Il governo Meloni si è inventato il ministero del Mare, cercando di dare un segnale forte al nostro Paese che ha 7.456 di coste bagnate dal mare. L’Italia dunque al centro del Mediterraneo non solo per l’arrivo dei clandestini, ma si spera che diventi un centro per il commercio e per lo sviluppo economico e che valorizzi i propri porti.
Riuscirà finalmente la nostra politica a valorizzare il nostro mare? Speriamo. E a proposito di mare, da qualche mese circola in certi ambienti culturali e politici un libro che potrebbe dare delle importanti indicazioni non solo storiche e culturali ma anche per un eventuale sviluppo economico attraverso il nostro mare. Si tratta di “Patria senza mare. Perchè il Mare Nostrum non è più nostro”, del giornalista Marco Valle, curatore del blog Destra.it. Il 27 gennaio prossimo sarà presentato in streaming sulla pagina fb di “storiadelmondo.com”. Per quanto mi riguarda io intanto ho letto un volumetto che ha a che fare col mare, “Il Mediterraneo. Da Lepanto a Barcellona”, Morlacchi Editore (1999) del professore emerito dell’Università di Perugia (Dipartimento di scienze politiche) Salvatore Bono. Anche se datato mi sembra interessante, e potrebbe contribuire ad aprire un dibattito sul mare Mediterraneo. Un tema poco trattato dalla nostra letteratura, infatti come lui stesso scrive esistono pochi libri che affrontano l’argomento.
Il testo si compone di dieci capitoli, perlopiù relazioni che il professore ha proposto ai suoi studenti. Il sottotitolo del libro è un accostamento tra la grande battaglia navale del 7 ottobre 1571 a Lepanto vinta dai cristiani sulla flotta turca e la dichiarazione di Barcellona del novembre 1995 con la quale l’Unione Europea ha varato un programma di cooperazione con Paesi terzi del Mediterraneo. Pertanto si parte dalla Storia per guardare all’attualità. I capitoli di questo libro si propongono di offrire uno sguardo d’insieme alla storia del Mediterraneo – nella prospettiva dei rapporti del mondo europeo con le altre civiltà e culture – a partire da Lepanto fino alla dichiarazione di Barcellona. L’attenzione del libro di Bono si sofferma su alcuni fenomeni come la guerra corsara, le forme di pirateria e la schiavitù. Fenomeni che riguardano i popoli delle coste europee del Mediterraneo che quelli del Nord Africa. Il testo inoltre discute sul carattere “unitario” della storia del Mediterraneo, sul significato di una supposta “civiltà mediterranea” e soprattutto “sul ruolo che la conoscenza storica può e deve assumere nella ‘costruzione’ di un rapporto di comprensione, di apprezzamento e di collaborazione fra popoli e stati accomunati da una millenaria esperienza storica”.
Il capitolo iniziale offre uno sguardo d’insieme degli eventi e i problemi inerenti alla storia dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, e come collocare gli studi e le interpretazioni che hanno affrontato l’argomento in particolare quelli di Henri Pirenne di Fernand Braudel. Altri capitoli dal secondo al quinto, prendono in esame la guerra corsara, la schiavitù, il mondo barbaresco. Argomenti che il professore Bono conosce bene già approfonditi.
Le riflessioni su questi temi di Bono sono controcorrente. Infatti, sulla guerra corsara e la pirateria, spesso gli storici occidentali e maghrebini, una certa letteratura ha conferito ai due fenomeni confondendoli, considerandoli la stessa cosa. Invece non è così, il professore spiega la differenza: i corsari erano assoldati dagli Stati costieri del Mediterraneo, avevano una “patente“, una autorizzazione per esercitare la corsa, in pratica per assaltare e rapinare le navi degli stati nemici, mentre i pirati lavoravano per conto proprio. Mentre per quanto riguarda la schiavitù, finora gli storici hanno quasi sempre dato spazio agli uomini e donne cristiani in terra d’Islam. Ora bisogna conoscere l’altra faccia della medaglia: la schiavitù dei musulmani e di altri nei paesi dell’Europa mediterranea. Uno sguardo d’insieme è stato fatto nel 4° capitolo (La schiavità nel Mediterraneo) rivolto sia al fronte cristiano che a quello islamico. Tuttavia, nonostante i conflitti, la guerra corsara nella sua complessità secondo Bono “ha dato occasione per molti secoli alla tessitura di una fitta trama di relazioni, ostili e pacifiche, fra stati delle opposte rive del Mediterraneo, nonchè di rapporti e scambi fra popolazioni diverse del bacino del grande mare interno”.
Bono precisa che “la corsa, sia cristiana che barbaresca, fu una grande occasione di rimescolamento d’uomini”. Ognuno di questi corsari, cavalieri, cristiani o musulmani era profondamente convinto della legittimità e del valore morale della guerra corsara. Peraltro a questi uomini poteva capitare di passare dalla condizione di corsari a quella di veri e propri pirati.
Il professore fa notare certe contraddizioni su come è stato inteso il corsaro nella storiografia e poi nelle rappresentazioni cinematografiche. Occorre distinguere i corsari che hanno operato nell’Oceano Atlantico da quelli che hanno operato in questo periodo nel Mar Mediterraneo, che peraltro hanno meno notorietà.
Bono descrive le caratteristiche delle navi corsare e quello dell’equipaggio, in particolare i rematori erano costituiti da cristiani o musulmani catturati e poi resi schiavi. Vengono dettagliatamente descritti i termini delle spartizioni delle prede, dei vari bottini e degli uomini e donne catturate sia sulle navi che sulle coste. Legato alla schiavitù c’era il problema del riscatto, soprattutto nel mondo cristiano, sono nate apposite istituzioni pubbliche per liberare gli schiavi cristiani. Sono nati ordini religiosi come i Trinitari e i Mercedari, attivi in Spagna e in Francia. Inoltre c’era il fenomeno delle conversioni, il passaggio dei cristiani all’Islam, minore quello dei musulmani al cristianesimo. Addirittura si istituirono degli assistenti religiosi per gli schiavi, coinvolti nelle pratiche di riscatto. Certo molti cristiani diventavano musulmani per fini economici, non tanto per convinzione.
“Schiavi e schiave – per il professore Bono – furono presenti nel mondo islamico ed altrettanto nel mondo europeo e cristiano, in misura più rilevante nelle località costiere o prossime al mare, ma anche in quelle dell’interno”. La differenza era che gli schiavi cristiani in mano ai musulmani erano fonte di reddito attraverso il riscatto, mentre i musulmani in mano ai cristiani non venivano quasi mai riscattati, non interessavano a nessuno.
Bono critica certi pregiudizi presenti nel mondo occidentale europeo nei confronti degli Stati barbareschi del Maghereb, ci sono studi arretrati non aggiornati. Continua a prevalere l’idea degli “innumerevoli predoni barbareschi” dalla cui attività è derivata la ‘millenaria vessazione patita dalla popolazioni delle fascie costiere italiane”. L’idea che la guerra corsara fosse esercitata solo dai musulmani è un pregiudizio che va cancellato per Bono.
“Le città e gli stati barbareschi non hanno mai goduto, a partire dalla loro costituzione nel secolo XVI, di una ‘buona stampa’”. La storiografia ha sempre disprezzato i “barbari” e “crudeli” barbareschi, che hanno sempre tratto profitti dalla cattura delle navi cristiane e dalle incursioni ai danni delle località costiere, da cui traevano in schiavitù donne, bambini, anziani. Si ricordano le vittime cristiane e non quelle musulmane. I cristiani appaiono come vittime, costretti a difendersi, mentre i musulmani sono presentati come responsabili e moralisticamente accusati di barbarie e crudeltà.
Il professore Bono in questo testo cerca di invertire il pregiudizio sul Maghreb, in queste sue riflessioni cita diverse opere europee che hanno scritto su questo periodo storico. Intanto è indiscutibile che la storia del Maghreb nella sua complessità va ben al di là della storia delle città corsare e della guerra di corsa. Pertanto occorre ricostruire bene questa ricchezza della storia del Maghreb. Attenzione la corsa è una realtà complessa, respingiamo da una parte e dall’altra ogni pregiudizio e ogni complesso. Addirittura Bono si spinge a scrivere che in certe città barbaresche vi sono state forme di “democrazia”, cioè di “partecipazione al potere da parte di più ampi e diversificati strati sociali”. Forse più di ogni altro paese del Mediterraneo.
Poi il testo si occupa dell’occupazione napoleonica in Egitto, della diffusione delle idee della Rivoluzione Francese, in questo caso, sarebbe interessante sviluppare come gli egiziani opposero resistenza a Napoleone, in pratica come hanno fatto le popolazioni italiane con le insorgenze. Molto spazio è dedicato alla vicenda del Canale di Suez 1869-1956, alla sua storia, alla sua realizzazione. Il testo di Bono pone due riflessioni importanti sul Mediterraneo: quella dell’”idea mediterranea” e quella dell”Unità del Mediterraneo”. Qualcuno si è spinto come Massimo Salvadori nel suo libro “L’unità del Mediterraneo”, (1931) a parlare anche di “razza mediterranea”, guidata da Roma, dall’Italia, naturalmente nessun ruolo viene riconosciuto all’Islam, al mondo arabo.
Tuttavia per quanto riguarda l’unità del Mediterraneo, Bono precisa che l’unica volta che si è realizzata è stata al tempo dei Romani. E’ proprio durante l’impero romano che tutto “il mondo mediterraneo fu abitato da un’unica nazione greco-latina, una civiltà caratterizzata dal sistema del diritto”. Questa rottura dell’unità secondo Salvadori, si può attribuire sia ai germani del Nord, sia agli arabi e poi ai turchi, in pratica anticipando la nota tesi di Henri Pirenne.
DOMENICO BONVEGNA
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