Perché le storie a sfondo giudiziario, i legal thriller, hanno grande successo fra i lettori? La domanda è intrigante che ci introduce alla protagonista della nostra storia: Letizia Spagnolo.
Diamo una possibile chiave di lettura alla nostra suggestione: i legal thriller incuriosiscono le persone perché forse contano la necessità e la voglia di conoscere meglio il mondo della giustizia, una delle poche istituzioni rimaste credibili. Inoltre i meccanismi della giustizia penale affascinano perché lì spesso si decidono i destini di un uomo o una donna. Per non dimenticare i minori. Non passa giorno che sui media non si parli di giustizia, di diritti negati, soprusi, violenze in famiglia e non solo. Vengono a galla privilegi abusati da una parte, precariato con la voglia di farcela dall’altra. Per fortuna non tutti restano in silenzio: c’è chi si ribella, lotta. E lo fa con l’aiuto di un legale. L’esperienza di Letizia Spagnolo ci aiuta a esprimere un pensiero complicato in maniera semplice piuttosto del contrario.
Scott Turow, padre del thriller legale in molti suoi romanzi sostiene che “il cliente, come la maggior parte dei clienti, dice di essere innocente…” succede davvero così nella realtà?
Partiamo dal presupposto che stiamo parlando di persone con un vissuto culturale e sociale differente e che pertanto, taluni sostengono fino alla fine di essere innocenti, mentre altri scelgono di essere sinceri ed affidarsi in toto al proprio difensore.
Per gli avvocati il lavoro è fatto solo di parole: quelle che pronunciano in tribunale, o scrivono sui documenti, o leggono nei rapporti di polizia… Che altro aggiungere?
Il nostro lavoro si basa principalmente su un rapporto di fiducia e pertanto fattore fondamentale è l’empatia. Le parole contano ma conta soprattutto il rapporto umano che si instaura in promos con cliente e poi con i prossimi congiunti. Il lavoro dell’avvocato è fatto di parole, di studio costante e aggiornamenti continui.
Spesso leggiamo di casi dove in mancanza di giustizia si cerca la via più spicciola: homo homini lupus, e cioè che anche l’animale uomo lasciato a sé stesso tende a regolare i propri conflitti sbranando l’avversario se più debole di lui. Tradotto: se ho un problema con il mio vicino non sono autorizzato a regolarlo venendo alle mani con lui e vendicandomi del torto subito, ma devo ricorrere alle forze dell’ordine e alla magistratura per ottenere giustizia. Cosa ne pensa?
Farsi giustizia da sé oltre che costruire un reato punito dal codice penale è la massima espressione dell inciviltà. Tutti noi riceviamo degli “sgarri” ma è impensabile al giorno d’oggi legittimare l’uso arbitrario di violenze e minacce. Esiste la giustizia ed è compito di noi giuristi dirimere le controversie e far sì che le persone si fidino di noi e si affidino al nostro operato.
Come si vive tra delitti, violenze, accuse, crimini in genere. Ogni giorno è una conquista ed è sempre un ricominciare, anche nelle cose più semplici, quotidiane. La sua storia cosa le ha insegnato?
Come ho già detto si hanno davanti non criminali, ma persone che come tali devono essere ascoltate e difese. Il nostro ruolo non è quello di giudicare, bensì quello di garantire la massima difesa in ogni giudizio anche quando i delitti commessi vadano oltre l’immaginabile.
Gli ultimi anni ci hanno certificato che la povertà è uno status, l’impoverimento è un cammino verso il precipizio. È molto più difficile aiutare una persona che si è impoverita? Che diritti hanno i clienti che non possono rivolgersi a uno studio legale perché impossibilitati a pagare la parcella?
La Costituzione prevede e garantisce in ogni starò e grado del giudizio la difesa dell’imputato. I clienti che non sono nella condizione economica per potersi fare carico delle spese legali possono ricorrere all’istituto garantista del gratuito patrocinio a spese dello stato che consente a questi ultimi di poter ottenere giustizia ed essere rappresentati in giudizio. Più semplicemente è lo stato a retribuire il lavoro del difensore.
È un’Italia che va avanti a forza di slogan e che non risolve né i problemi dei migranti né i problemi degli italiani: e intanto le carceri scoppiano e i suicidi in cella aumentano…
Questo tema è costante oggetto di dibattito poiché da un lato vi è la voglia di fare giustizia, ma dall’altro ci si dimentica spesso e volentieri che nell’ordinamento giuridico italiano la pena ha una finalità primariamente rieducativa volta alla reintegrazione e risocializzazione culturale, affettiva e lavorativa del reo. È ben noto che nel nostro sistema giudiziario vi sia una drammatica situazione di sovraffollamento carcerario che porta a tutelare sempre meno le ragioni e i diritti dei singoli che spesso e volentieri si sentono abbandonati a loro stessi e che pertanto potrebbero essere indotti a non vedere altra via d’uscita se non la morte. Da giurista, ma soprattutto da essere umano auspico una repentina riforma volta a migliorare le condizioni dei detenuti affinché si ridia loro la dignità umana che altrimenti verrebbe perduta.
Avvocato neppure il web è un paradiso: ormai è una terra di nessuno o ci sono strumenti per tutelarsi? Con chi insulta tramite social network come Facebook o Twitter come la mettiamo? La percezione comune che il web sia una zona franca è dura a morire…
Il web è oramai definito come una agora virtuale pertanto il legislatore ha previsto e disciplinato un aggravamento di pena per le condotte criminose commesse tramite social network. Basti leggere primo tra tutti l’articolo 595 del codice penale che punisce severamente la diffamazione commessa anche tramite i social. Questo allo scopi di punire i cd. “Leoni da tastiera”.