Ieri, 3 gennaio, ascoltando il giornale radio delle otto, ho colto di straforo una notizia tale da farmi credere di avere capito male. Riguardava la consegna al Belgio di Silvia Panzeri, coinvolta nel cosiddetto “Qatargate” e adesso ristretta agli arresti domiciliari a Brescia.
Silvia Panzeri, avvocato, è figlia dell’ex eurodeputato Antonio Panzeri, arrestato a Bruxelles il 9 dicembre scorso nell’ambito di un’inchiesta delle autorità belghe su casi di corruzione presso il Parlamento europeo per favorire gli interessi del Qatar.
Ma anche lei e la madre, Maria Dolores Colleoni, secondo l’autorità giudiziaria belga, sono invischiate di brutto in questa storia e per questo essa ha emesso un mandato di arresto europeo che è stato eseguito in Italia, perché considerato fondato.
Ebbene, l’informazione che avevo colto, diceva che la consegna al Belgio di Silvia Panzeri è sospesa perché si aspettano dal Belgio rassicurazioni sullo stato delle carceri di quel Paese, considerate “inumane e degradanti”.
No, mi sono, detto – ho capito male. Come può l’Italia, che ha carceri cronicamente sovraffollate, in cui accadono non di rado episodi di violenza da parte degli agenti penitenziari sui detenuti, in cui, nel 2022, si sono suicidate ben 84 persone, di cui 5 donne, come si legge nella denuncia di “Antigone” Per Antigone il 2022 è stato l’anno dei suicidi in carcere (agi.it) – come può l’Italia sindacare l’operato del Belgio?
E invece è tutto vero. Anche i media riportano la notizia.
I difensori di Panzeri hanno sollevato la questione delle carceri belghe, appellandosi a una condanna del 2014 della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU), la stessa corte che, peraltro, l’anno prima, aveva condannato l’Italia per analoga mancanza di rispetto dei diritti dei carcerati. E il nostro Ministero della Giustizia, dal canto suo, ha richiesto al Ministero competente del Belgio la rassicurazione dello stato delle carceri belghe, che ancora non è arrivata.
Ora mi chiedo: e se a Silvia Panzeri, per un qualche motivo, toccasse di vedersi revocati gli arresti domiciliari e venisse trasferita in un carcere del nostro Paese, che cosa troverebbe? Un trattamento da hotel a 7 stelle, a cui sembra essere abituata, secondo le accuse, grazie ai favori dei qatarini?
O non, piuttosto, in una squallida cella da dividere con altre donne (quante?) e con un solo servizio igienico e una sola doccia per tutte?
E tutti gli altri annessi e connessi propri di un carcere, di cui noi, che stiamo all’esterno, sappiamo, e vogliamo sapere, sempre poco, troppo poco.
Perché, diciamolo bello chiaro e tondo, l’accusa rivolta dall’Italia al Belgio di avere carceri “inumani e degradanti”, rientra nella categoria del detto non so quanto famoso, ma certo, in questo caso veritiero, che sentenzia:
“Cencio dice mal di straccio”.
Albert, collaboratore Aduc