di ANDREA FILLORAMO
Da quel che risulta mancano tutt’oggi degli studi su quella frangia non sappiamo quanto estesa dell’episcopato italiano dei primi decenni del secolo scorso molto vicino o collaterale al regime fascista, per coglierne la visione pastorale, il peso e i riflessi che tale ideologia ha esercitato sul governo delle diocesi.
Sappiamo soltanto che il connubio trono-altare ha sempre pesato sui preti ma nulla o poco sappiamo se questo stesso legame, durante il ventennio fascista, abbia ” pesato”, condizionato o favorito il ministero dei vescovi, tenendo conto che le loro nomine era riservato alla Santa Sede, ma che si dava obbligo di dare comunicazione allo Stato al quale egli doveva prestare giuramento di fedeltà .
E’ cosa certa: fra Fascismo e Chiesa c’è una contrapposizione fondamentale, in quanto il Fascismo è una dottrina totalitaria che pretende di ispirare tutti gli aspetti della vita dell’uomo ivi compreso quello della vita morale.
Il cattolicesimo aspira anch’esso alla direzione spirituale degli uomini ma propone di vivere e agire come voleva Cristo.
In assoluto, quindi, durante il ventennio fascista non doveva esserci alcuna compromissione del vescovo con il potere politico, al quale però egli avendo giurato fedeltà, una certa compromissione poteva senz’altro starci.
Sappiamo, per esempio con certezza, che tale modus operandi ha trovato terreno fertile a Messina”, l’arcivescovo di allora passato alla storia come il grande costruttore, il mecenate, Mons. Angelo Paino, subì il fascino di Mussolini e ne divenne amico intimo ottenendo da lui tutti i benefici, anche oltre misura, non per sé ma per la diocesi di cui era titolare.
Tutto per l’arcivescovo, è iniziato nel 1923 quando i finanziamenti per la ricostruzione del Duomo, rischiavano di esaurirsi.
“Fu allora– egli ha dichiarato in una intervista concessa a un giornalista del “Il Popolo d’Italia” quotidiano del Partito Nazionale Fascista– che Iddio mi concesse di conoscere e di avvicinare il Duce. Dopo tre minuti di colloqui con Lui, il problema della cattedrale di Messina era pianamente risolto. Dopo un altro brevissimo colloquio furono assicurati i primi vistosi fondi per le chiese parrocchiali. Un terzo ed un quarto colloquio mi disse chiaro che ormai era suonata per Messina l’ora della misericordia di Dio. Questi colloqui furono molti, molti; e non uno rimase senza frutto. Non di raro mi ebbi più di quanto sperassi (e le mie speranze erano davvero esorbitanti) più per sinodi quanto chiedessi. Giunsi a tale che non sapevo concepire un’udienza del Duce, senza salutare in anticipo un nuovo vantaggio per la mia Diocesi. Devo dire di più (oh!) il gran cuore, il mobilissimo cuore di Mussolini); mi pareva talora che fosse mio dovere imporre un limite alle richieste, visto che Egli non riusciva ad imporre un limite alle sue concessioni”.
Continuo questa analisi affidandomi alla Rete dove alcuni, fra cui Andrea Fava e Giuseppe Martino, che hanno avuto la possibilità di consultare gli archivi del giornale la Scintilla e altri documenti di quegli anni, parlando di Mons Paino scrivono “Così i fondi per la ricostruzione del Duomo e per tutta un’altra serie di iniziative della Curia (Seminario, chiese parrocchiali etc.) arrivarono in gran copia. Ma a pagare non era l’amatissimo Duce bensì la popolazione di Messina ed in particolare i ceti popolari che videro aggiungere la Curia alle speculazioni dei grossi proprietari che, approfittando della situazione miserevole dei ceti meno abbienti, avevano fatto incetta dei diritti a mutuo, concessi per favorire la ricostruzione delle abitazioni delle vittime del terremoto.
Quanto sopra sostenuto è documentato da una serie di provvedimenti legislativi, il primo dei quali data del 1926 (decreto legge del 10 gennaio): in esso si fissa al 31 dicembre 1926 il termine ultimo per trasferire da un comune all’altro della provincia i diritti a mutuo. Un altro decreto della stessa data dà facoltà all’Arcivescovo di utilizzare i diritti a mutuo anche dopo la scadenza e fino al 30 giugno 1930. Per tre anni e mezzo mons. Paino è l’unico a poter acquistare i diritti a mutuo. La convenzione del 30 marzo 1928 integra e disciplina tutti i provvedimenti, fino ad allora emanati; in essa erano indicate il numero delle parrocchie da costruire, 146, di cui 120 interamente e 26 parzialmente (art.3), le opere assistenziali ed il seminario e stanziava bel 175.000.000 di lire per le opere soggette alla convenzione stessa (art.5). L’insufficienza dei fondi successivamente sopravvenuta fu compensata dal R.D. 20 marzo 1930 che stanziava 57 milioni, che in sede di conversione in legge furono ridotti a 40 milioni.”
Nessuno vuole abbattere il mito di Mons. Paino, senza il quale Messina dopo il terremoto del 1908 e la sua distruzione nella Seconda Guerra Mondiale non sarebbe risorta dalle sue ceneri.