Rossana Berardi, Presidente di Women for Oncology Italy: “Le donne che accedono a studi clinici sono percentualmente inferiori rispetto agli uomini. Forse una riflessione va fatta rispetto alla centralità della donna ancora come perno della famiglia e alla difficoltà di avere caregiver che possano sostenere il suo accesso a sperimentazioni cliniche”.
All’inizio lo studio della medicina di genere era focalizzato soprattutto sugli aspetti riproduttivi della donna, come quello ginecologico e ostetrico, poi sempre maggiore attenzione è stata data alle differenze di genere legate alla tolleranza alle terapie, alla possibilità di accedere a terapie sperimentali, alla diversa possibilità di sviluppare eventuali risposte al trattamento o possibili tossicità, in maniera differente rispetto al genere stesso. Ma molto rimane ancora da fare.
“Un aspetto su cui riflettere quando parliamo di medicina di genere, è che le donne che accedono a studi clinici sono percentualmente inferiori rispetto agli uomini”, sottolinea la Professoressa Rossana Berardi, Presidente di Women for Oncology Italy. “Forse una riflessione va fatta rispetto alla centralità della donna ancora come perno della famiglia e alla difficoltà di avere caregiver che possano in qualche modo sostenere il suo accesso a sperimentazioni cliniche, se questo comporta accessi in strutture lontane dalla propria residenza, magari più frequenti rispetto alla normale pratica clinica”.
Altro discorso è quello del genere del professionista sanitario. “A questo proposito, con il gruppo del Lazio di Women for Oncology, stiamo elaborando un sondaggio per comprendere meglio se ci possano essere differenze dal punto di vista del percepito delle pazienti e dei pazienti, rispetto ad avere un riferimento medico uomo o donna”, continua la Professoressa Berardi. “Ad oggi abbiamo raccolto una serie di testimonianze di pazienti che si sentono spesso compresi meglio da una presa in carico che tenga conto del genere. Anche se va detto che, in primis, quello che è importante è la competenza, l’umanità e la disponibilità del professionista sanitario, a dispetto del genere. A tal proposito, prima di concludere volevo fare un cenno sul gender gap: noi come Women for Oncology Italy sosteniamo da sempre un’ottica di genere che possa valorizzare in senso positivo e meritocratico il genere anche dal punto di vista delle professioniste. Sottolineo che gli iscritti che si iscrivono alla Facoltà di Medicina sono per due terzi donne e, nonostante questo, i ruoli apicali sono occupati principalmente dagli uomini. Di questo passo, stando ai dati del congresso della Società Europea di Oncologia Medica, il gap per colmare il divario nello specifico della nostra disciplina è di 300 anni”.