La follia umana: Ricorda che se muori per il tuo Paese, sarai con Dio nel suo regno, gloria e vita eterna

di ANDREA FILLORAMO

Kirill, patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie è sceso in campo in favore di Vladimir Putin. Lo ha fatto invitando gli uomini della Federazione alla mobilitazione lanciata dallo stesso presidente: “Vai coraggiosamente a compiere il tuo dovere militare”, “Ricorda che se muori per il tuo Paese, sarai con Dio nel suo regno, gloria e vita eterna”. Il suo è un invito a partecipare alla guerra santa mossa da Putin a una nazione libera come è l’Ucraina…

Nessuno si deve meravigliare: il patriarca Kirill, che non è un patriarca cattolico ma ortodosso e non rappresenta assolutamente tutta l’ortodossia, ha invitato a prendere parte ad un “bellum sacrum”.  cioè ad una guerra santa, rinnovando l’espressione che per tantissimo tempo è stata radicata nel pensiero ufficiale della stessa Chiesa Cattolica. Ciò è avvenuto a partire dal IX secolo quando Papa Giovanni VIII proclamò la santità della lotta contro i saraceni che si è compiuta attraverso una crudele e inaudita “disumanità religiosa”. Cercando di riassumere al massimo una bruttissima pagina della Storia della Chiesa di Roma, accenniamo al periodo in cui si combatterono le Crociate che erano spedizioni militari iniziate nel 1096 e terminate nel 1272. Con le Crociate i sovrani europei tentarono di strappare ai musulmani Gerusalemme, la Palestina e la Siria. In contemporanea le spedizioni in Terra Santa servivano anche per conquistare nuovi territori e garantire nuove vie commerciali.

Al di sopra di tutto vi era la motivazione religiosa: le Crociate erano una sorta di pellegrinaggio armato o “guerra santa” che la Chiesa ha indetto contro gli infedeli. Da rammentare che nella Gerusalemme ormai conquistata, i crociati massacrarono i saraceni di entrambi i sessi, rifugiati sul tetto del Tempio, destando la collera dello stesso Tancredi che aveva posto gli sventurati sotto la protezione della sua bandiera. La guerra si è conclusa con la vittoria di Lepanto e con un massacro, nel nome di Dio, indimenticabile. “Sangue a fiotti, cadaveri che si ammucchiavano, che si ammassavano nelle strade di Gerusalemme in cataste alte come case, rendevano assai efficacemente la coerenza radicale della guerra santa, epurata di ogni emotività, consegnata alla realizzazione del disegno, in eterno, perseguito con impassibile e disumana ferocia”.

La “guerra santa” mossa dalla Chiesa Cattolica ha avuto il carattere di un impegno totale, un fenomeno, che esprimeva i bisogni di un mondo, di un’epoca pari a quello che Putin e lo stesso Kirill pretendono oggi di rappresentare. “Il cristianesimo – scrive Davis Hanson – non aveva mai visto una così entusiastica celebrazione come quella che salutò la vittoria di Lepanto.

In tutta l’Italia e la Spagna le folle intonarono il Te Deum Laudamus, di lode e ringraziamento a Dio. Vennero coniate speciali monete commemorative con l’iscrizione: “Nell’anno della grande vittoria navale per grazia di Dio contro i turchi”. Miguel Cervantes, reduce della battaglia in cui perse tra l’altro l’uso di una mano, immortalò Lepanto anni dopo nel suo Don Chisciotte, scrivendo che “quei cristiani che lì perirono furono persino più felici di quelli che ne uscirono vivi”. Una domanda, a questo punto, è d’obbligo: “esiste veramente un pensiero religioso sulla guerra? o più precisamente: quale è la concezione della guerra nel pensiero religioso? Perché le grandi religioni universali di redenzione non hanno potuto, né voluto, ignorare per tantissimo tempo, le questioni ed i problemi che la guerra pone al loro messaggio di salvezza, per cui ancor oggi la Russia e la Chiesa ortodossa Russa rinnova l’invito alla guerra Santa?

Occorrerebbero molti volumi per rispondere a queste domande. Una cosa, però, è certa: nell’ambito della religione cattolica c’è stato un lungo cammino nella via della pace, che progressivamente si è emancipato da pressanti condizionamenti sociali e culturali, peraltro documentato nel magistero sociale della Chiesa. A partire da numerose encicliche, infatti, l’opera dei pontefici cattolici, da Leone XIII in poi, si è ripetutamente impegnata a formulare direttive di azione in campo sociale a “segno e salvaguardia del carattere trascendente della persona umana”, per ricordare “il bene ultimo, la giustizia umana, la pace vera” (Gaudium et Spes, n. 76). Nella Populorum Progressio, enciclica di Paolo VI, riemerge ad esempio una metafora forte della sacralità della vita, presente nelle stesse aspirazioni ed esigenze dell’uomo, di ciascun uomo “immagine di Dio” e perciò portatore di inalienabili diritti e doveri. Sono segni di una riflessione sempre presente nel magistero della Chiesa cattolica ma che sembra crescere di ora in ora con straordinaria intensità. Papa Paolo VI, fin dal 1968 parlava di “promuovere la pace” (Per la promozione della pace), ed individuava la via di questa promozione nel rispetto dei diritti dell’uomo. Ne mostrava il carattere culturale, di attiva creazione umana; ne ribadiva il legame con il primitivo messaggio cristiano, troppo spesso dimenticato. Ne svelava il nemico segreto, l’ingiustizia sociale, ne ribadiva la possibilità, in un momento storico che faceva disperare di ritrovare una coesione anche solo interna. Ne indicava la responsabilità personale, alla quale tutti siamo chiamati. La pace diviene fonte di metafore che richiamano a sempre più forti assunzioni di responsabilità, verso Dio; ma anche verso sé stessi, come un impegno al cambiamento anche personale.

Soprattutto, ricercandone i legami con la difesa della vita nelle sue manifestazioni più “deboli”, sino a rivendicare infine la natura profondamente ed autenticamente religiosa della pace. Di fronte all’accresciuta ferocia della guerra si leva alta la condanna di Papa Francesco e l’impegno per mantenerla che dice: “No, la pace non è mai guadagnata una volta per tutte, va conquistata ogni giorno, così come la convivenza tra etnie e tradizioni religiose diverse, lo sviluppo integrale, la giustizia sociale”. Risuona oggi l’ammonimento di  Erasmo da Rotterdam (1469 –  1536), la cui opera più conosciuta è l’Elogio della follia, ed è considerato il maggiore esponente del movimento dell’Umanesimo cristiano. che considerava l’uomo in guerra peggiore delle bestie e scriveva: “Sono solito domandarmi, spesso meravigliato, cosa mai spinga, non dico i cristiani, ma gli uomini tutti, a tale punto di follia da adoperarsi, con tanto zelo, con tante spese, con tanti sforzi, alla reciproca rovina generale della guerra. Che altro, infatti, facciamo nella vita se non la guerra o prepararci alla guerra? Neppure tutte le bestie combattono tanto, ma solo le belve, le bestie cattive. E neppure queste combattono fra loro, ma solo se sono di specie diverse. Combattono con mezzi naturali. Non come noi con macchine escogitate da un’arte diabolica”.

Dai tempi di Erasmo sono passati 500 anni e ancora la belva della guerra divora le nostre coscienze, spendiamo un fiume di denaro per armi sempre più sofisticate, lasciando morire di fame popolazioni intere, manifestiamo magari per la pace e non siamo capaci di costruirla.