di ANDREA FILLORAMO
Il Natale prima di essere una festività cristiana era una festività pagana, derivante dalla celebrazione del solstizio d’inverno cioè da quel momento dell’anno al quale corrisponde, a causa della posizione che il sole assume rispetto al piano equatoriale, la notte più lunga e il giorno più corto.
Tale fenomeno nell’antichità veniva interpretato in chiave religiosa: il Sole, giunto al minimo della sua potenza, improvvisamente rinasceva, riconquistava le tenebre e diventava invincibile. .
Per questo i Romani festeggiavano il Sol invictus, gli Egiziani la nascita di Horus, gli Indopersiani quella di Mitra, i Siriani quella di El Gabal, i Greci la nascita di Helios.
L’elenco delle divinità celebrate nel mondo durante il solstizio d’inverno è, però, lunghissimo, a indicare come il culto del dio Sole fosse radicato in tutte le civiltà.
Fu Aureliano il primo imperatore romano a istituire ufficialmente il 25 dicembre la festa del Sol Invictus, nel 274.
Costantino poi, nel 330, trasformò la ricorrenza in celebrazione cristiana facendovi coincidere la nascita di Cristo, fino ad allora festeggiata in date diverse a seconda del luogo (ma più diffusamente il 6 gennaio, giorno dedicato in seguito all’Epifania).
Fu sempre Costantino a cambiare nome all’ultimo giorno della settimana, che da dies solis (giorno del Sole, significato che ancora rimane nell’inglese sunday e nel tedesco sonntag) diventò dies domini (giorno del Signore).
Nonostante l’ufficializzazione della data di nascita di Cristo, il culto del dio Sole rimase ben radicato persino nelle popolazioni cristiane.
Così, infatti, scriveva nel 460 papa Leone Magno: «E’ così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella basilica di San Pietro, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana».
Ci vollero la soppressione del culto di Mitra, le persecuzioni dei riti politeisti e i decreti di Giustiniano sulla chiusura dei templi pagani per far sì che il Natale si affermasse lentamente – e per editto – come festa cristiana in tutto l’Impero.
Da notare che Natale è stata anche una festa ebraica; essa dura ancor oggi otto giorni ed è l’unica festività religiosa ebraica che si svolge a cavallo tra due mesi: inizia infatti a Kislev e finisce in Tevet (che corrispondono più o meno al nostro novembre e al nostro dicembre).
La festa è chiamata Festa delle Luci data l’accensione dei lumi di un particolare candelabro ad otto braccia chiamato menorah o chanukiah, che richiama la luce del Messia di cui gli ebrei sono ancora in attesa.
Un nesso storico, una parentela stretta di fede nel Natale unisce, quindi, i cristiani con gli ebrei, l’attesa di Cristo che per i cristiani è già avvenuta.
Le celebrazioni natalizie (qualunque nome o significato gli si voglia dare), accomunano da sempre, milioni di persone diversi per storia, cultura e religione; è oltretutto interessante rilevare come questo clima di festa coinvolga con modalità tutti.
Ciò ci porta a considerare queste festività, e i simboli ad esse legati, in una prospettiva molto ampia.
Se in passato molte di queste azioni rituali, variamente espresse, scaturirono da un sentimento religioso comune a tutti i popoli della Terra (di una religiosità spontanea, istintiva, priva di tutte quelle speculazioni teologiche dalle quali è stata fagocitata), oggi, nel loro permanere e nell’ampia ed eterogenea adesione di cui godono, possiamo leggervi il bisogno da parte dell’uomo di far festa, di creare dei momenti che abbiano un carattere di eccezionalità, capaci di recuperare un sentimento di comunione, di condivisione, di recupero ed estensione delle relazioni familiari e sociali, e non ultimo di momentanea sospensione dall’ordinarietà di tutti i giorni (con tutte le attività, problematiche e preoccupazioni che spesso comporta).
In un’ottica storica e antropologica, il carattere di universalità che possiede il Natale – sebbene oggi sia abusato dal consumismo sfrenato e dalle logiche di mercato – lo rende una festa di eccezionale valenza, capace di inglobare molteplici significati e di coinvolgere chiunque voglia lasciarsene travolgere.
Si può quindi esaltare il senso e il valore universali di questa festa, anche in una più ampia non necessariamente vincolata a una qualche credenza di tipo religioso.
Chiunque, però, trovandosi davanti a un presepe, a una grotta, a un bambino deposto nudo in una mangiatoia non può rimanere indifferente al messaggio che dà il natale cristiano.