: «Noi pensiamo di dover ragionare sull’attuale assetto costituzionale e modificarlo. Sanità e istruzione sono il cardine della nostra democrazia, dell’assistenza e della crescita della nostra cittadinanza. Quindi una sanità che assicuri standard omogenei su tutto il territorio nazionale. Il PNRR destina 19miliardi alla salute come sappiamo, che però non sono sufficienti. Pensiamo che sulle costituzioni della Case di comunità dobbiamo intervenire di più e meglio sul personale che ci andrà. Quindi la preoccupazione dell’attuale PNRR è costruiamo le mura delle Case di comunità e non avremo il personale. In più dobbiamo prevedere un piano assuntivo e riorganizzativo della sanità in generale per realizzare il PNRR e assicurare, attraverso modelli organizzativi, il continuo assistenziale tra casa, territorio, ospedale e viceversa».